*** La Natura sì ha dei diritti/6 ***

Dalla giustizia ambientale alla giustizia ecologica

di Alberto Acosta, Enrique Viale


Tutto ciò che è contrario alla natura
è anche contrario alla ragione,
e tutto ciò che è contrario alla ragione
è assurdo.

Baruch Spinoza

 


Il rapporto della giurisprudenza con la natura è sempre stato complesso. Riconoscendo che il diritto è un campo di controversia permanente, non possiamo ignorare quanto sia stato complesso realizzare progressi nei diritti ambientali, specifici per le necessità degli esseri umani di raggiungere una vita dignitosa.
Ciò che dobbiamo constatare – per poter introdurre cambiamenti radicali – è che l’attuale quadro giuridico, essenzialmente antropocentrico, ruota attorno ai diritti di proprietà. Nel confronto tra i diritti di proprietà e le tendenze alla privatizzazione a oltranza, moderate dallo Stato o anche da varie comunità umane, la Madre Terra è stata un territorio di appropriazione. Un oggetto. Questa è una storia lunga e terribile.

Tuttavia, la discussione sulla possibilità che un essere non umano possa godere di diritti avviene nel quadro di quella storia. Il giurista argentino Raúl Eugenio Zaffaroni, uno dei pionieri nella discussione di questi diritti non umani nella regione, ha sottolineato che è "interessante notare che, nonostante il presupposto che gli animali sono inferiori, gli esseri umani attribuivano loro virtù e difetti che erano propri ed esclusivi. La goffaggine dell'asino, la fedeltà del cane, la nobiltà del cavallo, il satanismo del gatto, l'abiezione del maiale, ecc., sono valutazioni umane secondo le quali venivano classificati gli animali (incoronando araldicamente prima l'orso e poi il leone più tardi), e ciò resta in vigore per insultare o esaltare un altro essere umano, mentre gli animali, ovviamente, non se ne sono accorti. Inoltre non sappiamo cosa pensano di noi, ma probabilmente non avranno una buona opinione. […] In questo modo gli esseri umani classificavano gli animali e poi classificavano se stessi in base a ciò che avevano precedentemente attribuito agli animali. Nel Medioevo e fino al Rinascimento - cioè tra il XIII e il XVII secolo - erano frequenti i processi ad animali, soprattutto ai maiali che avevano ucciso o mangiato bambini, cosa che alcuni giustificavano sostenendo che gli animali - almeno i superiori - avevano un po' di anima e altri negandolo, ma insistendo sulla necessità di una punizione esemplare. Comunque sia, gli animali furono giustiziati e un maiale fu persino sottoposto a tortura e fu ottenuta una confessione. I tribunali hanno citato e punito con la scomunica sanguisughe, ratti e altri parassiti."

Invitandoci a recuperare queste origini storiche, entreremo nel tema proposto in questo capitolo: il duro lavoro dalla giustizia ambientale verso la giustizia ecologica.
 

Il passaggio dalla “natura oggetto” alla “natura soggetto” dalla prospettiva della Pacha Mama

Consacrare la natura come soggetto di diritti postula nuove forme di rapporti umani con essa e con le sue componenti. Richiede, quindi, il passaggio da un paradigma antropocentrico a un altro di natura sociobiocentrica. Nelle linee guida di questo nuovo paradigma di civiltà, risalta l’abbandono della caratterizzazione della natura come paniere di risorse e come deposito di rifiuti.

La natura, insomma, non è più considerata oggetto di dominio e mera risorsa economica. Tuttavia, riconoscere i diritti della natura non implica una natura incontaminata, ma piuttosto il rispetto integrale della sua esistenza e del mantenimento e rigenerazione dei suoi cicli vitali, della sua struttura, delle sue funzioni e dei processi evolutivi; cioè la difesa dei sistemi vitali.

