Pueblos contra el Extractivismo è uno spazio di coordinamento internazionale tra comunità, organizzazioni e popoli che affrontano gli impatti del modello estrattivista nei loro territori. Nasce come risposta all'offensiva privatizzatrice, coloniale ed ecocida del potere imprenditoriale che minaccia i nostri territori e la vita stessa delle nostre comunità. Di fronte a questo scenario, ci impegniamo a costruire alternative dal basso, contro-egemoniche, basate sulle esperienze di lotta popolare e che difendano stili di vita più giusti, solidali e sostenibili.
Ci stiamo organizzando per unire le forze nella difesa dei nostri territori e per affrontare collettivamente le multinazionali che operano impunemente in tutto il mondo. Dalla prospettiva di una riorganizzazione degli spazi globali, nazionali e locali guidata da organizzazioni di base che rafforzano una dinamica di conflitto e si confrontano esplicitamente con l'egemonia delle élite politico-imprenditoriali.
Riteniamo che non sia sufficiente contrastare gli effetti dell'estrattivismo, ma è necessario affrontarne le cause profonde: un modello economico basato sul saccheggio e sulla disuguaglianza. Questa rete si propone quindi come strumento per promuovere azioni comuni, rafforzare alleanze, evidenziare resistenze e costruire una proposta eco-territoriale internazionalista che difenda la vita, la terra, i corpi e le culture in una prospettiva anticapitalista, anticoloniale e antipatriarcale.
Facciamo appello alle organizzazioni, alle piattaforme, ai collettivi e alle comunità sorelle che lottano contro l'estrattivismo in tutte le sue forme a unirsi a questo sforzo internazionale. È tempo di unire le forze, unire la nostra resistenza e andare avanti insieme contro il saccheggio globale del potere delle multinazionali. Siamo una rete viva e in costruzione.
Unisciti a Pueblos contra el Extractivismo e rendiamo l'internazionalismo uno strumento vivo e di lotta in grado di cambiare il mondo dalle fondamenta!
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Manifesto
L'appropriazione e la mercificazione dei territori e della natura da parte delle imprese si stanno espandendo in termini settoriali, geografici e politici.
I megaprogetti estrattivi legati allo sfruttamento di minerali essenziali, lo sviluppo di grandi parchi di energia rinnovabile, le macro-agro-aziende agricole, le aziende agroalimentari e i massicci progetti infrastrutturali di ogni genere stanno acquisendo un'importanza sempre maggiore come spazi privilegiati per l'accumulazione di capitale. Allo stesso modo, le iniziative tradizionali di estrazione mineraria e di idrocarburi mantengono la loro natura strategica per sostenere le dinamiche capitalistiche.
Il capitalismo definisce una relazione mercantilista e di sfruttamento con la natura, ma allo stesso tempo non riesce a risolvere le crisi energetiche, sanitarie, ecologiche e socioeconomiche che colpiscono principalmente le classi lavoratrici di tutto il mondo. Questa è una fase di neocolonialismo e di sfruttamento da parte del capitalismo, in cui il saccheggio della
natura attraverso l'estrattivismo, il potere delle multinazionali e la militarizzazione, innescano una vera e propria offensiva contro vari territori, soprattutto nei paesi periferici e semi-periferici. Alla base c'è una crescente disputa sull'approvvigionamento energetico e materiale che, in breve, continua ad alimentare un consumo non sostenibile, soprattutto al Nord, basato sullo sfruttamento delle risorse naturali che distrugge gli habitat e avvantaggia esclusivamente una ristretta élite economica e politica su scala globale, nazionale e locale.
Gli idrocarburi e le materie prime fondamentali per lo sviluppo di questo rinnovato capitalismo verde militare e digitale si concentrano in luoghi specifici, generalmente al di fuori dei confini degli stati centrali, e ciò in pratica non fa altro che incentivare l'estrattivismo e, in particolare, le più grandi compagnie minerarie del mondo a sfruttare tutto ciò che è necessario per cambiare la fonte principale di risorse energetiche. Nel frattempo, il discorso egemonico maschera questa febbre estrattivista dietro concetti come neutralità climatica, transizione verde e digitale, o patti politici come il Patto Verde Europeo o il Green New Deal, che si limita a dipingere di verde la voracità del capitalismo.
Questa transizione verde e digitale non fa che accentuare le disuguaglianze sociali su scala globale, mentre allo stesso tempo sostiene una matrice energetica estrattiva e accelera il superamento dei limiti biofisici del pianeta.
Inoltre, in termini geopolitici, aumenta ulteriormente il potere delle multinazionali, alimenta il regime di guerra e approfondisce questa offensiva neocoloniale. Le grandi potenze si contendono quindi l'accesso e il controllo delle catene di approvvigionamento necessarie alle loro economie, mettendo al servizio di questa strategia una serie di strumenti economici, diplomatici e militari. I loro interessi vengono dispiegati attraverso la firma di accordi di libero scambio e di investimento, che confermano il consueto modus operandi della globalizzazione capitalista: mentre ai paesi firmatari vengono promessi tutti i tipi di benefici sociali, lavorativi e di salvaguardia ambientale, questi non solo non riescono ad avere un impatto positivo sulla maggior parte della società, ma i loro effetti si ripercuotono sotto forma di gravi impatti socio-ecologici. Allo stesso tempo, proliferano accordi su energia e materie prime su scala bilaterale e regionale, che non fanno altro che alimentare i profitti delle élite e delle grandi imprese, sfruttando al contempo la classe lavoratrice e i popoli. La militarizzazione e il consolidamento dello stato di guerra in molti territori strategici sono già una realtà palpabile all'interno di questa offensiva neocoloniale.
