"Sotto il dominio della proprietà privata e del denaro,
l'atteggiamento nei confronti della Natura è il suo reale disprezzo,
la sua violazione di fatto”
Karl Marx, "La questione ebraica" (1844)
L'acqua, una schiava del capitale
Quando noi esseri umani, già molti secoli fa, ci mettemmo figurativamente parlando ai margini della Natura, iniziammo a concederle un ruolo passivo in quanto oggetto la cui mercificazione finì per diventare pienamente accettabile. E così, alimentato dalle origini stesse della nozione di progresso, a poco a poco si andò consolidando quel ruolo di fornitrice di materie prime per la produzione e di deposito dei rifiuti, e comunque da dominare. La "rottura metabolica" di società e Natura immaginata da Karl Marx è stata ostacolata, sia per le posizioni antropocentriche di questo geniale pensatore universale, sia soprattutto per la semplicità di molti dei suoi seguaci. Così, con il predominio dell'impulso marginalista e neoclassico, il pensiero economico seppellirebbe la riflessione "metabolica" per finire per consolidare la mercificazione della Natura. E in questo mercato l'acqua è solo una ulteriore merce.
Alla crescente snaturalizzazione delle attività economiche, che ha indebolito la comunità naturale della vita, si è aggiunta l'individualizzazione della comunità umana, soprattutto attraverso il consumismo sfrenato legato a una cupidigia senza fine. E così la Natura, trasformata in oggetto dell'accumulazione, e gli esseri umani, anch'essi assunti come elementi da sfruttare, individualizzati in quanto produttori e consumatori, entrano a pieno titolo in una sempre più forsennata danza di mercificazione della vita e delle sue relazioni.
L'acqua, come già detto, non ha fatto eccezione ed è ridotta in schiavitù, financo alla Borsa di Wall Street.
Gli sforzi per emancipare l'acqua
Di fronte a questa dura realtà, si moltiplicano sempre più le lotte per l'acqua. Gli esempi sono tanti, presenti in tutti gli angoli del pianeta. Da diversi approcci e processi, si sta avanzando in questa direzione. Anche all'interno delle Nazioni Unite - su iniziativa dello Stato Plurinazionale della Bolivia - si è arrivati nel luglio 2010 a una dichiarazione a favore dell'acqua, sancendo che l'accesso all'acqua potabile è un diritto umano fondamentale. Malgrado questo passaggio sia caratterizzato dalla mancanza di sostegno da parte dei paesi ricchi - proprietari delle società idriche transnazionali - il suo significato rimane comunque importante. Perché quel risultato è stato possibile grazie ad altre lotte che mirano a una grande trasformazione.
Il frutto immediato di questa decisione in seno alle Nazioni Unite è stata la Costituzione ecuadoriana del 2008, nota in tutto il mondo per essere stata la prima a costituzionalizzare i diritti della Natura e, di conseguenza, concedendo uno status speciale all'acqua. Ricordiamo che, sin dall'inizio, l'articolo 3 della Costituzione stabilì come primo dovere primordiale dello Stato quello di garantire, senza alcuna discriminazione, a tutti i suoi abitanti l'effettivo godimento dei diritti all'istruzione, alla salute, all'alimentazione, alla sicurezza sociale e all'acqua.
Da questa definizione iniziale, nell'Assemblea Costituente di Montecristi sono stati approvati principi fondamentali, come recita l'articolo 12:
“il diritto umano all'acqua è fondamentale e irrinunciabile. L'acqua costituisce un patrimonio nazionale strategico di uso pubblico, inalienabile, imprescrittibile, inattaccabile ed essenziale per la vita".
Tra i tanti elementi costituzionali legati al liquido vitale, è vietato l'accaparramento dell'acqua (e della terra). E, oltre a quanto esposto sopra, è stato sancito che l'acqua, in quanto diritto umano, supera la visione commerciale e quella di "cliente" che può accedere solo all'acqua che ha la capacità di pagare. L'acqua, in quanto bene nazionale strategico di uso pubblico, riscatta il ruolo dello Stato, avendo questo la potestà di concedere l'uso dell'acqua nonché un ruolo guida a tal proposito. L'acqua, in quanto patrimonio della società deve essere gestito in una prospettiva di lunga scadenza, cioé guardando alle future generazioni, liberando l'acqua dalla dimensione di breve prospettiva propria del mercato e della speculazione. E l'acqua, in quanto bene comune, recupera l'elemento comunitario da cui è necessario riconsiderare questo tema vitale nella sua integrità, poiché una delle priorità del suo utilizzo è il mantenimento del ciclo ecologico dell'acqua.
L'acqua, quindi, rientra a pieno titolo nella definizione della Natura come soggetto di diritti. Si tratta di diritti propri che garantiscono pienamente l'esistenza, il mantenimento e la rigenerazione dei suoi cicli vitali, struttura, funzioni e processi evolutivi. Si stabilisce che qualsiasi persona, comunità, popolo o nazionalità può esigere alla pubblica autorità il rispetto di questi diritti. E, in linea con queste disposizioni chiaramente rivoluzionarie, la Natura ha diritto alla reintegrazione, che è indipendente dall'obbligazione dello Stato e delle persone fisiche o giuridiche di riparare il danno ambientale o di indennizzare individui e gruppi che dipendono dai sistemi naturali danneggiati. Vale altresì la pena segnalare che esistono chiare disposizioni a sanzionare i casi di distruzione ambientale, integrate dai principi di precauzione e restrizione per le attività che possono portare all'estinzione di specie, alla distruzione di ecosistemi o all'alterazione permanente dei cicli naturali. Riassumiamo quanto sopra citando Leonardo da Vinci: "L'acqua è la forza motrice di tutta la Natura". E per questo motivo, la difesa dell'acqua come diritto umano, così come i diritti intrinseci dell'acqua stessa, acquisisce progressivamente forza.
Sebbene queste posizioni non siano state rispettate dai governi posteriori alla maggioritaria approvazione nelle urne della Costituzione di Montecristi del 2008, diverse organizzazioni e comunità, quelle che superando un'infinità di difficoltà hanno ispirato queste conquiste costituzionali, hanno moltiplicato le loro lotte di resistenza.