Si tratta di costruire una società basata sull’armonia delle relazioni degli esseri umani con gli esseri non umani, degli esseri umani con se stessi e degli esseri umani con gli altri esseri umani. Questa nozione, che perdura da molto tempo nella percezione dei popoli indigeni, non implica una visione millenaristica di un paradiso armonioso, né un’idealizzazione ingenua che postula una regressione alla premodernità. Inoltre, come abbiamo visto nel corso della storia, diverse antiche civiltà affondarono perché il loro habitat fu distrutto: accettare questa realtà può aiutarci a comprendere le cause di queste tragedie ed evitare nefaste ripetizioni.

Non dovrebbe sembrare strano che gli esseri umani cerchino di garantire la propria esistenza nell’universo attraverso una legislazione e una giurisprudenza che favoriscono coloro che ci forniscono il sostentamento: la nostra Madre Terra o Pacha Mama. Ed è estremamente rivelatore come il discorso giuridico cominci a cambiare con l’incorporazione dei diritti della natura: basta vedere l’introduzione di concetti provenienti dal mondo della biologia, come i cicli della vita o i cicli naturali, nei corrispondenti articoli del testo costituzionale ecuadoriano.

Questo dibattito circola in tutto il mondo. Come abbiamo visto nel dettaglio, i diritti della natura sono entrati nell’agenda politica internazionale grazie alla vigorosa spinta della Costituzione dell’Ecuador, approvata dal suo popolo nel 2008. Nel suo preambolo si esprimeva un mandato trasformatore:

"Celebrando la natura, la Pacha Mama, di cui facciamo parte e che è vitale per la nostra esistenza, [il popolo sovrano dell'Ecuador decide di costruire] una nuova forma di convivenza cittadina, nella diversità e in armonia con la natura, per realizzare il Buen Vivir, il sumak kawsay".

E il prospettare il Buen Vivir come orizzonte, diventa un mandato che obbliga a superare le visioni e le pratiche tradizionali che costituiscono il cuore della modernità, cioè il “progresso" e il suo figliastro, lo "sviluppo".
 

Significato politico del termine sumak kawsay

 Sottolineiamo che il Buen Vivir o Sumak Kawsay appare ancorato “all’eredità storica dei popoli andini, alle loro pratiche quotidiane, alla loro saggezza pratica”, come ha osservato il grande intellettuale argentino Héctor Alimonda. Si basa sull’apprendimento e sulle esperienze delle comunità indigene, nonché sui loro diversi modi di produrre conoscenza. Parte dei loro diversi modi di vedere la vita e del loro rapporto con la Pacha Mama. Accetta come asse unificante la relazionalità e la complementarità tra tutti gli esseri viventi, umani e non umani. È forgiato dall’interculturalità. Vive nelle pratiche economiche solidali.

E così le varie traduzioni, non senza complicazioni, di Buen Vivir ci rimandano alle culture di molti popoli indigeni dell'Abya-Yal andino e amazzonico: sumak kawsay o alli kawsay (in quechua), suma qamaña (aimara), ñande reko o tekó porã (Guaraní), pénker pujústin (Shuar), shiir waras (Ashuar), tra gli altri. Nozioni simili esistono presso altri popoli indigeni, ad esempio tra i Mapuche del Cile: kyme mogen, i Kuna di Panama: balu wala, i Miskitos del Nicaragua: laman laka, ma esistono termini anche nella tradizione maya del Guatemala e del Chiapas (Messico).

L’importanza politica del recupero di questi termini è sottolineata da José María Tortosa, grande pensatore di Alicante, precisamente: “L’idea di sumak kawsay o suma qamaña è nata nella periferia sociale della periferia mondiale e non contiene elementi fuorvianti dello sviluppo convenzionale. […] l'idea nasce dal vocabolario di popoli un tempo totalmente emarginati, esclusi dalla rispettabilità e la cui lingua era considerata inferiore, ignorante, incapace di pensiero astratto, primitiva. Ora il suo vocabolario entra in due costituzioni”.


