*** Sesta e ultima parte ***

Le acque visibili/6

di Lucia Maina Waisman


Donne contadine contro vento e sabbia

Le loro vite scorrono tra le dune di Catamarca. Lì, nella casa del vento, è germogliato il nome con cui il popolo originario Cacán ha battezzato questa regione nella sua lingua: Fiambalá. Sono cresciute in villaggi segnati dalla scarsità di acqua, di denaro e di politiche pubbliche. Insieme alle loro famiglie e alla loro comunità hanno imparato a domare il bianco del deserto e a moltiplicare i loro piatti con il verde degli orti e degli alberi da frutto. Finché un giorno si sono ritrovate ad un punto. Un punto sulla terra, appena più grande di una formica, molto più piccolo di un telefono cellulare, eppure contenente tutte le informazioni su cos'è il cibo, l'ossigeno, il paesaggio, la biodiversità.

Parliamo di semi di diverse forme e colori esposti a migliaia sulle bancarelle che danno vita alla Fiera per lo Scambio di Semi Nativi e Creoli che, da quasi vent'anni, viene organizzata a El Bolsón de Fiambalá dall'Asociación Campesinos del Abaucán (ACAMPA), insieme all'Asociación Civil Bienaventurados los Pobres. Stiamo parlando di donne native e creole che si dedicano ogni giorno a seminare, annaffiare, raccogliere e seminare di nuovo, e che una volta all'anno mettono con cura i loro semi sui tavoli di questo evento, per continuare a riprodurre i frutti e le conoscenze della vita contadina. Per continuare a riprodurre la vita.

Tatón, situato nel dipartimento di Tinogasta, a più di 300 chilometri dalla città di San Fernando del Valle di Catamarca, è il villaggio in cui da qualche anno si tiene questa fiera, il luogo in cui centinaia di produttrici e produttori si recano per condividere storie, semi e conoscenze contadine provenienti da tutta la regione.

Per arrivarci bisogna attraversare diversi santuari di Gauchito Gil, di tanto in tanto appaiono degli asini tra le jarillas e le ginestre, e poi sabbia, sempre più sabbia. Dopo aver attraversato il fiume Abaucán, che alimenta le coltivazioni in quest'arida zona precordigliera, si apre un paesaggio simile a una spiaggia infinita e disabitata. Un deserto fatto di dune di tutte le dimensioni, tra cui alcune tra le più alte del mondo, che cambiano gradualmente forma e posizione, fino ad occupare addirittura la strada quando in inverno soffia l'aria calda e secca dello zonda. Un terreno bianco che, poco a poco, lascia posto al verde.

Solo quando i pascoli e i pioppi cominciano a moltiplicarsi e tra essi si intravede qualche ruscello o torrente, compaiono i primi segni della presenza umana: un vigneto, degli uliveti, delle case isolate di adobe e qualche abitante che saluta sul ciglio della strada. Poi, finalmente, Tatón: un villaggio di circa 400 persone che vivono in case sparse tra masserie e colline.


Quando arriva l'acqua

Salendo su una piccola collina del villaggio si incontra una casa, che in realtà è un gruppo di due o tre abitazioni da cui spuntano tre bambini, una coppia e un'altra donna. Tutte e tutti i membri della numerosa famiglia di Elena, una donna sulla sessantina con i capelli corti e ricci che le incorniciano il viso tondo, ci invita a sedere in un grande salone che funge da sala da pranzo. La conversazione inizia dall'acqua, punto di partenza per comprendere la vita e la produzione attuale di tutta la sua comunità: - L'acqua scende dalle colline, ci sono diversi torrenti che arrivano da lontano, da lì, vicino ad Antofagasta, poi si uniscono per formare il rio Tatón che arriva fin qui. Ma in passato abbiamo sofferto molto perché non avevamo canali, l'irrigazione avveniva tramite fossati, ma stiamo parlando di un fiume che porta molta sabbia, l'acqua si infiltrava e scorreva via. Ora, grazie a Dio, non abbiamo problemi d'acqua -, dice Elena raccontando che circa dieci anni fa l'amministrazione comunale ha costruito un sistema di canali e serbatoi che permettono di distribuire l'acqua attraverso tubature alla maggior parte delle case e delle masserie del villaggio.