Le consultazioni popolari per l'acqua nelle Ande equatoriali
Di fronte alle pressioni estrattive inarrestabili - tra cui segnaliamo l'estrazione mineraria su larga scala imposta dal governo di Rafael Correa - molte comunità difendono i diritti alla vita, brevemente menzionati sopra. Così, in molti territori dove l'estrazione mineraria ha seminato a "sangue e fuoco" odio e divisione tra le stesse famiglie, con il recupero del diritto costituzionale alla partecipazione ai processi decisionali, le comunità hanno dispiegato varie azioni di lotta. Con le loro risposte affrontano saccheggi, devastazioni, violenze, false speranze di prosperità, annunci di guadagni milionari che in realtà non sono altro che perverse chimere...
Allo stesso tempo sfidano il potere politico e mediatico che incoraggia le compagnie minerarie tollerando o addirittura sponsorizzando violazioni sistematiche della Costituzione: una situazione perversa in cui anche le società minerarie considerate legali si basano sull'illegalità e persino sull'incostituzionalità. E ricorrendo ai diritti esistenti, compreso il diritto costituzionale alla resistenza dell'articolo 98, molte comunità hanno messo e mettono in scacco il potente blocco governativo minerario.
Così, lo scorso 7 febbraio, nell'ambito del primo turno del processo elettorale per eleggere il Presidente della Repubblica e il nuovo organo legislativo, nella città di Cuenca, il terzo cantone più popoloso dell'Ecuador, all'interno di quanto stabilito dall'art. 104 della Costituzione, si è tenuta una storica consultazione popolare. L'80% dei voti si è espresso a favore dell'acqua contro l'estrazione di metalli nelle zone di ricarica dell'acqua dei fiumi Tarqui, Yanuncay, Tomebamba, Machángara e Norcay; acqua che ha origine nei paramos e nelle foreste che circondano il Parco Nazionale di Cajas e che viene utilizzata per vari usi dagli abitanti di questa zona.
Questi fiumi, infatti, forniscono l'irrigazione per l'agricoltura e le attività lattiero-casearie, forniscono direttamente l'acqua alla popolazione di Cuenca e a molte comunità della zona, molte delle quali vivono di turismo. La cosa preoccupante è che più di 200 concessioni minerarie circondano i paramos del cantone, e ciò minaccia seriamente l'approvvigionamento del liquido vitale. In sintesi, sono in gioco interessi strategici vitali per Cuenca, perché lo sfruttamento minerario nelle zone di ricarica idrica dei suddetti fiumi lederebbe il diritto umano all'acqua dei suoi abitanti.
Come risultato di un lungo processo, superando innumerevoli difficoltà, si è arrivati alla storica data indicata. La strada percorsa è lunga. Per più di vent'anni le comunità contadine e indigene della provincia di Azuay, la cui capitale è Cuenca, hanno affrontato le pressioni minerarie.
C'è un antecedente che non può essere dimenticato. Nella stessa provincia, nel cantone di Girón, a sud di Cuenca, utilizzando varie forme di lotta che vanno dai blocchi stradali ai passaggi per i complessi meandri della giustizia, si iniziò a costruire ciò che poi è diventata la prima consultazione popolare vincolante, cioè riferita alle norme costituzionali nel citato articolo 104, per il quale si sono dovute raccogliere le firme necessarie. Ma ci sarebbero voluti quasi 8 anni affinché questa consultazione si potesse cristallizzare: il governo dell'epoca, fedele alleato dei capitali minerari, bloccò sistematicamente l'esercizio del menzionato diritto costituzionale.
Domenica 24 marzo 2019, giorno delle elezioni per i prefetti provinciali, i sindaci e le altre personalità locali, fu la data in cui si diede luogo a un passo sostanziale per la successiva consultazione di Cuenca. Nel piccolo cantone di Girón, nella provincia di Azuay, attraverso un pronunciamento popolare, si è deciso sul tema dello sfruttamento minerario: la prima consultazione vincolante di questo tipo in Ecuador. A capo c'erano varie organizzazioni soprattutto contadine: la Federazione delle organizzazioni indigene e contadine di Azuay (FOA) e l'Unione dei sistemi idrici comunitari di Girón, che avevano il sostegno di diversi gruppi cittadini, tra cui spiccava il Collettivo Yasunidos de Guapondelig (Cuenca).
Le comunità hanno combattuto contro il potere delle grandi compagnie minerarie e dello Stato, e la loro determinazione a bloccare la consultazione con qualunque mezzo. Anche nella fase finale sia il capitale minerario che lo Stato hanno presentato all'autorità elettorale numerose impugnazioni per bloccare lo svolgimento della consultazione. Con questi precedenti, il referendum di Girón, in cui le comunità hanno ottenuto una clamorosa vittoria con l'87% dei voti, è stato decisivo per proteggere casi del páramo di Kimsacocha e poi dare impulso alla consultazione di Cuenca.
La decisione popolare di Cuenca si è concretizzata dopo tre tentativi falliti che erano stati proposti per l'intera provincia, promossi da varie organizzazioni, con la guida dell'ex prefetto provinciale: Yaku Pérez, in seguito candidato indigeno alla Presidenza della Repubblica (al quale in modo fraudolento la cricca al potere ha impedito di raggiungere il secondo turno dopo le elezioni del 7 febbraio). Questa consultazione di Cuenca ha superato ogni tipo di trappola legale con una strategia intelligente, in alcune circostanze anche appoggiata dalla Corte Costituzionale, contando sul sostegno e la guida di un'alleanza contadina-cittadina, che è l'elemento che motiva il grande trionfo ottenuto. In questo caso la via della consultazione popolare non è stata aperta con la raccolta delle firme dei cittadini come nel caso di Girón, ma - come prevedono le norme costituzionali - si è raggiunta la maggioranza nel Consiglio cantonale di Cuenca per avanzare verso il referendum, il quale sta già provocando echi sempre più forti. Ad esempio, già si sta lavorando per nuove consultazioni vincolanti in altre aree dell'Ecuador, come nel caso del Distretto Metropolitano di Quito, la cui regione nord-occidentale è gravemente minacciata dalle attività minerarie.