Altre voci sui diritti della natura, dagli Stati Uniti fino all'Argentina

La cosmovisione dei popoli indigeni, eterogenea e diversa, dialoga con un insieme di letture di giuristi che già postulavano l'espansione dei diritti verso la natura. Gli antecedenti sono molteplici. Come dicevamo prima, lo statunitense Christopher Stone, con il suo celebre testo Should Trees Have Standing?, ha gettato le basi per una giurisprudenza in continua espansione. Marie-Angèle Hermitte, francese, preoccupata per lo status giuridico della biodiversità, ha contribuito nel 1988 all'ampliamento dello stretto orizzonte della giurisprudenza antropocentrica.

Nella Nostra America questa discussione giuridica era presente almeno dagli anni ottanta. Nel suo articolo “Un imperativo categorico: riconoscere i diritti della natura”, Godofredo Stutzin riconosce che il distacco dell’uomo dalla natura ha provocato un’aspra guerra contro di essa. Stutztin ha compreso lucidamente che la natura ha i suoi interessi, che non solo sono indipendenti dall'uomo, ma addirittura si oppongono ad esso in una prospettiva temporale. Da lì, ha concluso che 

"solo con il passare del tempo e sotto la pressione dei fatti, che sono ancora più tenaci del diritto, la natura otterrà, prima nella dottrina, poi nella giurisprudenza e infine nella legislazione, lo status giuridico che le corrisponde e che le consentirà di far valere pienamente i diritti che le sono inerenti."

Altri paesi della regione, come l’Argentina, sembrano ignari di questi dibattiti. Si potrebbe tuttavia affermare che i diritti della natura sono tacitamente e parzialmente riconosciuti nella sua legislazione. Proprio nell’art. 41 della Costituzione nazionale e la legge generale sull'ambiente 25.675, del novembre 2002, stabilisce che "il danno ambientale genererà principalmente l'obbligo di ricomposizione". Ciò significa che esiste il dovere di riportare l’ambiente allo stato precedente al danno, indipendentemente dall’accreditamento del danno alle persone o alle loro cose, che è alla base del diritto umano all’ambiente.

Nello stesso senso, una risoluzione della Corte Suprema di Giustizia della Nazione argentina dell’11 luglio 2019 ha affermato
"che, in questa direzione, vale la pena ricordare che il paradigma giuridico che impone la regolamentazione dell’acqua è ecocentrico, o sistemico, e non tiene conto solo degli interessi privati ​​o statali , ma quelli dello stesso sistema, come stabilito dalla Legge Generale sull'Ambiente."

La legislazione argentina riconosce anche, da molti decenni, l'animale come titolare del bene giuridico per il reato di “maltrattamento”, assegnandogli lo status di vittima. Infatti, l'art. 1 della legge nazionale 14.346 prevede: “Chiunque reca maltrattamenti o rende gli animali vittime di atti di crudeltà è punito con la reclusione da quindici giorni a un anno”. Facciamo un ulteriore passo avanti: "A nostro avviso, il diritto legale nel reato di maltrattamento animale non è altro che il diritto dell'animale stesso a non essere oggetto di crudeltà umana, per cui è necessario riconoscere il suo carattere di soggetto di diritti”, segnalava nel 2012 il dottor Raúl Eugenio Zaffaroni, allora membro della Corte Suprema di Giustizia della Nazione.

Crediamo qui che sia necessario ricordare l’esegesi delineata dalla dottoressa Valeria Berros e dall’avvocato Rafael Colombo, dell’Università Nazionale del Litorale, nel loro articolo “Visioni emergenti sullo status giuridico dei fiumi, bacini e ghiacciai”, quando affermano che

"la legge costituzionale argentina dopo il 1994 ha introdotto una serie di diritti che permetterebbero di sperimentare un’interpretazione ecocentrica della legge costituzionale ambientale basata sulla nozione di diversità biologica."