La costruzione di infrastrutture e l'accesso delle famiglie all'acqua hanno dato vita a una comunità con una grande diversità di colture e produzioni. Fichi, pesche, mele cotogne, viti, noci, melograni, mele e fichi d'India fanno parte della lunga lista di alberi da frutto presenti nel villaggio, a cui negli ultimi anni si sono aggiunti anche gli agrumi, senza contare la produzione di ortaggi e erbe aromatiche. Tatón è quindi un esempio di come le cose potrebbero essere diverse se i governi investissero nelle principali necessità delle comunità del Bolsón de Fiambalá.

- Siamo stati fortunati con questa amministrazione, i quartieri hanno potuto lavorare di più la terra, costruire più masserie. L'economia è migliorata molto, prima tutto si prosciugava, non potevamo coltivare ortaggi, niente - aggiunge la donna contadina parlando lentamente.

Tuttavia, come in tutta la regione, ci sono ancora problemi di scarsità d'acqua. Soprattutto perché l'approvvigionamento dipende dalla posizione di ogni masseria: mentre alcuni quartieri ricevono acqua tutto il giorno, ci sono altre zone di Tatón dove i canali non arrivano. La casa di Elena riceve acqua solo dalle otto del mattino alle tre del pomeriggio, orario durante il quale devono approfittare per riempire i serbatoi e irrigare. Con quella quantità d'acqua e il suo poco meno di un ettaro, la contadina riesce a raccogliere un'enorme varietà di alimenti:

- Io coltivo ortaggi, erbe aromatiche, carote, ravanelli, barbabietole, lattuga... Coltivo anche frutta; ho la mela Deliziosa, con cui faccio marmellate, gelatine e sciroppi. In altre parole, sfruttiamo tutto del frutto. Poi mio marito lavora con le piante di erba medica: le taglia, le vende, le dà da mangiare agli animali...

Si potrebbe dire che Elena fa agroecologia. Infatti, come membro dell'ACAMPA, ha partecipato a diversi corsi di formazione sulla lavorazione della terra e sulla produzione di nuove piante e nuovi semi, organizzati nella zona insieme all'associazione Be.Pe. Ma il modo in cui produce ognuno di questi alimenti è molto più di un tipo di agricoltura, sono le radici e la conoscenza della terra in cui è nata, è la cura per l'ambiente messa in ogni suo gesto quotidiano.

Con la sua famiglia, racconta, hanno sempre lottato per non usare prodotti chimici sulle loro colture, altri abitanti lo hanno fatto e la produzione è stata buona per un anno, ma poi le piante si sono seccate, aggiunge. Nella sua masseria, invece, utilizza ciò che non è più utile:

- Taglio tutte le erbacce per farne concime da mettere sulle piante e ciò che rimane, che sia frutta, erba medica o erbacce, viene utilizzato anche per gli animali, perché abbiamo polli e maiali. Abbiamo anche la vicia, una bellissima pianta che abbiamo conosciuto per il sovescio, perché cresce e il terreno diventa nero sotto, e se ci sono verdure le copre e le protegge. Qui abbiamo anche il nostro seme di vicia. Abbiamo imparato a fare molte cose del genere. Bisogna solo metterci il cuore e metterlo in pratica. Mentre un gruppo di bambini e bambine corre dentro e fuori dal salotto, la vicina racconta che buona parte del suo raccolto viene utilizzato per il consumo familiare mentre altri prodotti, come le erbe aromatiche o medicinali, vengono essiccati e venduti nel chiosco del villaggio, direttamente a casa sua e, soprattutto, nella grande fiera che si svolge a Tatón: la fiera dei semi.


Da vicina a vicina, di generazione in generazione

Dietro ogni produzione di Elena c'è un seme e una grande conoscenza condivisa di generazione in generazione, da vicina a vicina, da donna a donna. Già durante l'infanzia è stata testimone del valore del seme; sua madre barattava i suoi raccolti con una vicina che in cambio le scriveva lettere per comunicare con i parenti che vivevano lontano. Ora è lei stessa a scambiare le proprie esperienze con le vicine, dato che il lavoro nell'orto e con gli ortaggi nel villaggio è svolto per lo più da donne. Così, quando si incontrano, le consultazioni vanno avanti e indietro, diffondendo una rete di conoscenze orali e orizzontali: come posso fare questo dolce, come hai fatto con questa pianta, guarda questa zucca che ho raccolto ieri.