Così, ispirata dall'esempio di Azuay, e tenendo come asse portante una forte alleanza di contadini e cittadini, si sta sviluppando una consultazione popolare per proteggere l'acqua e la biodiversità anche nella città di Quito, capitale dell'Ecuador. L'approvvigionamento idrico, le forniture di cibo di qualità, nonché l'esistenza di foreste incontaminate con la loro enorme e ricca biodiversità, sono già gravemente minacciate dalle attività minerarie. E per rendere possibile questa consultazione vincolante, a seguito di una lunga resistenza, si è formato un ampio fronte al quale partecipano l'Unione dei Governi Locali e la Rete dei Giovani Leader della Mancomunidad del Chocó Andino, Fronte Antiminerario di Pact, i comitati di gestione delle aree di conservazione e uso sostenibile, nonché vari collettivi urbani come Yasunidos e Caminantes, tra i tanti. La domanda per questo esercizio democratico è già pronta: sta solamente aspettando l'approvazione della Corte costituzionale per poter iniziare la raccolta delle firme, come parte di un processo sicuramente complesso, ma che sarà anche un grande esercizio di pedagogia popolare. Questo è ciò che si riflette nella domanda formulata collettivamente, con l'obiettivo di vietare ogni forma di giacimento minerario metallifero dal Sottosistema Metropolitano delle Aree Naturali Protette del Distretto Metropolitano di Quito; e, all'interno dell'Area di Importanza Ecologica, Culturale e di Sviluppo Produttivo Sostenibile costituita dai territori delle parroquias che compongono la Mancomunidad del Chocó Andino.
Questi indiscutibili risultati sono però ancora insufficienti. La perversa alleanza tra le compagnie minerarie e lo Stato non si basa solo sul desiderio di imporre la loro volontà. L'elenco dei cavilli addotti, usati con la finalità di non riconoscere la volontà popolare a Cuenca, o per reinterpretare le sentenze dei tribunali che paralizzano l'attività mineraria, è enorme. Si sostiene che, se proprio vogliamo menzionare una delle questioni, le concessioni sono precedenti alla consultazione popolare e che questa non può avere un effetto retroattivo. Alla stessa maniera viene usato l'argomento della sicurezza legale a rischio, qualora venissero interrotte le attività minerarie, agitando la minaccia di cause legali internazionali.
Sostenere i progetti in corso e anche le concessioni affidate, ignorando le norme costituzionali e legali per non intaccare interessi particolari che colpiscono la comunità umana e naturale, è un'aberrazione: sarebbe come giustificare il mantenimento della schiavitù per non colpire i proprietari di schiavi...
Basterebbe ricordare che quando gli schiavi furono liberati, non mancarono coloro che rivendicavano le "perdite" subite dai loro "proprietari", a cui era stata limitata la "libertà" di commercializzarli, usarli, sfruttarli...
Qualcosa di simile accadde quando, nell'Inghilterra di inizio XIX secolo, fu messo in discussione il lavoro dei bambini e delle bambine: "la polemica fu enorme", ci ricorda Ha-Joon Chang, uno dei principali professori dell'Università di Cambridge: "per i detrattori della proposta (essa) minava la libertà di contratto e distrusse le fondamenta del libero mercato". Indubbiamente, in un'ottica di assoluta certezza giuridica, ciò che conta in ogni momento è il bene comune e non esclusivamente gli interessi privati, compresa la piena vigenza dei Diritti della Natura, oltre ai Diritti Umani.
Ora, queste società minerarie transnazionali, che hanno liste per valutare la maggiore o minore apertura dei paesi, cioè il loro maggiore o minore grado di sottomissione all'estrattivismo minerario, vedono con grande preoccupazione come questi "cattivi esempi" siano aumentati già da molti anni non solo in Ecuador, ma in tutto il mondo.
E hanno ragione.
Il "cattivo esempio" si diffonde in tutto il mondo
"L'acqua non è in vendita, l'acqua si difende", "prima l'acqua poi la miniera" sono alcuni dei tanti slogan che risuonano nella Nostra America. Intensificando gli sforzi, affrontando multinazionali e governi complici, migliaia di persone nella regione difendono ogni giorno i propri territori. Sarebbe impossibile citare tutte queste situazioni, ma vale la pena ricordarne alcune che sono passate anche per i difficili corridoi della giustizia e delle istituzioni costituzionali, promuovendo consultazioni popolari.
Senza pretendere un elenco esaustivo, ricordiamo le consultazioni popolari più importanti, che sono servite anche da esperienza e incoraggiamento per quelle dell'Ecuador. Tra le decine di consultazioni popolari "di buona fede" o vincolanti svolte, ne ricordiamo alcune: il distretto di Tambogrande a Piura in Perù è riconosciuto come uno dei pionieri per la consultazione popolare che ebbe luogo il 2 giugno 2002, contro i progetti finalizzati all'estrazione di oro dal giacimento situato proprio sotto alla popolazione.
Il 23 marzo 2003, a Esquel, in Argentina, si tenne un plebiscito che con l'82% dei voti respinse le attività minerarie nell'area: anche se non con carattere vincolante, ha comunque consentito a Esquel di essere dichiarato "municipio non tossico ed ecologicamente sostenibile”. Attualmente in quello stesso paese, si sta lavorando duramente per avviare una consultazione popolare a favore di una legge per la protezione integrale dell'acqua, al fine di sostenere la vita delle comunità e gli ecosistemi.
In Colombia, paese di governi neoliberisti ed iperestrattivisti, sono già dieci le consultazioni realizzate e altre decine proposte: il 28 luglio 2013, nel piccolo e quasi sperduto comune di Piedras nel Tolima - con un'economia agricola e zootecnica - si è tenuta la prima consultazione popolare vincolante contro il distretto minerario La Colosa, progettato per essere una delle più grandi miniere a cielo aperto del pianeta; e da allora, superando una serie di difficoltà, le consultazioni popolari si sono moltiplicate fino a renderle apparentemente inutili, a causa delle pressioni del potere minerario-governativo.
Le opzioni per concretizzare questi diritti vanno oltre quanto esposto in forma telegrafica. C'è di più, anche in altri settori e li specifichiamo di seguito. Nel novembre 2016, il fiume Atrato e il suo bacino, in Colombia, sono stati riconosciuti come soggetto di diritto dalla Corte Costituzionale, il massimo organo di controllo costituzionale. Stessa cosa è accaduta nel 2018 con l'Amazzonia colombiana: due azioni notevoli in un Paese dove i Diritti della Natura si conquistano con risposte creative provenienti dall'ambito cittadino, non essendo costituzionalizzati.