L'attività mineraria su piccola e grande scala ha conseguenze irreparabili in termini di danni sulla superficie delle terre, inquinamento dell'aria, contaminazione delle acque in superficie e sotterranee, impatto sulla flora e sulla fauna e sgombero delle comunità dai loro territori di origine attraverso una violenza che non fa che replicare la logica della colonizzazione.
Le attività estrattive si verificano generalmente in aree ad alta sensibilità ecologica, come 'paramos', 'pampas', pianure, mari, foreste, bacini di alta quota e fonti d'acqua, nonché in luoghi che costituiscono la base di un'economia di agro-produzione a lungo termine e dove i danni causati finiscono per incidere sulla produzione alimentare delle popolazioni rurali e urbane. Lo sviluppo delle mega-attività minerarie, dell'industria petrolifera e dell'agroindustria, segna la prosecuzione della storia del saccheggio di territori e l'imposizione di negazione della produzione dei nostri alimenti nel quadro della sovranità alimentare, ma cercando al contrario di favorire le grandi filiere di produzione alimentare.
Se la transizione ecosociale è necessaria e inevitabile, questa deve basarsi su una prospettiva di classe, popolare e democratica che decida cosa, chi e come portarla avanti. L'estrattivismo, in quanto braccio fondamentale del modo di produzione capitalista, basato sullo sfruttamento intensivo e devastante della classe operaia, dei contadini e di Madre Terra, genera gravi impatti sociali, economici, culturali e ambientali sulle comunità e sui territori di tutto il mondo. In questo contesto, l'auto-organizzazione sociale e di base diventa uno strumento fondamentale per difendere i diritti territoriali, la giustizia ambientale e costruire una proposta eco-sociale alternativa per affrontare l'assalto estrattivo e i suoi meccanismi legali, politici e imprenditoriali. È tempo di considerare altri possibili futuri, che vadano oltre questo modello di svuotamento e depredazione.
Di fronte all'avanzare della privatizzazione e dell'approccio estrattivista, ci sono altre forme con cui le classi popolari, i contadini e i popoli indigeni possono generare ricchezza nei nostri territori, dove esiste già un'enorme ricchezza etnica e culturale, con potenzialità proprie e rispettose della natura. Aprire il cammino ad altre forme di organizzare l'economia e la vita in comune non implica delegare agli stati alleati al potere imprenditoriale, né fare affidamento sulla buona volontà dei proprietari di grandi fortune. I limiti mostrati dall’azione dei governi progressisti e dagli accordi interclassisti sono più che evidenti, per questo è necessario andare oltre: riarticolare spazi globali, nazionali e locali guidati da organizzazioni popolari che rafforzino una dinamica di conflitto e si confrontino esplicitamente con l’egemonia delle élite politico-imprenditoriali.
Rimane fondamentale una solidarietà internazionalista
che articoli le comunità in lotta e i popoli in resistenza per affrontare l'ordine capitalista, eteropatriarcale, coloniale ed ecocida.
L'unica soluzione giusta alla crisi sarà con i popoli e la lotta popolare per difendere i propri territori dal potere delle multinazionali, rafforzando proposte alternative e reti controegemoniche transnazionali che esigano e rendano effettivi i diritti delle maggioranze sociali. In questo senso, l'idea di poter articolare le lotte dei popoli nasce come luce per generare organizzazione popolare internazionalista e proseguire le lotte territoriali unendo gli sforzi e così qualificando e amplificando la lotta contro l'estrattivismo in tutte le sue forme, come uno dei settori più attivi della lotta sociale che pone in evidenza le contraddizioni del capitalismo.
La proposta fondamentale è la creazione di una Rete Internazionale dei Popoli contro l’estrattivismo, anticapitalista, antipatriarcale, anticoloniale e per la giustizia climatica, il cui scopo è:
1) Proporre strategie comuni per contrastare le imprese estrattive transnazionali. Questi sono i nemici comuni a cui possiamo rispondere con maggiore impatto e forza da questo spazio internazionalista.
2) Conformare una unione di organizzazioni popolari che combattano l'attività mineraria e l'estrattivismo in tutte le sue forme, consapevoli che queste sono una conseguenza diretta delle dinamiche capitalistiche sulla scena globale. Partiamo dall'idea che non è possibile lottare contro gli effetti senza combattere le cause che stanno alla radice del modello economico che consente e incoraggia ogni tipo di relazione di oppressione, neocolonizzazione e depredazione.
3) Proporre la difesa del pianeta, della vita presente nella sua flora e fauna, da una prospettiva radicalmente di classe, dei popoli oppressi e soprattutto di coloro che subiscono le peggiori conseguenze ambientali e sociali di questo sistema predatorio.
In particolare, facciamo appello a tutti i popoli fratelli che abbiamo incontrato lottando per un mondo nuovo a unire le nostre voci di speranza e a organizzarci attraverso questa grande Rete internazionale. Per cui, con determinazione, definiamo i primi passi:
– Identificare lotte simili in ciascuno dei nostri paesi, organizzandoci con determinazione per la creazione o rafforzamento di ampie alleanze con organizzazioni sociali, politiche e sindacali come obiettivo chiave della Rete.
– L’impegno per un internazionalismo eco-territoriale, legato alle reti comunitarie
– Il rifiuto attivo della logica bellica e neocoloniale del saccheggio e dell’invasione.
– Una composizione eterogenea, radicata nelle lotte popolari e che guardi oltre i confini statali come unico quadro possibile di azione politica.

Per continuare ad approfondire tutto ciò, convochiamo le organizzazioni di base, i popoli in lotta e le varie resistenze anti-estrattiviste a un incontro internazionale nel quale verrà presentata questa articolazione globale, in concomitanza con la Cumbre de los Pueblos che avrà luogo a Belém, in Brasile, nel novembre 2025.