- Prima noi donne non potevamo nemmeno parlare, perché eravamo timide, non sapevamo. Poi abbiamo iniziato a uscire, a camminare, a integrarci. Abbiamo imparato a conoscere i nostri diritti, a lavorare, a sviluppare le nostre capacità -, dice Elena, aggiungendo che la sua partecipazione alle organizzazioni comunitarie, come ACAMPA e Be. Pe., le hanno permesso di fare molti passi avanti, l'hanno incoraggiata ad imparare molte cose sul suo ruolo di donna.

Con i suoi continui battiti di ciglia che contrastano con il ritmo lento della sua voce, Elena dice di aver ricevuto questa eredità anche dalla sorella, scomparsa da tempo, che era delegata del villaggio di Tatón e infermiera della zona, in un'epoca in cui l'unico modo per raggiungere l'ospedale era il carretto. La sorella è stata poi colei che assisteva a quasi tutte le nascite della comunità, compresa quella del nipote, primogenito di Elena.

Anni dopo Elena ha avuto un'altra figlia: Johana. Johana è cresciuta negli anni '80, quando era ancora praticamente impossibile raggiungere la città in auto e gli spostamenti avvenivano a piedi o a cavallo. Così, dopo aver frequentato la scuola primaria a Tatón, ha dovuto trasferirsi a casa di uno zio nella città di Tinogasta per frequentare la scuola secondaria. Una volta laureata, si è stabilita a Fiambalá ed è tornata nella sua scuola elementare, questa volta come insegnante.

Oggi, madre e figlia lavorano per difendere il loro territorio e la loro comunità:

- Sono un'agricoltrice, i miei genitori sono agricoltori, sono loro che mi hanno insegnato a lavorare la terra, a rispettarla, perché è quella che ci nutre, ci dà la vita, ci dà il cibo di cui abbiamo bisogno per sopravvivere -, dice Johana, che è anche una collezionista di semi creoli e nativi, ex presidente dell'ACAMPA, membro di Be.Pe. e partecipa attivamente a tutte le iniziative di promozione dell'agricoltura e della cultura tradizionale della sua regione.

Di generazione in generazione, Elena e Johana difendono la riproduzione della vita. Sono due delle tante donne latinoamericane protagoniste di quelli che l'antropologa colombiana Astrid Ulloa ha definito femminismi territoriali, che si basano su una concezione non frammentata della vita umana e non umana e sulla sua provvisorietà. Una connessione tra territori-terra e territori-corpo che si esprime nelle lotte di queste donne per la sovranità alimentare, che consente contemporaneamente la cura della salute attraverso il consumo di cibo sano e culturalmente appropriato, e la difesa dei beni necessari per produrlo, come i semi nativi, la terra e l'acqua.

Johana è anche una delle leader della lotta contro i progetti minerari che stanno cercando di installare a El Bolsón de Fiambalá, una questione che ha denunciato nella sua comunità e anche a livello internazionale con la sua partecipazione alla campagna Agua para Los Pueblos in cui la sua comunità, insieme ad altri popoli del Perù, della Colombia e del Brasile, chiedono che le organizzazioni internazionali, gli Stati e le imprese ascoltino le loro richieste riguardo alle violazioni dei diritti umani che l'attività mineraria sta causando nei loro territori.

- In questo momento c'è un'impresa mineraria nel nostro territorio, come la società Liex, che ha un progetto di estrazione del litio, e si dice anche che ci siano altre imprese minerarie che non si fanno conoscere. Ci sentiamo colpiti, sia donne che uomini. Noi donne ci sentiamo discriminate anche per quanto riguarda l'inserimento nel mondo del lavoro, visto che sono gli uomini ad essere assunti in queste aziende. Ma ci sentiamo danneggiate anche da altre situazioni come l'inquinamento ambientale. Inquinano le nostre acque, la flora, la fauna, il lavoro che svolgiamo ogni giorno in agricoltura e negli allevamenti. La visione che ho è che ci sono alternative, come la produzione agricola, e oggi lo Stato non sostiene queste alternative perché non è redditizio per loro, con l'estrazione mineraria si guadagna molto di più. Ecco perché l'estrattivismo è anche violenza contro le donne.