E non solo l'America Latina si mobilita in difesa dell'acqua e dei Diritti della Natura.
Nel 2016 la Corte Suprema dell'Uttarakhand a Naintal, nel nord dell'India, ha stabilito che i fiumi Gange e Yumana sono entità viventi.
Nel marzo 2017, il fiume Whanganui in Nuova Zelanda è stato riconosciuto come soggetto di diritto in modo che possa comparire in tribunale attraverso i suoi rappresentanti: il popolo Whanganui iwi. Nel 2013, anche il Parco Nazionale Te Urewera, sempre in quel paese, è stato riconosciuto come soggetto giuridico con i diritti di una persona: se la terra non ha un proprietario, viene gestita congiuntamente dai popoli Crown e Tuhoe.
In Nepal è in corso un'iniziativa per riconoscere i diritti della Natura tramite emendamento costituzionale.
In Africa, tra le tante lotte, possiamo citare la difesa del delta del fiume Niger in Nigeria.
Anche negli Stati Uniti si stanno compiendo passi degni di nota. A Toledo, Ohio, nelle urne del 26 febbraio 2019 è stato deciso che il lago Erie, l'undicesimo più grande del mondo e che fornisce acqua potabile a 12 milioni di americani e canadesi, ha dei diritti. A sua volta, un gruppo di cittadini nordamericani ha intentato una causa affinché le Montagne Rocciose e il deserto del Nevada possano citare legalmente individui, società o governi negli Stati Uniti.
In Europa, per citare un altro continente, centinaia di migliaia di cittadini, con esiti più o meno positivi, affrontano la privatizzazione dei servizi idrici. In Germania, a Berlino, gli sforzi per rendere di nuovo comune l'acqua hanno avuto successo, qualcosa di simile è accaduto a Parigi, in Francia.
In Italia questo giugno segnerà il decimo anniversario della storica vittoria del referendum popolare quando il 95% dei 27 milioni di partecipanti respinse categoricamente la privatizzazione dell'acqua.
Sforzi simili vengono portati avanti anche in Spagna, Portogallo, Grecia...
La conclusione è inoppugnabile. Le organizzazioni comunitarie, impegnate in questi intrecci inestricabili della giustizia - quasi sempre manipolati o controllati da interessi di grandi aziende in collusione con i governi - sono obbligate a utilizzare in modo intelligente e creativo tutti gli strumenti offerti dall'istituzionalità esistente. Allo stesso modo, resistono a varie forme di violenza aperta o nascosta con cui vengono perseguitati, stigmatizzati, criminalizzati e persino assassinati i difensori della vita, che tra l'altro è ciò di cui tratta questa lotta: la difesa della vita. Ovviamente la questione va oltre l'ambito tecnico-giuridico, costringendoci a ripensare le forme di resistenza e di re-esistenza.
Urgente, tessere lotte globali di resistenza
È evidente, quindi, che la transizione per cristallizzare i diritti di Madre Terra, che sono in definitiva i diritti che garantiscono l'esistenza degli esseri umani, richiede molteplici alleanze. Occorre costruire ponti tra la campagna e la città, ponti tra le diverse regioni di un paese e sempre più ponti tra tutte le lotte di resistenza nel mondo: insomma i sud del mondo - e anche il nord globale -, attanagliati dagli estrattivismi, devono unirsi.
Senza minimizzare le origini storiche e i contenuti sociali e ambientali propri di ogni lotta, la posta in gioco in queste lotte è la democrazia. Si tratta di fatti politici che sintetizzano il diritto di una comunità di decidere sul proprio territorio e sul proprio progetto di vita in comune. Riassume la decisione di sopravvivenza dei popoli che hanno resistito e continuano a resistere alla logica dell'accumulazione capitalista che soffoca la vita, sia degli umani che della Natura. Si cerca di dare priorità alla vita degna per tutti gli esseri umani e non umani piuttosto che a un insostenibile produttivismo e un inarrestabile consumismo forgiato s'un individualismo alienante: la particolarità locale e l'uniformità globalizzante. È la lotta tra queste visioni del mondo, il cui superamento dovrebbe orientarsi verso un orizzonte pluriversale: un mondo dove entrano molti mondi, assicurando contemporaneamente giustizia sociale e giustizia ecologica.
Ed è per questo che in ogni consultazione popolare è in gioco molto di più delle mere controversie giuridiche. Queste consultazioni, assai più delle lunghe e complesse resistenze e costruzioni di alternative, evidenziano - senza mezzi termini - il grande potenziale di una democrazia vissuta, praticata e conquistata dal basso, dalle comunità, e da lì estesa ad altri ambiti governativi. Alla stessa maniera sintetizzano stili di vita che devono essere rispettati, mentre si aprono spazi per costruire altri tipi di economia. E nel bel mezzo della pandemia di Covid-19, si avverte molto più intensa la necessità di preservare questo liquido vitale come un diritto e non più come una merce.
E questa democrazia richiede azioni permanenti in molti campi, poiché le consultazioni popolari, come abbiamo visto a Cuenca, non finiscono per risolvere i problemi. Se la volontà popolare espressa nelle urne di quella città non viene rispettata, oltre a continuare a lottare lungo il complesso cammino della giustizia, bisogna tenere aperta la via della resistenza, nelle strade e nelle campagne, ribellioni e blocchi, cortei e manifestazioni, e anche nuove consultazioni popolari. Non dimentichiamo che questo percorso per difendere la vita è pieno di azioni anche eroiche, come quella conosciuta come la Guerra dell'Acqua che si svolse a Cochabamba, tra gennaio e aprile del 2000, quando i settori popolari di quella città boliviana si mobilitarono con successo contro la privatizzazione della fornitura dell'acqua potabile comunale.
Quello che abbiamo sintetizzato in queste brevi righe rappresenta il grande messaggio di questa giornata storica a Cuenca, che proseguirà a Quito, così come in tante altre regioni del pianeta: il nostro impegno è per una vita degna degli esseri umani e non umani. Per usare le parole schiette dell'infaticabile combattente argentino Fernando Pino Solanas**, in occasione della sua partecipazione al Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura, a Parigi, nel dicembre 2015, “forse non esiste causa più grande, dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, che lottare per i Diritti della Natura".
