In Argentina l’estrattivismo avanza col debito.
Venerdì 28 gennaio il Presidente Alberto Fernández ha annunciato la sottoscrizione di un accordo con il Fondo Monetario Internazionale per la restituzione di un prestito da 44 miliardi $, provocando la discesa in strada di centinaia di migliaia di manifestanti.
L’accordo è l’ultimo atto in ordine di tempo di una lunga storia debitoria che parte dai tempi in cui il regime militare svenò il paese (soprattutto per i costi della guerra delle Falkland/Malvinas), per continuare con la crisi del debito degli anni ’80[i], esplosa per la svolta monetarista negli Stati Uniti, e poi con i programmi di aggiustamento strutturale del FMI e con le politiche neoliberiste delle ‘democrazie’[ii]
Nel dicembre del 2001, con la popolazione alla fame e il dilagare del conflitto sociale nel paese, il governo di Buenos Aires dichiarò ufficialmente la bancarotta, il default, l’unica scelta possibile.
Fra il 2005 e il 2010, sotto le due presidenze di Néstor e Cristina Kirchner, l’Argentina riuscì a ricontrattare il 91% del debito, siglando accordi con i detentori dei titoli per sostituirli con altri di minor valore e a scadenze più lunghe. Anche il prestito con il FMI venne azzerato.
Il paese ricominciava lentamente a sollevarsi quando la gestione successiva di Mauricio Macrì bruciò i risultati raggiunti saldando cash il debito restante, comprato dai fondi avvoltoio, e contraendo un nuovo debito di 57 miliardi $ col FMI, per far fronte alla recessione innescata dalle sue ricette neoliberiste.
L’accordo di questi giorni riguarda ciò che resta di quel prestito, e prefigura la continuazione del massacro sociale a cui sembra condannato questo disgraziato paese.
La prospettiva è conosciuta, e promette privatizzazioni, taglio alle politiche pubbliche e sociali, attacco ai salari, alle pensioni e, non ultimo, ai territori.
Le politiche debitorie vanno infatti sempre di pari passo con il saccheggio della natura, puntando sull’estrazione di materie prime da esportare in cambio dei dollari che servono per pagare il debito.
Da questo punto di vista la presidenza Fernández non ha fatto eccezione, dimostrandosi particolarmente attiva nello schieramento a favore dei settori agroindustriali, petroliferi e minerari.
In poco più di due anni di gestione del paese ha collezionato la riduzione dei dazi per l'importazione dei componenti del glifosato, l’approvazione del grano transgenico HB4, la trattativa con la Cina per impiantare sul territorio decine di mega allevamenti suini[iii], l’inazione davanti agli incendi di migliaia di ettari boschivi, che hanno aperto un varco per l’estensione della frontiera dell’agribusiness.
In tempo di pandemia l’esecutivo ha dichiarato l'attività mineraria come essenziale per l'economia del paese, decretandone il libero funzionamento[iv], e neanche il fracking ha fatto quarantena.
Per dargli una spinta, Fernández ha presentato il Piano di incentivazione della produzione di gas di scisto a Vaca Muerta[v], in violazione dei diritti della popolazione Mapuche del Neuquén[vi]. È di pochi giorni fa un decreto del governo per l’assegnazione alla compagnia petrolifera statale della costruzione e sfruttamento di un nuovo gasdotto, finanziato con soldi pubblici, per il trasporto dello shale gas[vii].
Fernández sostenne la candidatura a governatore del Chubut di Mariano Arcioni, che una volta eletto diede il via libera, per legge, allo sfruttamento minerario della provincia, nonostante la popolazione si fosse espressa a larghissima maggioranza contro le megaminiere in un referendum del 2003.
La legge è stata ritirata lo scorso dicembre grazie a un vasto movimento di lotta che ha riempito le strade sfidando una repressione brutale, pagando con arresti, irruzioni nelle case dei militanti e numerosi feriti[viii].
In gennaio una mobilitazione simile ha imposto la sospensione del processo autorizzativo per l’esplorazione sismica petrolifera di fronte a Mar del Plata e alle città della costa atlantica[ix].