Come sottolinea Johana, secondo i dati del Ministero del Lavoro nel nostro paese meno del sette per cento delle persone occupate nel settore minerario sono donne. Allo stesso tempo, gli stipendi e l'accesso alle posizioni di potere mostrano una grande disuguaglianza di genere in queste aziende. Così, la stragrande maggioranza delle donne viene privata dell'unico presunto beneficio che l'attività estrattiva porta alle comunità colpite, ovvero il lavoro salariato, mentre le conseguenze di questa attività si ripercuotono direttamente sul lavoro svolto effettivamente dai contadini e con cui sfamano le loro famiglie. Riguardo l'estrazione mineraria Elena si pone gli stessi interrogativi della figlia e, come testimone dei cambiamenti avvenuti nel tempo nel suo territorio, denuncia anche altri problemi ambientali. I suoi racconti mostrano che il paesaggio di dune così caratteristico di Tatón non è sempre stato il deserto che vediamo oggi. Oltre alle caratteristiche naturali della zona, tra quelle montagne di sabbia c'era anche la boscaglia. Quando ero ragazza, racconta, ogni domenica si andava lì a tagliare gli alberi per la legna da ardere, la ginestra per sorreggere le viti. Quando poi fu costruita la strada la situazione peggiorò, la popolazione del villaggio crebbe e anche il fabbisogno di legna da ardere, ma nessuno piantò un albero. Il risultato è che l'ultimo inverno abbiamo dovuto comprare legna o utilizzare il gas, perché non ce ne è più, dice Elena denunciando la mancanza di consapevolezza del governo e di molti altri abitanti nel prendersi cura della propria casa.

A partire dalle loro esperienze in difesa del territorio, le donne si impegnano a prendersi cura della vita in tutte le sue manifestazioni: una visione e un'esperienza che integra la cura dei beni comuni, la cura delle persone e la cura di se stesse. Elena lo dimostra quando continua a racconta le sue preoccupazioni e del suo coinvolgimento nella comunità di Tatón:

- Ci sono anche problemi all'interno delle famiglie, c'è violenza. C'è molto alcolismo che genera violenza. Ci sono cose che succedono e non si può fare niente perché nessuno osa dire niente e, se continuiamo così, come se non stesse succedendo niente, se stiamo zitte e buone per varie cose, per la gente, non c'è soluzione -, dice la contadina che è anche coordinatrice del catechismo, un ruolo che la porta a parlare molto con le sue vicine, che sono anche quelle che frequentano più spesso la chiesa ogni fine settimana.

Ma il tono di Elena non è di rammarico bensì di entusiasmo. Ha già parlato con alcune donne per fare una "mateada" (riunione durante la quale si beve mate, ndt), per incontrarsi, parlare dei loro problemi. E domani è l'8 marzo, la festa della donna, il giorno in cui per la prima volta le donne di Tatón si riuniranno per organizzare, dice Elena con un sorriso ansioso, un gruppo di donne per cercare di risolvere i problemi alla radice.


Semi e saperi

Dalla casa di Elena si vede, laggiù, un enorme campo sterrato tra le montagne. È il Club Los Andes, il luogo dove ogni anno si tiene la Fiera di scambio di semi nativi e creoli, l'evento che riunisce le donne contadine sparse sull'esteso territorio del Bolsón de Fiambalá, impegnate a dare vita e che rappresentano il patrimonio ambientale e culturale più essenziale del loro popolo.

Dorila arriva dalla sua casa di adobe e canne situata nel villaggio di Medanitos, dove le viti crescono sulla sabbia delimitata da un fossato, in filari pieni di grappoli che lei percorre giorno dopo giorno a passo lento, con la schiena ricurva, il bastone e i vestiti a fiori che le scivolano sotto le ginocchia.

