La 26a Conferenza delle Parti (COP26) delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) a Glasgow avrebbe dovuto essere un punto di svolta nella lotta istituzionale all'emergenza climatica. L'arrivo della pandemia ne causò la sospensione e ora, nel 2021, si è tenuta in un contesto di ripresa economica che sta facendo tornare a crescere le emissioni. 1
1. Ambizione climatica
I contributi nazionalmente determinati (NDC, nel suo acronimo inglese) sono piani che contengono azioni, politiche e obiettivi per combattere il cambiamento climatico nel contesto dell'accordo di Parigi. I primi piani sono stati presentati nel 2015 e fu fissato il 2020 nella COP26 di Glasgow (prorogata al 2021) come data per consegnare un nuovo piano o rivedere quello passato.
Al momento, grandi inquinanti come Cina, Russia o India non l'hanno presentato. Un recente rapporto delle Nazioni Unite sugli NDC evidenzia che la somma dei contributi di tutti i Paesi erogati fino ad oggi significherebbe un aumento delle emissioni ad effetto serra entro il 2030 del 16% e porterebbe a un aumento della temperatura di 2,7 gradi alla fine del secolo.
La scienza, di pari passo con l'IPCC, segna la necessità di una riduzione del 45% entro il 2030 a causa di uno scenario di aumento globale della temperatura di 1,5ºC e del 25% per uno scenario di 2ºC, stiamo parlando di un divario o «mancanza di ambizione» del 41% per 2ºC o del 61% per 1,5ºC. 2

Ma l'ambizione climatica non si può intendere solo in termini di indicatori quantitativi. L'ambizione climatica deve essere valutata anche in termini qualitativi di attori, dinamiche di potere e giustizia sociale e ambientale.
Le istituzioni pubbliche, specialmente nel contesto europeo, associano inseparabilmente l'ambizione climatica all'approfondimento di un'agenda pubblico-privata che posiziona le grandi aziende come attori centrali nella transizione ecologica. Nello stesso senso, vengono approvati patti verdi come il Green Deal Europeo dove il presunto patto non ha una controparte sociale che faccia da contrappeso al potere delle imprese.
Con l'impatto della pandemia e della ripresa dell'economia verde e digitale, l'agenda pubblico-privato si concretizza nei fondi europei Next Generation EU, un grande quadro di «collaborazione» dove la parte pubblica fornisce, si assume rischi, riforme e debito, e la la parte privata esegue e monopolizza i benefici. Grandi progetti aziendali legati a tecnologie rinnovabili, veicoli elettrici e idrogeno verde3 dominano le proposte di fondi, lasciando poco spazio agli altri attori.
Ad esempio, neanche vengono valutati gli impatti del vincolare l'ambizione climatica alla tecnologia, in un momento in cui l'ordine di grandezza della domanda di materie prime critiche necessarie per produrre tecnologie verdi è senza precedenti.4
Infine, un altro esempio del fatto che l'ambizione climatica non può essere affrontata solo in termini quantitativi è la cosiddetta "crescita verde", la possibilità di continuare la crescita economica e ridurre le emissioni al ritmo richiesto dalla scienza climatica.
Numerosi documenti ufficiali dell'UE affermano che dal 1990 al 2017 si è riusciti a ridurre le emissioni del 22%. Tuttavia, solo tra il 2002 e il 2019, le importazioni cinesi sono quadruplicate.5
Nel bel mezzo della pandemia, l'UE ha deciso di aumentare l'ambizione dal 40% al 555% entro il 2030. Starà mica esternalizzando la produzione inquinante?
2. Finanza climatica
Il finanziamento climatico si riferisce alla finanza che fornisce risorse ai "paesi in via di sviluppo"6 per affrontare il cambiamento climatico, principalmente azioni di mitigazione e adattamento. La stessa Convenzione (1992 approvata, 1994 in vigore), il Protocollo di Kyoto (1997) e l'Accordo di Parigi (2015), esigono finanziamenti per i "paesi in via di sviluppo".7
Il finanziamento è proprio legato al principio delle responsabilità comuni ma differenziate dalla Convenzione.8
I "paesi sviluppati" si sono impegnati a mobilitare fino a 100 miliardi di dollari in finanziamenti per il clima ogni anno a partire dal 2020. Quali problemi presenta questa proposta?
‣ Non si raggiungono i 100.000 milioni
L'analisi svolta dall'OCSE indica che nel 2019 si era raggiunta solo la cifra di 79.600 milioni e che difficilmente si sarebbero raggiunti i 100.000 milioni entro il 2020.