A partire dal secondo comma dell'art. 41 della Costituzione nazionale argentina, che ordina “alle autorità” dei tre poteri dello Stato di preservare la diversità biologica e il patrimonio naturale, si tenta di bilanciare la prospettiva antropocentrica che emerge dal primo comma del citato articolo, dove il diritto dell'ambiente è soggetto alle necessità umane.

A tal fine, entrambi i giuristi utilizzano l’ampiezza della definizione di diversità biologica prevista dalla Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) firmata a Rio de Janeiro nel 1992. L’Argentina, ratificando tale convenzione nel 1994, dichiarò:

"Ciò premesso, è opportuno precisare che la Convenzione sulla diversità biologica è in dialogo diretto con la nostra Costituzione nazionale poiché consente di interpretare la nozione di diversità biologica stabilita dall'art. 41 nell'ambito del plesso normativo nazionale ed internazionale. Chiaramente, la Convenzione sulla diversità biologica fornisce una linea diretta di comunicazione per il nostro sistema giuridico nazionale sul significato e la portata della protezione della diversità biologica."

Dopo aver citato le tre fonti normative che fanno riferimento alla diversità biologica – la Costituzione nazionale, la Convenzione sulla Diversità Biologica e la Legge Generale sull’Ambiente –, sostengono che solo la Convenzione fornisce una definizione che permette di avvicinarsi al suo significato e fornisce elementi essenziali per comprendere lo stato della questione circa lo status giuridico della natura e la possibilità di interpretare l'art. 41 della Costituzione nazionale sulla base del paradigma ecocentrico o biocentrico.

Nello specifico, l'art. 2 della Convenzione sulla diversità biologica, che fa riferimento ai termini utilizzati nel testo, afferma: “Per diversità biologica si intende la variabilità degli organismi viventi provenienti da qualsiasi fonte, compresi gli ecosistemi terrestri, marini e altri ecosistemi acquatici e i complessi ecologici di cui fanno parte: comprende la diversità all’interno di ciascuna specie, tra le specie e degli ecosistemi”. La definizione è sufficientemente ampia da comprendere qualsiasi forma di vita umana e non umana. Come afferma la giurista argentina Aída Kemelmajer de Carlucci in “Diversità biologica e diversità giuridica” (2016), riferendosi alla Convenzione sulla Diversità Biologica, “il termine biodiversità comprende tutti i tipi e varietà in cui la vita si manifesta, ordinandoli in tre livelli di organizzazione: ecosistema, specie e geni".

Gli autori di riferimento, Barros e Colombo, concludono che “la Convenzione sulla Diversità Biologica viene ad ampliare e pluralizzare i modi di intendere questo diritto che è, allo stesso tempo, un modo alternativo di intendere il rapporto tra natura e società”.
 

Potenti sfide legali provenienti dai diritti della natura

Come sottolinea Corman Cullinan nel suo libro Wild Law: A Manifesto for Earth Justice, pubblicato nel 2002, i diritti della natura rappresentano una sfida per la scienza giuridica, da sempre limitata agli esseri umani e agli enti di diritto pubblico e privato. L’importante qui è proporre con rigore queste nuove concezioni che aprono le porte a una nuova vita affinché ci permettano di costruire un mondo sano ed equilibrato. Si tratta, di conseguenza, di ampliare e completare il paradigma dei diritti umani (visione antropocentrica), aggiungendovi i “diritti della natura” (visione biocentrica). Insisteremo finché non saremo stanchi: i diritti umani sono complementari ai diritti della natura e viceversa.

Il riconoscimento dei diritti alla natura presuppone una trasformazione del pensiero giuridico, esige uno spostamento epistemologico che riprende e attualizza le conoscenze e le scienze ancestrali delle nazioni e dei popoli nativi –l'indigenità–, contadini, interculturali, afro-latinoamericani, che integra con le teorie ecologiche, tecnologiche e tutte le scienze multidisciplinari delle teorie della complessità, delle teorie critiche allo sviluppo predatorio e la modernità.