Solo la lotta, e non i governi (di qualsiasi colore e latitudine), dimostra di saper fermare la devastazione ambientale, sociale e climatica delle politiche estrattive.
Su questi aspetti proponiamo oggi una intervista a Guillermo Folguera, biologo, filosofo e ricercatore argentino, a cura di ANRED (Agencia de Noticias RedAcción) e tratta da Revista Citrica.
Traduzione di Marina Zenobio per Ecor.Network.
Note:
[i] Nel 1979 il presidente della Federal Reserve Paul Volcker impresse un improvviso mutamento della politica monetaria statunitense, determinando un notevole aumento dei tassi di interesse mondiali e un forte apprezzamento del dollaro tra il 1980 e il 1981. Il “Volcker Shock” generò un aumento sensibile dei tassi di interesse sul dollaro: il prime rate reale passò dal 3,2% del 1979 all’8,1% del 1981, dopo aver registrato livelli negativi tra il 1974 e il 1978.
Il tasso di cambio del dollaro raddoppiò verso la sterlina, il marco tedesco, e il franco svizzero, quadruplicò con la lira italiana, e più che decuplicò verso le altre valute del Sud del mondo.
Per i paesi in via di sviluppo, che si erano fortemente indebitati in dollari ai tempi in cui i tassi erano negativi, iniziò la spirale senza fine della crisi debitoria, dovendosi sobbarcare interessi triplicati in una valuta che valeva molto di più di quando l’avevano ricevuta.
Particolarmente colpiti i paesi dell’America Latina che avevano assorbito negli anni ’70 la maggior parte dei prestiti concessi dalle banche ai PVS, in particolare Messico, Brasile, Venezuela e Argentina.
[ii] In particolare sotto il decennio di presidenza di Carlos Menem (1989-99), che scelse di imporre disastrosamente un cambio fisso 1 a 1 tra la valuta argentina e il dollaro facendo esplodere il debito pubblico e azzerando il tessuto industriale.
[iii] Nel 2019 il gigante asiatico seppellì vivi 200 milioni di maiali per contenere l’avanzamento della peste suina, un’epidemia prodotta proprio dalle sue modalità di allevamento intensivo. La perdita nella produzione causò una forte carenza di carne di maiale per il mercato interno. Da allora la Cina punta a delocalizzare all’estero per esternalizzazione i rischi dell’allevamento.
[iv] Red de Vigilancia OCMAL, Minería y Covid-19, INFORME # 2 - Octubre 2020.
[vi] Coordinadora contra la Represión Policial e Institucional (CORREPI), Antirrepresivo 2020 - Informe de la situación represiva nacional, n°25, 2020, pp. 20/23.
Intervista a Guillermo Folguera, biologo, filosofo e ricercatore del CONICET (Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas) -
"Il piano è l'estrattivismo e porterà distruzione ambientale e diseguaglianza sociale"
Il legame tra il rifiuto della megaminiera nel Chubut, l'autorizzazione alla ricerca di petrolio sulla Costa Atlantica e la funzione del Ministero dell'Ambiente nel modello estrattivista.
Recentemente abbiamo celebrato il Chubutazo contro il mega sfruttamento minerario, ora stiamo assistendo ad incendi in diverse province e oggi ascoltiamo la notizia dell'approvazione, da parte dell'esecutivo nazionale, dello sfruttamento del petrolio nel mare argentino Qual è la sua opinione sulla situazione attuale?
Si sta per concludere un anno durante il quale sono accadute molte cose che potevano essere previste e non meno
preoccupanti. I governi di turno, sia da parte dei funzionari che per i loro legami col mondo delle imprese, hanno dimostrato che il piano a, b, e c nel nostro paese in termini di “produzione” è estrattivista, indipendentemente che sia offshore nel mare, mega-minerario o fracking, che sia agribusiness come la recente approvazione del grano HB4, o che sia attraverso la riforestazione, le mega-fattorie o l'estrazione di litio. Il piano è l'estrattivismo. E questo porterà a uno scenario di grande distruzione ambientale e disuguaglianza sociale perché si concentra sulla produzione di materie prime da esportare e ottenere così rapidamente dollari. Questo è direttamente vincolato al debito estero ma anche ad un modo particolare di pensare il territorio da parte di certi settori che in quel territorio si concentrano e ne beneficiano, d'accordo con un progetto demografico che vede più del 90% della popolazione vivere nelle grandi città.