‣ La maggior parte sono prestiti
Due terzi dei finanziamenti per il clima sono sotto forma di prestiti e questo aumenta il livello di indebitamento dei "paesi in via di sviluppo".

‣ La maggior parte va alla mitigazione
Più del 60% dei finanziamenti va alla mitigazione – cioè alla riduzione delle emissioni – ma le esigenze di molti paesi del Sud sono relazionate all'adattamento, ovverosia alla lotta contro gli impatti che stanno già soffrendo.

‣ Non è sufficiente per affrontare le sfide che devono affrontare i Paesi del Sud del mondo
Possiamo comparare ordini di grandezza di mobilitazione delle risorse in altri ambiti. Ad esempio, i fondi europei dell'UE Next Generation sono dotati di 750 miliardi di euro per 3 anni e favorirebbero solo i 27 Stati membri. Nel caso dei 100 miliardi di dollari all'anno di finanziamento per il clima, dovrebbero bastare a più di 100 paesi.
‣ Al momento non è previsto alcun budget stanziato per il meccanismo di perdita e danno
Il meccanismo di perdita e danno si riferisce a danni che vanno oltre a ciò a cui possiamo adattarci, danni “associati agli impatti dei cambiamenti climatici, inclusi eventi meteorologici estremi ed eventi di lenta generazione”.9
Il Meccanismo Internazionale di Varsavia (COP19) per le perdite e i danni è lo strumento principale del processo UNFCCC che si occupa di ciò. Le organizzazioni sociali chiedono che questo meccanismo abbia spazio nella COP26, ma sembra che si parlerà più di adattamento e resilienza.10
Le tipologie di fenomeni che potrebbero rientrare in questa categoria11 sono, tra le tante:
• Ciclone di Idai (2019) in Zimbabwe, Malawi e Mozambico. Più di 1.000 morti.
• Ciclone Kenneth (2019) nel Nord del Mozambico.
• Incendi in Australia (2020). 28 morti.
• Siccità nel Corno d'Africa (2011, 17 e 19). Perdita di raccolti e mandrie. 15 milioni di persone da Etiopia, Kenya, Somalia in crisi umanitaria.
• Siccità nel Corridoio Secco dell'America Centrale. La crisi climatica aumenta il fenomeno del “Niño” e provoca gravi siccità in Guatemala, Honduras, El Salvador e Nicaragua.
3. Green Climate Fund
Il Green Climate Fund (GCF)12 è il principale strumento finanziario per il trasferimento di risorse N-S nell'ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC). Deriva dall'accordo di Copenaghen ed è stato formalmente istituito alla COP16 di Cancún.
Il GFC mira a sostenere progetti, programmi, politiche e altre attività nei "paesi in via di sviluppo" nell'adattamento e nella mitigazione per far fronte ai cambiamenti climatici. Ha sede in Corea del Sud, ha un consiglio di 24 membri ed è supportato dal segretariato dell'UNFCCC.
Tra i problemi più pressanti del GCF possiamo trovare che per accedere al finanziamento bisogna essere un ente accreditato e ottenerlo è un procedimento lungo e complicato. Il GCF si presenta anche principalmente sotto forma di prestiti, molti dei quali sono destinati alla mitigazione e non all'adattamento.
Inoltre, i paesi ricchi vogliono aumentare il ruolo del settore privato, compresi i fondi pensione, i mercati dei capitali, ecc. Infine, il riapprovvigionamento dei fondi deve essere sufficientemente rapido e attrarre fondi realmente nuovi e addizionali e non sottrarre o creare doppie contabilità con finanziamenti già destinati alla cooperazione internazionale.
4. I nuovi mercati della CO2
La COP26 di Glasgow dovrebbe includere il lavoro sui nuovi meccanismi di mercato (Articolo 6 del regolamento dell'Accordo di Parigi).
Il progetto precedente era legato al Protocollo di Kyoto (1997-COP3)13 e articolato attraverso gli Accordi di Marrakech (2001-COP7) e i meccanismi di sviluppo netto (MDN-CDM, CDM, nei loro acronimi in inglese), quello di implementazione congiunta e il commercio di emissioni.
L'approccio della "riforma del mercato" o della creazione di "nuovi meccanismi di mercato" rafforza uno strumento che si è dimostrato inefficace nella lotta contro l'emergenza climatica.