* Economista ecuadoriano. Attualmente è professore universitario, docente e soprattutto compagno di lotta dei movimenti sociali. Giudice del Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura (dal 2014). Ministro dell'Energia e delle Miniere dell'Ecuador (2007). Presidente dell'Assemblea Costituente dell'Ecuador (2007-8). Autore di numerosi libri.
** Fernando Ezequiel Solanas (1936-2020), argentino, meglio conosciuto come Pino Solanas: regista e politico, deputato, senatore, ambasciatore; giudice del Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura. Un grande punto di riferimento della dignità nelle lotte che ha intrapreso e alle quali ha partecipato.
El Agua, fuerza motriz de la Naturaleza. Su emancipación por la senda de las consultas populares
por Alberto Acosta *
“Bajo el dominio de la propiedad privada y el dinero,
la actitud frente a la Naturaleza es su desprecio real,
su violación de hecho”.
Karl Marx
“La cuestión judia” (1844)
El agua, un esclavo del capital
Cuando los seres humanos, ya hace muchos siglos, nos pusimos figurativamente hablando al margen de la Naturaleza, empezamos a otorgarle un papel pasivo en tanto objeto cuya mercantilización terminó por volverse plenamente aceptable. Así fue, que poco a poco, alimentada por los orígenes mismos de la noción de progreso, se fue consolidando ese papel de proveedora de insumos para la producción y de depósito de desperdicios, a la que, además, había que domarle. La “ruptura metabólica” de sociedad y Naturaleza avizorada por Karl Marx quedó en el camino, tanto por las posturas antropocéntricos de este genial pensador universal como sobre todo por la simpleza de muchos de sus seguidores. Así, con el predominio del impulso marginalista y neoclásico, el pensamiento económico enterraría la reflexión “metabólica” para terminar consolidando la mercantilización de la Naturaleza. Y en ese mercado el agua es una mercancía más.
A la creciente desnaturalización de las actividades económicas, que debilitó la comunidad natural de la vida, se sumo la individualización de la comunidad humana, através sobre todo de un desbocado consumismo atado a una codicia sin fin. Y así, la Naturaleza, transformada en un objeto de la acumulación, y los seres humanos, también asumidos como explotables, individualizados en tanto productores y consumidores, entraron de lleno en una cada vez más acelerada danza de mercantilización de la vida y sus relaciones.
El agua, como se anotó, no fue una excepción, se encuentra esclavizada incluso en la Bolsa de Valores de Wall Street.
Los esfuerzos por emancipar el agua
Frente a esa dura realidad, más y más, se multiplican las luchas por el agua. Los ejemplos son muchos, presentes en todas las esquinas del planeta. Desde diversos enfoques y procesos se avanza en este empeño. Inclusive en el seno de Naciones Unidas -por iniciativa del Estado Plurinacional de Bolivia- se alcanzó una declaración a favor del agua, en julio del 2010, estableciendo que el acceso al agua potable es un derecho humano fundamental. Si bien ese paso está mediatizado por la falta de apoyo de los países enriquecidos -propietarios de las empresas transnacionales del agua- su significación no deja de ser importante. Y lo es porque ese logro fue posible gracias a otras luchas que aspiran una gran transformación.
La referencia inmediata de esa decisión en el seno de Naciones Unidas fue la Constitución ecuatoriana del 2008, conocida mundialmente por ser la primera que constitucionaliza los Derechos de la Naturaleza y que otorga, en consecuencia, un estatus especial al agua. Recordemos que, desde el inicio, en el artículo 3 de la Constitución se estableció como primer deber primordial del Estado garantizar sin discriminación alguna a todos sus habitantes el efectivo goce de los derechos, en particular la educación, la salud, la alimentación, la seguridad social y el agua.
Desde esa definición inicial, en la Asamblea Constituyente en Montecristi se aprobaron principios fundamentales, como ejemplifica el artículo 12:
“el derecho humano al agua es fundamental e irrenunciable. El agua constituye patrimonio nacional estratégico de uso público, inalienable, imprescriptible, inembargable y esencial para la vida.”
Entre los muchos elementos constitucionales vinculados al líquido vital, se prohíbe el acaparamiento del agua (y de la tierra). Y en complemento de todo lo anterior, se resolvió que el agua, en tanto derecho humano, supere la visión mercantil y aquella del “cliente” que solo puede acceder al agua quien tiene capacidad de pagar. El agua en tanto bien nacional estratégico de uso público rescata el papel del Estado al tener la potestad de otorgar el uso de agua y tener un papel rector. El agua en tanto patrimonio de la sociedad debe manejarse en función del largo plazo, es decir de las futuras generaciones, liberando al agua de las presiones cortoplacistas del mercado y de la especulación. Y el agua en tanto bien común recupera lo comunitario desde donde se tiene que replantear íntegramente esta cuestión vital, pues una de las prioridades de su uso es el mantenimiento del ciclo ecológico del agua.
El agua, entonces, entra de lleno en la definición de la Naturaleza como sujeto de derechos. Se trata de derechos propios que garanticen integralmente su existencia y el mantenimiento y regeneración de sus ciclos vitales, estructura, funciones y procesos evolutivos. Se establece que toda persona, comunidad, pueblo o nacionalidad podrá exigir a la autoridad pública el cumplimiento de dichos derechos. Y, en línea con estas disposiciones claramente revolucionarias, la Naturaleza tiene derecho a la restauración, que es independiente de la obligación que tienen el Estado y las personas naturales o jurídicas de reparar los daños ambientales y de indemnizar a los individuos y colectivos que dependan de los sistemas naturales afectados. Por demás está señalar que hay disposiciones claras para sancionar los casos de destrucción ambiental, complementadas con los principios de precaución y restricción para las actividades que puedan conducir a la extinción de especies, la destrucción de ecosistemas o la alteración permanente de los ciclos naturales. Sinteticemos lo expuesto citando a Leonardo da Vinci: “El agua es la fuerza motriz de toda la Naturaleza.” Y por esa razón cobra cada vez más fuerza la defensa del agua como un derecho humano, así como los dderechos intrínsecos del agua misma.