E non c'è solo questo. Quanto è successo nel Chubut mostra chiaramente che c'è un'organizzazione sociale che sta crescendo. Credere che ciò che è successo sia stato spontaneo è un errore perché sono 20 anni che si sta lottando. Proprio come per la protesta del Mendozazo (dicembre 2019). C'è un lavoro a livello nazionale. Non ho mai visto tanta articolazione tra i movimenti sociali e le organizzazioni come negli ultimi anni. Sarà sufficiente per fermare l'estrattivismo o no? Non lo sappiamo. Ma siamo di fronte a una situazione limite. Per quanto riguarda la diagnosi questa è catastrofica: al momento ci sono 11 province in fiamme. Tutti i corpi idrici del nostro paese sono inquinati. I casi di cancro non vengono nemmeno quantificati. E' una disuguaglianza sociale direttamente collegata, dove 1 famiglia su 2 non riesce a mangiare tutti i giorni. Ma c'è anche un popolo vigoroso che viene riconosciuto, come nel caso del Chubut, e questo apre un nuovo scenario.
L'attuale situazione, con numerosi incendi, ha trovato spazio lentamente sui media e viene comunque riportata in modo riduttivo. Quali politiche pensa che dovrebbero essere messe in atto per prevenirli?
Esiste una situazione centrale nel cambiamento climatico che prevale sempre più in queste circostante. E comincio da qui non perché sia l'unico elemento ma perché è fondamentale citarlo. Ci sono, ad esempio, cambiamenti nei modelli
delle precipitazioni delle piogge che saranno una costante in questo scenario globale, l'Argentina mostra record spaventosi in tal senso. Uno degli aspetti più sorprendenti legati agli incendi ha a che fare con il fatto che, negli ultimi 15 anni, l'Argentina è stato uno dei cinque paesi che ha deforestato di più. In questo scenario si entra in una specie di struttura elicoidale in cui ci sono sempre più ecosistemi non protetti e suoli con meno capacità di trattenere l'acqua, che sono quindi più esposti ad inondazioni quando piove e a prendere fuoco quando c'è siccità. Si tratta di un problema regione che coinvolge anche il Paraguay e il Brasile. C'era da aspettarselo visto quello che stava accadendo nel Chaco, per citare uno dei punti focali della deforestazione che ha avuto ripercussioni, per esempio, sul fiume Paraná. Già stiamo assistendo alla ridotta capacità idrica. A questo si aggiungono altre 4 o 5 cose, tra cui quella delle grandi imprese consumatrici d'acqua e l'agribusiness, sempre più in espansione, con un fabbisogno di acqua incredibile e che promuove una tecnologia, come quella dell' HB4, che tratta il territorio argentino come se fosse tutta pampa bagnata. Oppure si hanno progetti come quello delle mega-minerarie o del fracking che consumano grandi quantità d'acqua, ci sono poi luoghi come le piantagioni di pini e di eucalipti anch'essi fondamentali perché, in primo luogo, assorbono l'acqua rendendo aridi i territori. Di questo si è molto discusso in Cile.
Inoltre, è noto che il fuoco si diffonde molto più velocemente in una piantagione di pini ed eucalipti a causa della sua omogeneizzazione. In una piantagione il fuoco si diffonde 30 volte di più che in una foresta nativa. In altre parole, si generano molte condizioni affinché una volta che l'incendio è iniziato possa diffondersi.
A questo si aggiunge il fatto che gli incendi nel nostro paese sono aumentati del 70% e che il 90% di essi sono stati riconosciuti come dolosi, ma nessuno è stato assicurato alla giustizia. Se a questo aggiungiamo il fatto che dopo gli incendi del Paraná molte delle aree bruciate sono state immediatamente utilizzate per l'allevamento del bestiame, allora abbiamo una combinazione che rende tutto ciò una costante. Gli investimenti non vengono adeguatamente effettuati sia in termini di risorse materiali che umane.