Lo dimostrano il continuo aumento delle emissioni a livello globale, le dinamiche della CO2lonizzazione14 con i progetti degli MDN e, soprattutto, perché la sua stessa logica distoglie l'attenzione dalla necessità di cambiamenti strutturali e vincola la lotta contro il cambiamento climatico alla speculazione finanziaria.
5. Chi deve a chi?
Gli strumenti di mercato sono utilizzati per propositi molto concreti e parziali: ad esempio, per aiutare le aziende e gli Stati a ridurre e delocalizzare temporaneamente le emissioni (la maggior parte dei profitti si perde per effetto della crescita economica e per l'esternalizzazione di attività inquinanti) senza mettere in discussione il modello economico.
In realtà, non è necessario applicare alcuno strumento di mercato per sapere quali paesi abbiano beneficiato dell'uso di un bene comune che è l'atmosfera.
Di fatto, il gruppo dei paesi impoveriti altamente indebitati15 ha emesso, nel periodo 1990-2018, 63.000 milioni di tonnellate di CO2 in meno rispetto alla media mondiale. Gli Stati Uniti invece, hanno emesso più di 118.000 milioni di tonnellate, l'UE 43.000 e la Cina 23.000.
Se facciamo l'esercizio di applicare il prezzo di mercato europeo a queste tonnellate, i risultati sono rivelatori. L'esercizio non ha in nessuna maniera intenzione di legittimare gli strumenti del mercato, semmai tutto il contrario. L'obiettivo è quello semmai di modificare l'insieme mostrando le proprie contraddizioni.

Per il periodo 2005-2018, i paesi che emettono di più sarebbero debitori e quelli che emettono meno sarebbero creditori. L'accumulato nel periodo farebbe sì che gli Stati Uniti abbiano un «debito climatico» di 518.000 milioni di euro, l'Unione europea di 161.000 milioni e la Cina di 364.000 milioni. I gruppi di paesi impoveriti fortemente indebitati che accumulano un debito congiunto di 223.000 milioni di euro, in cambio, potrebbero estinguere il proprio debito e sarebbero anche creditori di 134.000 milioni di euro. Pertanto, chi deve a chi?
6. Proposte
Il riconoscimento dell'esistenza di un debito climatico che il Nord globale ha nei confronti del Sud.
Questo riconoscimento dovrebbe portare a riparazioni strutturali e finanziarie, compreso il riconoscimento di obbligazioni finanziarie climatiche e la cancellazione del debito, nonché il ripristino ecologico, l'eliminazione graduale dei sussidi ai combustibili fossili, la fine dell'estrattivismo e il cambiamento dei modi di produzione, distribuzione e consumo decarbonizzati.
La consegna urgente di nuovi e aggiuntivi finanziamenti per il clima, che non generino debito, oltre l'obiettivo non raggiunto di 100.000 milioni di dollari all'anno, che sia sufficiente e risponda alle esigenze di mitigazione, adattamento e perdita e danni climatici dei popoli e delle comunità del Sud del mondo.
Anche i finanziamenti climatici devono essere pubblici ed erogati per programmi e progetti pubblici piuttosto che per iniziative private a scopo di lucro o associazioni pubblico-private.
Un meccanismo automatico di sospensione dei pagamenti del debito, cancellazione del debito e ristrutturazione del debito, che copra a creditori pubblici e privati, dopo eventi meteorologici estremi, oltre all'accesso immediato a risorse non generatrici di debito per coprire perdite e danni.
Un disastro legato a un rischio meteorologico, climatico o idrico si è verificato in media ogni giorno negli ultimi 50 anni, uccidendo 115 persone e causando perdite giornaliere per 202 milioni di dollari. I governi del nord del mondo devono stabilire un meccanismo addizionale e separato per perdite e danni come riconoscimento della loro responsabilità nel causare l'aumento della frequenza e la gravità di questi eventi estremi.
L'ambizione climatica dovrebbe rafforzare l'ambito pubblico e quello comunitario, assicurando che le azioni che ne derivano siano sotto la garanzia pubblica e il controllo pubblico e comunitario.
Impedire che le risorse vengano incanalate per mezzo delle corporazioni, che hanno come obiettivo il profitto e non il benessere sociale e l'equilibrio dell'ecosistema, essendo loro stesse la causa della situazione e avendo oltretutto svolto un ruolo storico di negazione del problema. Ecco perché è necessario promuovere altri tipi di collaborazioni che facilitino un'agenda pubblico-comunitaria per l'edilizia sociale, la produzione agroecologica, la reindustrializzazione verde, le comunità energetiche, ecc.