A pesar de que estas posiciones no han sido respetadas por parte de los gobiernos que han estado en funciones desde la mayoritaria aprobación en las urnas de la Constitución de Montecristi en el año 2008, distintas organizaciones y comunidades, justamente aquellas que inspiraron estos logros constitucionales, venciendo una infinidad de dificultades, multiplican sus luchas de resistencia.
Las consulta populares por el agua en los Andes ecuatoriales
Frente a las imparables presiones extractivistas -entre las que destacamos la minería a gran escala impuesta en el gobierno de Rafael Correa-, muchas comunidades enarbolan los derechos por la vida, brevemente mencionados anteriormente. Así, en muchos territorios, en donde con la minería se sembró a “sangre y fuego” el odio y la división entre las mismas familias, recuperando el derecho constitucional a la participación en la toma de decisiones, las comunidades despliegan diversas acciones de lucha. Con sus respuestas enfrentan el saqueo, la devastación, las violencias, las falsas esperanzas de prosperidad, los anuncios de ingresos millonarios que en realidad solo son perversas quimeras… Simultáneamente desafían al poder político y mediático que alienta a las empresas mineras tolerando o incluso auspiciando sistemáticas violaciones de la Constitución: una situación perversa en la que incluso las empresas mineras consideradas como legales parten de bases de ilegalidad e inclusive de inconstitucionalidad. Y recurriendo a los derechos existentes, que incluye el derecho constitucional a la resistencia en su artículo 98, muchas comunidades ponen en jaque al poderoso bloque minero-gubernamental.
Así, este pasado 7 de febrero, en el marco de la primera vuelta del proceso electoral para elegir al presidente de la República y al nuevo cuerpo legislativo, en la ciudad de Cuenca, el tercer cantón más poblado de Ecuador, dentro de lo que establece la Constitución en su artículo 104, se celebró una consulta popular histórica. El 80% de los votos se expresó a favor del agua en contra de la minería metálica en las zonas de recarga hídrica de los ríos Tarqui, Yanuncay, Tomebamba, Machángara y Norcay; agua que se origina en los páramos y bosques circundantes al Parque Nacional Cajas y que sirve para diversos usos de los habitantes de dicha región.
En efecto, estos ríos abastecen el riego para la agricultura y la actividad lechera, suministran directamente agua a la población de Cuenca y de muchas comunidades de la zona, muchas de las cuales viven además del turismo. Lo preocupante es que más de 200 concesiones mineras circundan los páramos del cantón, lo que ya amenaza seriamente el suministro del líquido vital. En resumen, están en juego intereses estratégicos vitales para Cuenca, porque con la explotación minera en las zonas de recarga hídrica de los citados ríos se afectaría el derecho humano al agua de sus habitantes.
Como resultado de un largo proceso, venciendo un sinnúmero de dificultades, se llegó a la indicada e histórica fecha. El camino recorrido es largo. Desde hace más de veinte años las comunidades campesinas e indígenas de la provincia del Azuay, cuya capital es Cuenca, han enfrentado las presiones mineras.
Hay un antecedente que no se puede olvidar. En la misma provincia, en el cantón Girón, al sur de Cuenca, utilizando diversas formas de lucha, que pasan por cortar caminos a transitar por los complejos meandros de la justicia, se empezó a onstruir lo que llegó a ser la primera consulta popular vinculante, es decir apegada a las normas constitucionales en el ya mencionado artículo 104, para lo que tuvieron que recoger las firmas necesarias. Pero tendrían que pasar casi 8 años para que dicha consulta se pueda cristalizar; el gobierno de ese entonces, fiel aliado de los capitales mineros, bloqueó sistematicamante el ejercicio de dicho derecho constitucional.
Fue el domingo 24 de marzo del 2019, cuando se celebraron elecciones para prefectos provinciales, alcaldes y otras dignidades locales, la fecha en que se dio un paso sustantivo para la posterior consulta cuencana. Así, en el pequeño cantón de Girón, en la provincia del Azuay, en un pronunciamiento popular se decidió sobre la minería: la primera consulta vinculante de ese tipo en Ecuador. Al frente estuvieron varias organizaciones particularmente campesinas: la Federación de Organización Indígenas y Campesinas del Azuay (FOA) y de la Unión de Sistemas Comunitarios de Agua de Girón, que contaron con el respaldo de varios conglomerados ciudadanos, entre los que se destaca el Colectivo Yasunidos de Guapondelig (Cuenca).
Las comunidades lucharon contra el poder de grandes mineras y del Estado, dispuestos a bloquear la consulta como sea. Incluso, en la recta final tanto el capital como el Estado interpusieron múltiples impugnaciones a la autoridad electoral para frenar el avance de la consulta. Con estos antecedentes, el reférendum de Girón, en el que las comunidades obtuvieron un contundente triunfo con un 87 por ciento de los votos, fue determinante para proteger al menos una par del páramo de Kimsacocha e impulsar la consulta de Cuenca.
La decisión popular cuencana se cristalizó luego de tres intentos fallidos propuestos para toda la provincia, impulsados por diversas organizaciones, con el liderazgo del que fuera prefecto provincial: Yaku Pérez, posteriormente candidato indígena a la Presidencia de la República (a quien la argolla en el poder impidió de manera fraudulenta que llegué a la segunda vuelta en las elecciones que se celebraron el mencionado 7 de febrero). Esta consulta cuencana venció con una estrategia inteligente todo tipo de trampas jurídicas, incluso apuntaladas a momentos por la Corte Constitucional, contando con el respaldo y el liderazgo de una alianza campesina-citadina, que es la que explica el gran triunfo obtenido. En este caso no se siguió la ruta de la consulta popular recogiendo firmas de la ciudadanía como en Girón, sino que se alcanzó la mayoría en el consejo cantonal de Cuenca, para -de acuerdo a la normativa constitucional- avanzar hacia el reféredum que provoca ya una serie de ecos cada vez más potentes; por ejemplo, ya se trabaja en nuevas consultas vinculantes en otras zonas del Ecuador, como sería el Distrito Metropolitano de Quito, cuya región noroccidental está severamente amenazada por la minería.