Abbiamo un Ministero dell'Ambiente funzionale alla visione di ministri come Kulfas [Ministro dello Sviluppo Produttivo
dell'Argentina, Ndt.], che non concepisce la protezione socio-ambientale, in una intera regione che ha messo il piede sull'acceleratore del degrado socio-ambientale e dove si cerca solo di generare più profitto possibile prima che il titanic affondi. Questo è uno scenario molto grave.
A questo si aggiunge la recente approvazione dello sfruttamento del petrolio. Come può la gente capire la permissività di questa attività in un contesto in cui il governo è legato al pagamento dell'indebitamento strutturale?
Si stanno verificando situazioni emblematiche. Tutto nella foga del momento. Credo che sia un errore non pensare che l'approvazione dello sfruttamento marino sia scollegata a ciò che è successo nel Chubut. Penso ci sia una relazione diretta, anche se si tratta di un'attività estrattiva diversa. Penso che si stia cercando di ottenere, in modo accelerato, una visione della macroeconomia e del debito.
È emblematico che il mare argentino venga consegnato a compagnie straniere come la norvegese Equinor o Shell. C'è uno scontro coi settori produttivi e questa è stata una costante anche nel Chubut. In questo caso vedremo anche una disputa diretta con tutta l'industria della pesca, che è stata fondamentale nel conflitto non solo nel Chubut ma anche, per esempio, nella Terra del Fuoco, che ha detto No all'allevamento del salmone.
Quello che sta succedendo ora è molto grave: abbiamo 11 province in fiamme. Abbiamo un'accusa sistematica della mancanza di una presenza chiara delle politiche pubbliche del Ministero dell'Ambiente, a ciò si aggiunge il fatto che questa approvazione è stata firmata dallo stesso ministro Cabandie [Ministro dell'Ambiente e dello Sviluppo Sostenibile dell'Argentina dal 2019, Ndt]. In questo contesto, il ministro dell'ambiente introduce questa risoluzione nonostante il pronunciamento pubblico di organizzazioni sociali, scienziati e comunità che hanno detto No all'offshore. È di una gravità istituzionale molto seria che apre un 2022 con una complessità brutale, in cui la questione socio-ambientale sarà una delle punte di diamante non solo dei settori del governo e dell'impresa ma anche della resistenza sociale.
Pensa che in questo scenario la risposta repressiva contro queste resistenze si intensificherà?
Senza dubbio c'è un processo di accelerazione. I due grandi partiti maggioritari hanno deciso di approvare a qualsiasi costo. E qui emerge la questione ambientale. Sono stato a Rosario per vedere la siccità del fiume Paranà e poi anche del fiume Mendoza. Ho visto cosa significa confondere una parte del bacino del fiume con un deserto. Anche la questione del litio viene menzionata molto poco. Quindi penso che ci sia un futuro in cui la resistenza e le sue articolazioni si moltiplicheranno.
D'altro canto possono minacciare di aumentare la repressione ma, se non ci sarà un'assemblea in cui il settore al governo si elevi all'altezza delle circostanze ed elabori un progetto paese non annuale ma di 15 o 20 anni, sbaglieranno. Le comunità vengono spinte in un angolo. Non è Palermo [quartiere residenziale di Buenos Aires, Ndt.] , queste sono comunità che hanno bisogno di vivere. Sono persone ammalate di cancro, persone che non hanno acqua per i loro animali e i loro bambini. Si tratta di comunità che vengono espulse dai loro territori dove conservano i resti dei loro antenati. Stiamo parlando di persone che vivono di pesca e ora avranno piattaforme di esplorazione con conseguenze di cui nessuno si assumerà la responsabilità. Sono molti gli elementi in gioco e se il settore governativo non capisce dove sta portando le comunità, prima o poi cadranno nel dimenticatoio.
Stiamo parlando dei fondamenti della vita di queste comunità. Pensano che possono continuare a sfruttale e, 20 anni dopo il 2001, continuano ancora sui loro passi, e guardiamo cosa ha prodotto nel Chubut. Non hanno una reale comprensione di ciò che sta accadendo. È un anno preoccupante per la mancanza di segnali visibili da parte del settore governo-impresa, ma allo stesso tempo c'è molta speranza per la forza delle comunità che si stanno, in diverse forme, organizzando.