Sagge parole di Raúl Zaffaroni nel suo libro La Natura con Diritti. Dalla filosofia alla politica (2011), dove afferma che 

"Gaia viene dall'Europa e la Pacha Mama è nostra, ma questi sono solo nomi della Terra, nella quale non solo stiamo, ma della quale facciamo parte. È un incontro tra una cultura scientifica che si allarma e una cultura tradizionale che già conosceva il pericolo che viene annunciato oggi e anche la sua prevenzione e perfino il suo rimedio."

Il versante giuridico dei diritti della Madre Terra afferma che il diritto e le forme di governo sono costruzioni sociali che evolvono nel tempo e cambiano secondo le nuove realtà. La corrente giuridica si propone di sviluppare una giurisprudenza focalizzata sulla Terra e non solo sull’essere umano, e di armare un nuovo quadro giuridico e istituzionale che includa i postulati delle correnti scientifica, etica e indigena per accelerare i cambiamenti profondi di cui abbiamo bisogno. Si chiede come ripensare l’ordine giuridico e istituzionale per consentire il benessere della Terra e di tutte le sue componenti. La domanda di fondo è come possono i nostri quadri giuridici e normativi riflettere il fatto che la natura ha un valore intrinseco: come costruire forme di governo che contribuiscano a evitare squilibri catastrofici nel pianeta.
Non si può più sostenere che gli esseri umani siano la corona della creazione poiché sono diventati la corona della distruzione. Riconoscere i diritti alla natura è il grido degli esseri umani contro l’inquinamento, il degrado, la depredazione ambientale, la crisi ecologica, così come contro la disuguaglianza sociale, lo sfruttamento del lavoro, la povertà e la fame: insomma, la spoliazione della Madre Terra. E accettando che noi siamo natura, possiamo concludere che non siamo noi a difendere la natura, ma è piuttosto la natura stessa – attraverso noi – che si difende da cotanta distruzione.
 

L'enciclica di Francesco, il grido dei poveri e la natura

 La già citata enciclica Laudato Si' di Papa Francesco I, pubblicata nel 2015 e archiviata dal potere, fornisce importanti contributi al riconoscimento dei diritti della natura:

“Noi stessi siamo la terra. Il nostro corpo è costituito dagli elementi del pianeta”.
“Quando parliamo di 'ambiente' indichiamo soprattutto un rapporto, quello che esiste tra la natura e la società che la abita. Ciò ci impedisce di comprendere la natura come qualcosa di separato da noi o come una semplice cornice per la nostra vita. Siamo inclusi in esso, ne siamo parte e ne siamo compenetrati”.
“L’uomo non crea se stesso. È spirito e volontà, ma anche natura”.
“Siamo cresciuti pensando di esserne i proprietari e i dominatori, autorizzati a saccheggiarlo”.
“Tra i poveri più abbandonati e maltrattati c’è dunque la nostra terra oppressa e devastata, che 'geme e soffre i dolori del parto'”.
“La povertà e l’austerità di San Francesco non erano un mero ascetismo esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a trasformare la realtà in un mero oggetto d’uso e di dominio”.
“Ma non basta pensare alle diverse specie solo come possibili ‘risorse’ sfruttabili, dimenticando che hanno valore in sé”.
“Sarebbe anche sbagliato pensare che gli altri esseri viventi debbano essere considerati meri oggetti sottomessi all’arbitraria dominazione umana. “Quando una visione della natura viene proposta esclusivamente come oggetto di profitto e di interesse, ciò ha gravi conseguenze anche per la società”.
«L'antropocentrismo moderno, paradossalmente, ha finito per anteporre la ragione tecnica alla realtà, perché questo essere umano 'non sente la natura né come una norma valida, né tantomeno come un rifugio vivente'. […] Nella modernità c’è stato un grande eccesso antropocentrico.”