Así, inspirado en el esfuerzo azuayo, teniendo como eje una ferrea alianza de los habitantes campesinos y citadinas- se avanza hacia una consulta popular para proteger el agua y la biodiversidad en la ciudad de Quito, la capital del Ecuador. El abastecimiento de agua, el suministro de alimentos de calidad y la existencia de bosques prístinos, con su enorme y rica biodiversidad, está ya severamente amenazado por las actividades mineras. Y para hacer posible esa consulta vinculante, como resultado de una larga resistencia se ha conformado un gran frente en el que participan la Unión de los Gobiernos Locales y de la Red de Jóvenes Líderes de la Mancomunidad del Chocó Andino, el Frente Antiminero de Pacto, los comités de gestion de las áreas de conservación y uso sostenible, así como varios colectivos citadinos como Yasunidos y Caminantes, entre otros muchos. La pregunta para dicho ejercicio democrático ya está lista; solo espera la aprobación de la Corte Constitucional y así poder empezar la recolección de firmas, como parte de un proceso complejo si, pero que será a la vez un gran ejercicio de pedagogía popular. Eso es lo que se plasma en la pregunta formulada colectivamente para prohibir toda forma de explotación de minería metálica del Subsistema Metropolitano de Áreas Naturales Protegidas del Distrito Metropolitano de Quito; y, dentro del Área de Importancia Ecológica, Cultural y de Desarrollo Productivo Sostenible conformada por los territorios de las parroquias que conforman la Mancomunidad del Chocó Andino.
Estos indudables logros son todavía insuficientes. La perversa alianza entre mineras y el Estado no descansa en su afán por imponer su voluntad. La lista de leguleyadas esgrimidas para desconocer inclusive la voluntad popular en Cuenca y también torpedear sentencias juduciales que paralizan la minería es enorme. Aducen que, si queremos mencionar un tema, que las concesiones son previas a la consulta popular y que por lo tanto ésta no puede tener un efecto retroactivo. Igualmente esgrimen como un argumento atemorizante la seguridad jurídica en riesgo si se ven interrumpidas las actividades mineras, lo que desembocaría en demandas internacionales.
Sostener proyectos en marcha e incluso concesiones entregadas desconociendo las normas constitucionales y legales para no afectar intereses particulares que golpean a la colectividad humana y natural es una aberración; sería como justificar el mantenimiento de la esclavitud para no afectar a los esclavistas… Bastaría recordar que cuando se liberó a los esclavos no faltaron quienes reclamaron por las “pérdidas” sufridas por sus “propietarios”, a quienes se les restringía “su libertad” para comercializaros, utilizarlos, explotarlos… Algo similar pasó cuando se cuestionó el empleo de niños y niñas en Inglaterra a inicios del siglo XIX: “La polémica fue enorme”, nos recuerda Ha-Joon Chang, destacado profesor de la Universidad de Cambridge: “Para los detractores de la propuesta (esta) socavaba la libertad de contratación y destruía los cimientos del libre mercado”. Sin duda que, desde una perspectiva de seguridad jurídica integral, lo que cuenta en todo momento es el bien común y no exclusivamente los intereses particulares, incluyendo, en todo momento, la vigencia plena de los Derechos de la Naturaleza, en conplemento con los Derechos Humanos.
Ahora, estas empresas mineras transnacionales, que cuentan con listas para calificar la mayor o menor apertura de los países, es decir su mayor o menor grado de sumisión al extractivismo minero, ven con enorme preocupación como estos “malos ejemplos” se expanden desde hace ya muchos años no solo en el Ecuador, sino por el mundo entero. Y tienen razón.
El “mal ejemplo” se extiende por el mundo
“El agua no se venden, el agua se defiende”, “el agua antes que minería” son unos de los tantos gritos que resuenan en Nuestra América. Redoblando esfuerzos, enfrentando transnacionales y gobiernos cómplices, miles de personas en la región defienden diariamente sus territorios. Sería imposible mencionar todas esas acciones, pero si conviene recordar algunas de ellas que también han transitado por los complejos corredores de la justicia y de la institucionalidad constitucional, impulsando consultas populares.
Sin pretender una lista exhaustiva recordemos las más importantes consultas populares, que sirvieron también de experiencia y aliento para las de Ecuador. De las decenas de consultas populares de buena fe o vinculantes realizadas recordemos algunas: el distrito de Tambogrande en Piura en Perú es reconocido como uno de los pioneros por la consulta popular que tuvo lugar el 2 de junio de 2002, contra los planes de extraer oro del yacimiento situado debajo mismo de la población. El 23 de marzo de 2003, en Esquel, Argentina, se dio un plebiscito que con un 82% de los votos rechazó las actividades mineras en la zona, aunque con carácter no vinculante, lo que sin embargo permitió declarar a Esquel como “municipio no tóxico y ambientalmente sustentable”; y actualmente en ese mismo país se trabaja arduamente para cristalizar una consulta popular por una ley de protección integral del agua con el fin de sostener la vida de comunidades y ecosistemas. En Colombia, país de gobiernos neoliberales e hiperextractivistas, ya son diez las consultas realizadas y otras decenas propuestas; el 28 de julio de 2013, en el pequeño y casi perdido municipio de Piedras en el Tolima -de economía agrícola y ganadera– se hizo la primera consulta popular vinculante en contra del distrito minero La Colosa, previsto a ser una de las más grandes minas a cielo abierto del planeta; y desde entonces, sorteando una serie de dificultades, las consultas populares se multiplicaron hasta quedar aparentemente inutilizadas por las presiones del poder minero-gubernamental.
Las opciones para concretar estos derechos rebasan las respuestas mencionadas en forma telegráfica. Hay más, inclusive en otros terrenos. Puntualicemos las siguientes. En noviembre de 2016 al Río Atrato y su cuenca en Colombia se le reconoció como sujeto de derecho por la Corte Constitucional, el máximo órgano de control constitucional; igual sucedió en 2018 con la Amazonia colombiana; dos acciones notables en un país donde los Derechos de la Naturaleza se conquistan con respuestas creativas desde el ámbito ciudadano, sin estar constitucionalizados.
Y no solo América Latina se moviliza en defensa del agua y los Derechos de la Naturaleza.