Gli orizzonti 2030 e 2050 devono avere nuovi quadri d'azione come l'ecofemminismo e la decrescita, e le proposte che ne derivano, come la difesa dei beni comuni, delle sovranità e dei diritti collettivi sociali in equilibrio con l'ambiente. Il capitalismo fossile si è dimostrato incapace di trovare vere soluzioni all'emergenza climatica. È quindi tempo di costruire scenari futuri in cui si rimetta in discussione il modello economico e si rappresenti l'importanza dei limiti biofisici, del lavoro riproduttivo e di cura e della garanzia dei diritti sociali per tutti.
* Traduzione Giorgio Tinelli per EcorNetwork
Video
L'ODG davant la COP 26: una perspectiva crítica (min 2:17)

Observatori del Deute en la Globalització ODG
Analisi dell'Osservatorio del Debito nella Globalizzazione sui temi della Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici.
www.odg.cat
NOTE:
1) In questo documento troverete alcuni dei punti più rilevanti che saranno discussi alla COP26 nonché l'analisi critica e le proposte del Observatori del Deute en la Globalització. M. McGrath, Climate change: Carbon emissions from rich countries rose rapidly in 2021, 14 ottobre 2021
2) UNFCC, Nationally determined contributions under the Paris Agreement. Synthesis report by the secretariat, 2021.
3) Andaluz, J., Monedero, S., y Nualart, J. (2021). Hidrógeno: ¿la nueva panacea? Mitos y realidades de las expectativas del 3 hidrógeno en España. Barcelona-Madrid: Observatori del Deute en la Globalització y Ecologistas en Acción.
4) IEA, The Role of Critical Minerals in Clean Energy Transitions, Paris, 2021
5) A. Pérez, Pactos verdes en tiempos de pandemias. El futuro se disputa ahora, Barcelona, Observatori del Deute en la Globalització, Libros en Acción y Icaria Editorial, 2021.
6) Si utilizza questa terminologia ("paesi in via di sviluppo", "paesi sviluppati") perché è quella utilizzata dalle Nazioni Unite.
7) I. Crotti, I. Fresnillo, La emergencia climática: ¿Qué tiene que ver la deuda con esto?, Bruselas, European Newtwork on Debt and Development (EURODAD), 2021.
8) È menzionato nell'articolo 3, paragrafo 1, e nell'articolo 4, paragrafo 1, della Convenzione.
9) UNFCC, Comunicato stampa esterno: i cambiamenti climatici causano più eventi meteorologici estremi, ma le allerte tempestive salvano vite, 1 settembre 2021.
10) I disastri legati al clima quintuplicano in 50 anni, ma il miglioramento dei sistemi di allerta salva più vite, Notizie ONU, Cambiamenti climatici e ambiente, settembre 2021.
11) OXFAM International, 5 disastri naturali che chiedono misure contro il cambiamento climatico, 2021.
12) Per maggiori informazioni sul Green Climate Fund: https://www.greenclimate.fund/about
13) Firmato nel 1997, sarebbe entrato in vigore se ratificato da 55 Paesi che sommassero il 55% delle emissioni. È entrato in vigore il 13 febbraio 2005 con l'ingresso della Russia. L'obiettivo era ridurre le emissioni di un 5% dal 2008-12 rispetto al 1990 per i paesi dell'allegato B (37 paesi industrializzati, Unione Europea ed economie in transizione dopo lo sfaldamento dell'URSS). Per maggiori informazioni: https://unfccc.int/kyoto_protocol
14) A. Pérez, Càpsula 6. Giustizia climatica, Barcellona: Servizio civile internazionale, settembre 2020.
15) I "Heavly Indebteness Pour Countries" (HIPC) sono un gruppo di 39 paesi con alti livelli di povertà e indebitamento che possono ricevere assistenza dalla Banca Mondiale e dal FMI. Ne fanno parte: Afghanistan, Angola, Benin, Burkina Faso, Burundi, Camerun, Repubblica Centrafricana, Congo, Repubblica Democratica del Congo, Costa d'Avorio, Etiopia, Ghana, Repubblica di Guinea, Guinea-Bissau, Haiti , Honduras, Liberia, Madagascar, Mali, Mauritania, Mozambico, Niger, Ruanda, São Tomé e Príncipe, Senegal, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Tanzania, Togo, Ciad, Uganda e Zambia.
Una perspectiva crítica. El ODG ante la COP26 en Glasgow
Observatori del Deute en la Globalizació
Barcelona, 28 Ottobre 2021 – 9 pp.
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