Dorila, una delle donne più anziane di Fiambalá, non ha avuto l'affetto della madre, come racconta lei stessa oggi ottantenne. Da bambina è dovuta andare a Buenos Aires e nella capitale è sopravvissuta per cinque anni con una padrona di casa che non la lasciava andare da nessuna parte, un'esperienza da cui ha imparato, come dice ora con le rughe che le solcano gli occhi obliqui, a essere una donna libera che rispetta se stessa e gli altri. In seguito è tornata a Medanitos, ha sposato un brav'uomo e hanno costruito insieme la casa in cui vive ora, in un epoca in cui si sopravviveva con le elemosine a causa della mancanza di lavoro. Alla morte del marito, avvenuta diversi anni fa, è rimasta sola a occuparsi di tutto il lavoro di produzione.

"Dorila, padrona della memoria che placa quanto sopportato, angolo della mite protesta. Dorila, calore del mattino, rifugio nelle notti di paura, donna delle sabbie e dei venti. Eliminate i brutti ricordi e lasciate che l'Abaucan porti via tutti i dispiaceri. Dorila, raccoglitrice di verità e di solitudine", così dice la canzone e il film di cui la contadina di Medanitos è protagonista e che, insieme ai suoi lunghi anni di peregrinazioni e di partecipazione alla comunità, l'hanno resa famosa in tutta la regione. Anche Valeria si reca alla fiera, insieme al suo compagno Santiago, provenienti dall'altra parte del Bolsón de Fiambalá, dal villaggio di Chuquisaca, ai piedi delle Ande, dove Valeria è arrivata dalla nativa Bolivia all'età di 17 anni e dove è rimasta fino a 65. In quel luogo Valeria trascorre le sue giornate raccogliendo i suoi frutti, conservando oltre 60 varietà di semi che nascondono una lunga lista di piante, dalla lattuga al cavolo, a fiori di tutti i colori, alle patate andine e al mais che è riuscita a portare dal suo paese d'origine.

Prepararsi alla fiera del Tatón, dice la donna dai capelli neri e lisci, è ciò che le dà la forza per affrontare tutti i compiti che comporta la cura dei semi per il resto dell'anno: seminare, annaffiare, raccogliere, conservare e scegliere i migliori da prendere e scambiare con altri contadini, che poi li seminano sui loro terreni. Questo lavoro l'ha resa famosa in tutta Fiambalá, soprattutto dopo aver vinto il premio Guardianas de Semilla, assegnato dalla fiera per la grande diversità che produce.

a da qualche anno Valeria sta perdendo i suoi raccolti a causa della mancanza d'acqua e del crescente calore che si sviluppa nella sua zona. All'inizio questo l'ha portata, ad esempio, a smettere di mangiare arachidi o mais per ottenere i semi, ma ora la mancanza di irrigazione è tale che molte piante non riescono a maturare e non le rimane alcuna varietà di queste colture.

In questo campo circondato dalle dune arriva anche Cristina, che vive a pochi chilometri di distanza, in uno dei quartieri di Tatón, soffre per la mancanza d'acqua perché i canali del villaggio non raggiungono la sua zona. I suoi prodotti provengono dal piccolo e umile orto che ha a casa sua, con verdure che coltiva come può e quando può, in un luogo dove il fiume non arriva perché la corrente si consuma tra i banchi di sabbia.

Poco a poco al club Los Andes arrivano le e gli abitanti della zona, membri delle comunità indigene, studenti delle scuole agrotecniche e contadini provenienti da diverse regioni di Catamarca e da altre province come Santiago del Estero, La Rioja e Jujuy. Così, come racconta Manuel, un incontro iniziato a Medanitos nel 2002 con quattro o cinque gatti pazzi che misero sul tavolo i semi che avevano per scambiarseli, è andato crescendo anno dopo anno, fino a diventare oggi una delle fiere di semi più importanti del paese.

Lì aspettano Elena e Johana, insieme a più di cento produttori e produttrici di ACAMPA, che collaborano all'organizzazione della fiera anche con i propri semi e le proprie realtà. Muovendosi tra le bancarelle che i e le partecipanti allestiscono di prima mattina con semi, artigianato, cibo, erbe e piantine che riempiendo l'aria di aromi, le donne cercano di curare ogni dettaglio dell'evento più importante dell'anno a El Bolsón de Fiambalá. Nel frattempo Carla, la figlia adolescente di Johana, contribuisce alle trasmissioni col suo lavoro presso la radio comunitaria FM Horizonte.