En 2016 la Corte Suprema de Uttarakhand en Naintal, al norte de la India, sentenció que los ríos Ganges y Yumana son entidades vivientes. En marzo de 2017 el Río Whanganui en Nueva Zelanda fue reconocido como sujeto de derechos para que pueda presentarse en los estrados judiciales a través de sus representantes: el pueblo Whanganui iwi; en 2013, inclusive el Parque Nacional Te Urewera, también de ese país, fue reconocido como entidad legal con los derechos de una persona; si bien la tierra no tiene dueño, es manejada en conjunto por los pueblos Crown y Tuhoe. En Nepal está en proceso una iniciativa para reconocer los Derechos de la Naturaleza vía enmienda constitucional. En Africa, entre las múltiples luchas, podríamos mencionar la defensa del delta del río Niger en Nigeria.
También en los EEUU se dan pasos dignos de destacar. En Toledo, Ohio, se decidió en las urnas el 26 de febrero de 2019 que el lago Erie, el onceavo más grande del mundo y que proporciona agua potable a 12 millones de estadounidenses y canadienses, tiene derechos. A su vez un grupo de ciudadanos norteamericanos presentó una demanda para que las Montañas Rocosas y el desierto de Nevada puedan demandar legalmente a individuos, corporaciones o gobiernos en EEUU.
En Europa, para mencionar otro continente, centenares de miles de ciudadanos y ciudadanas, con diversos grados de éxito, enfrentan la privatización de los servicios de agua. En Alemania, en Berlín, han sido exitosos los esfuerzos por recomunalizar el agua, algo similiar aconteció en París, Francia. En Italia en junio de este año se celebrará el décimo aniversario de la histórica victoria del Referéndum popular cuando el 95% de los 27 millones de participantes rechazaron rotundamente la privatización del agua. Esfuerzos similares se realizan también en España, Portugal, Grecia…
La conclusión es contundente. Las organizaciones comunitarias, embarcadas en estos intríngulis de la justicia -casi siempre manipulada o controlada por intereses de grandes empresas en contubernio con los gobiernos- están obligadas a emplear con inteligencia y creatividad todas las herramientas que ofrece la institucionalidad existente. Igualmente, resisten frente a diversas formas de violencia abierta o encubierta con la que se persigue, estigmatiza, criminaliza e inclusive asesina a los defensores de la vida, que en definitiva de eso se trata toda esta lucha: defender la vida. La cuestión, como es obvio, supera el ámbito técnico-jurídico obligando a replantear las luchas de resistencia y de re-existencia.
Urgente, tejer luchas globales de resistencia
Es evidente, entonces, que el tránsito para cristalizar los Derechos de la Madre Tierra, que son en definitiva los derechos que aseguran la existencia de los seres humanos, demanda de alianzas múltiples. Se requiere tender puentes entre el campo y la ciudad, puentes entre las distintas regiones de un país y cada vez más puentes entre todas las luchas de resistencia en el mundo: en definitiva los sures del mundo -existentes también el Norte global-, afectados por los extractivismos, deben unirse.
Sin minimizar sus orígenes históricos y sus contenidos sociales y ambientales propios de cada lucha, lo que se juega en estas luchas es la democracia. Se trata de hechos políticos que sintetizan el derecho de una comunidad a decidir sobre su territorio y su proyecto de vida en común. Resume la decisión de supervivencia de pueblos que han resistido y siguen resistiendo a las lógicas de acumulación capitalista que sofocan la vida, sea de los humanos o de la Naturaleza. Se busca priorizar la vida digna para todos los seres humanos y no humanos antes que un insostenible productivismo y un imparable consumismo apuntalado en un individualismo alienante; la particularidad local a la uniformidad globalizadora. Es la lucha entre estas visiones de mundo, cuya superación debería orientarse por un horizonte pluriversal: un mundo donde quepan muchos mundos, asegurando la justicia social y justicia ecológica simultáneamente.
Así, en cada consulta popular se juega muchísimo más que meras controversias jurídicas. Estas consultas, como una parte más de largas y complejas resistencias y construcciones de alternativas, denotan -sin rodeos- el gran potencial de una democracia vivida, practicada y conquistada desde abajo, desde las comunidades, para desde allí extenderse a otros ámbitos gubernamentales. Igualmente sintetizan formas de vida que deben respetarse mientras se abren espacios para construir otro tipo de economía. Y en medio de la pandemia del Covid-19 cobra redoblada fuerza la necesidad de preservar este liquido vital como un derecho y no más como una mercancia.
Y esa democracia demanda acciones permanentes en muchos campos, pues las consultas populares, como lo vemos ya en Cuenca, no terminan por resolver los problemas. Si la voluntad popular expresada en las urnas en esa ciudad no es respetada, más allá de continuar forcejeando por el complejo sendero de la justicia, se mantiene siempre abierto el camino de la resistencia en las calles y en el campo, levantamientos y bloqueos, marchas y caminatas, incluyendo nuevas consultas populares. No nos olvidemos que de acciones incluso heroicas está lleno este sendero para defender la vida, como fue la conocida como la Guerra del Agua que tuvo lugar en Cochabamba, entre los meses de enero y abril de 2000, cuando los sectores populares de esa ciudad boliviana se movilizaron exitosamente en contra de la privatización del abastecimiento de agua potable municipal.
Lo que hemos sintetizado en estas breves líneas representa el gran mensaje de esta jornada histórica en Cuenca, que continuará en Quito, así como en muchas otras regiones del planeta: nuestro compromiso es con la vida digna de seres humanos y no humanos. Puesto en las contundentes palabras del infatigable luchador argentino Fernando Pino Solanas**, cuando participó en el Tribunal Internacional de los Derechos de la Naturaleza, en Paris, en diciembre del 2015, “quizás no exista una causa mayor, desde la Declaración Universal de los Derechos Humanos, que luchar por los Derechos de la Naturaleza”.
* Economista ecuatoriano. En la actualidad es profesor universitario, conferencista y sobre todo compañero de lucha de los movimientos sociales. Juez del Tribunal Internacional de Derechos de la Naturaleza (desde el 2014). Ministro de Energía y Minas del Ecuador (2007). Presidente de la Asamblea Constituyente del Ecuador (2007-8). Autor de varios libros.
** Fernando Ezequiel Solanas (1936-2020), argentino, más conocido como Pino Solanas: director de cine y político: diputado, senador, embajador; juez del Tribunal Internacional de los Derechos de la Naturaleza. Un gran referente de dignidad en las luchas que emprendió y en las que participó.