Devono essere passati venti secoli prima che la Chiesa cattolica accettasse di dichiarare “persone” tutti gli esseri non umani. Un passo fondamentale dopo tante aberrazioni basate sulla visione che pone l’essere umano al di sopra del resto degli esseri viventi, che è stata anche il substrato di razzismi e molteplici genocidi. In questo senso, questa enciclica aiuta a comprendere e rafforzare l’attuale resistenza per sostenere che, oltre a noi esseri umani, ce ne sono anche altri che hanno diritti.

La storia di questa problematica in Occidente provoca scetticismo. Risulta difficile che chi si considera civilizzato, e quindi superiore ad altri esseri viventi e financo ad altri esseri umani, accetti facilmente questi reclami biocentrici. Che queste concezioni rappresentino una minaccia per i gruppi di potere non c’è ombra di dubbio. Con i diritti della natura, quando essa smette di essere oggetto e diventa soggetto, vanno sfumando gran parte delle loro visioni e pratiche basate sulla proprietà privata della Terra.

Anche tra coloro che si dichiarano responsabili difensori dell'ambiente c'è un certo rifiuto ad accettare che la natura sia soggetto di diritti. Lo vediamo nei gruppi di ambientalisti ed ecologisti, che hanno difficoltà a superare la loro pesante ombra antropocentrica. Ricordiamo che, percorrendo vari sentieri, arriviamo ai dibattiti attuali in America Latina, erede delle visioni, dei pensieri, dei valori, delle esperienze e delle pratiche di una molteplicità di popoli aymara, quechua, maya, shuar, mapuche, tra i tanti. In questi popoli e nazionalità, al di là del nome e dell'immagine che la Madre Terra adotta, ciò che ci interessa è riconoscere un profondo senso di unità tra questa e gli esseri umani, senza la presunta distanza e superiorità che è stata imposta soprattutto con la modernità. Niente dovrebbe impedirci di fare questo passo.
 

Conseguenze di questa nuova svolta copernicana

Abbiamo bisogno di un mondo incantato attorno alla vita. Qualcosa che otterremo con dialoghi e incontri tra gli esseri umani, come individui e comunità, e di tutti con la natura, comprendendo che siamo un tutto. Fino a quando questo cambiamento di civiltà non sarà realizzato, i tempi a venire diventeranno sempre più difficili. Se comprendiamo la necessità del cambiamento, torniamo a “fare il nodo gordiano, attraversando, tante volte quanto necessario, il taglio che separa le conoscenze esatte e l'esercizio del potere, natura e cultura”, come chiedeva Bruno Latour.

Incorporare la natura come soggetto di diritti in una Costituzione o in una legge – atto formalmente antropocentrico, sì, ma imprescindibile se vogliamo che questi diritti esistenziali si sviluppino nella realtà concreta – ci costringe a muoverci verso visioni e pratiche biocentriche.

Nella pratica giuridica ciò significa che, non appena entrano in vigore i diritti della natura, non esiste più il diritto di sfruttare senza pietà la Madre Terra e ancor meno di distruggerla. L’unico diritto che esiste è l’uso ecologicamente sostenibile. Le leggi umane e le azioni umane, quindi, devono essere in accordo con le leggi della natura. La sua validità risponde alle condizioni materiali che consentono la sua cristallizzazione e non un mero riconoscimento formale in campo giuridico. E la sua proiezione, quindi, deve superare le visioni che intendono i diritti come compartimenti stagni, poiché il suo impatto deve essere multiplo, diversificato, transdisciplinare.

Comprendere questo punto richiede la suddetta svolta copernicana in tutti gli aspetti della vita, sia nella sfera giuridica, economica, sociale e politica, ma soprattutto in quella culturale. La concezione della natura come soggetto di diritti comporta varie conseguenze.