Intorno alla fiera sono esposte foto, dipinti e poster che danno informazioni sulla cura dei semi, sugli strumenti tradizionali per il lavoro agricolo e sugli insegnamenti che i giovani della regione hanno ricevuto dagli anziani nei laboratori intergenerazionali. Al mormorio di ogni scambio si sovrappone il suono delle chitarre e dei tamburi degli artisti locali, il passo di ballerine che si lanciano al ritmo di una "chacarera" (ballo popolare argentino, ndt) e le parole di chi sale sul palco. Tra questi, quelli dei rappresentanti dei popoli nativi della zona, ultime radici dei semi autoctoni e creoli che oggi tornano a circolare a Fiambalá:

- I nostri leader indigeni sono morti per il territorio, per noi, e noi siamo pronti a morire per i nostri figli e per il nostro territorio. E non solo per la vita umana. Capiamo che senza i nostri animali, le nostre piante, i nostri fiumi, il nostro sole, la nostra aria non siamo nulla. Se perdiamo uno di questi elementi perdiamo noi stessi, scompariamo -, ha detto durante una delle fiere di Tatón Hernán Gutiérrez, cacique della comunità La Quebrada Santa María dell'Unión de Pueblos de la Nación Diaguita.

Nel frattempo il baratto procede: le terre di Elena, Johana, Dorila, Valeria, Cristina, ognuno dei loro fiori - arancioni, rossi, violetti - degli ortaggi, di barbabietole, bietole, carote, e dei loro alberi da frutto, fichi, mele e limoni sono ora condensati nei semi sparsi su un tavolo, dove gli altri contadini cercano ciò che non hanno, offrono ciò che producono, chiedono ciò che non sanno e raccontano ciò che ricordano e hanno imparato.

- Abbiamo promosso questa iniziativa perché i semi erano andati già persi, nessuno coltivava! Tutto proveniva dal mercato...-, racconta dalla sua bancarella Mecha Carrizo, un'altra delle donne che organizza la fiera ed è membro dell'associazione contadina. - Così abbiamo iniziato a recupera la terra e a recuperato i semi; abbiamo imparato a valorizzare noi stessi, e questa è la ricchezza di cui siamo orgogliosi.

Così i semi di chia, quinoa e tanti altri che erano scomparsi, ora circolano di nuovo di mano in mano, senza altro valore di scambio che il lavoro e la fatica dei contadini, senza altro salario se non le piante e il cibo che ogni seme porterà alle loro masserie. Così, a ogni incontro, la mancanza di lavoro si dissolve in una città in cui l'economia regionale e la sovranità alimentare sono in crescita.

- La fiera è diventata così grande perché tutte le persone hanno iniziato a dedicarsi alla cura delle loro piante, a salvare i semi, a portare, a scambiare... -, dice Elena. - Ora ci preoccupiamo di lavorare di più, di migliorare i prodotti, perché a ogni fiera ci sono sempre più novità e, dato che si tratta di un solo giorno, a volte il tempo non basta: "Oh, non sono riuscita ad andare lì, non sono riuscita a prendere quello..." -. È bellissimo. Col tempo abbiamo fatto progressi. Il progresso è stato per il popolo.

Come una resistenza all'estrazione mineraria, alla monocultura e alla povertà che le città vedono da lontano nei territori della Puna catamarqueña, i semi e le conoscenze delle contadine si diffondono come il vento, fino a far rimbombare il verde contro il deserto.


(6. Fine)

* Traduzione Marina Zenobio per Ecor-Network


Las aguas visibles
Cronicas sobre las comunidades campesinas y el avance de la mineria del litio en el Bolson de Fiambalà
Lucia Maina Waisman
Bienaventurados los Pobres (Be. Pe.), Catamarca, Argentina, 2021 - 136 pp.

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15 agosto 2022 (pubblicato qui il 17 agosto 2022)