Innanzitutto implica necessariamente la sua demercificazione. Proprio come l’attuale discorso normativo vieta di trattare gli esseri umani come merci, la natura dovrebbe ricevere lo stesso trattamento. Questi nuovi paradigmi ci conducono ad un progressivo ed essenziale processo di uscita della natura dalla logica commerciale e pianificatrice statale, poiché è necessario promuovere contemporaneamente una relazione armonica con essa – nella misura in cui ne siamo parte – e adeguare le attività degli umani ai suoi ritmi. È importante chiarire che questo progetto tutela i “sistemi di vita”, il che non rappresenta un ostacolo allo sviluppo delle attività agricolo-zootecniche, purché queste non mettano a rischio la biodiversità e i cicli ecologici. Come abbiamo già detto, possiamo, ad esempio, commerciare e mangiare carne, pesce e cereali, purché i territori e le culture non vengano distrutti e sia garantito che gli ecosistemi continuino a funzionare con le loro specie autoctone.

La non commercializzazione non significherà nemmeno il divieto di commercializzare le materie prime. È importante notare che questi diritti non difendono una natura incontaminata, ma cercano piuttosto di mantenere sistemi di vita, gruppi di vita. La loro attenzione è focalizzata sugli ecosistemi.

Ciò richiede il superamento di tutti i tipi di aberrazione commerciale. Pensiamo al tentativo, qualche anno fa, di “finanziarizzare” l'impollinazione che effettuano le api. Non le api, non il miele, non gli alveari: quello che hanno cercato di privatizzare è l’atto di impollinazione di questi insetti. È come se volessero privatizzare la fotosintesi delle piante...

In secondo luogo, la dignità – fondamento dei diritti umani – presuppone che ogni essere umano abbia un valore intrinseco. Il paradigma dei diritti della natura riconosce anche i valori intrinseci o naturali indipendentemente dalla valutazione umana. È una posizione biocentrica basata su una prospettiva etica alternativa, visto che accetta valori intrinseci nell'ambiente e negli altri esseri viventi. Eduardo Gudynas, impegnato in questa impresa copernicana, sostiene che la considerazione dei valori della natura consiste nel riconoscere che tutte le forme di vita hanno valori in sé e, quindi, hanno il diritto di sviluppare i propri processi vitali. Ovviamente qui c'è una mediazione umana, nella misura in cui sono le persone a riconoscere questi valori. Ma questa valutazione va oltre la nostra interpretazione e risiede negli stessi esseri viventi. Per questo motivo tali valori sono detti “intrinseci”, poiché l’essenza del valore è inerente agli esseri viventi.

L’obiettivo è quindi preservare l’integrità dei processi naturali, garantendo i flussi di energia e materiali nella biosfera, continuando a preservare la biodiversità del pianeta. Nei diritti della natura il centro è posto sulla natura. Insomma, questa vale di per sé, indipendentemente dall’utilità o dagli usi che gli esseri umani possono o intendono farne.

In terzo luogo, stabilire la natura come soggetto di diritto richiede una relazione di uguaglianza e rispetto tra gli esseri umani e la natura. In termini di uguaglianza e rispetto, ci invita a comprendere che gli esseri umani, in quanto esseri terrestri, non possono organizzare processi al di fuori dei limiti biofisici della terra e ancor meno contro di essi.


(6. Continua)


-> Economista ecuadoriano e giurista ambientalista argentino, coautori del libro "La Naturaleza sì tiene derechos. Aunque algunos no lo crean". Giudici del Tribunal Internacional de los Derechos de la Naturaleza. Membri del Pacto Ecosocial, Intercultural del Sur.
* Traduzione Giorgio Tinelli per Ecor.Network

 

 


Tratto da:

La naturaleza sí tiene derechos. Aunque algunos no lo crean
Alberto Acosta, Enrique Viale
Siglo Veintiuno Editores, Argentina, 09/2024 - 208 pp.
 



13 gennaio 2025 (pubblicato qui il 07 febbraio 2025)