*** Terza parte ***

Femminismi ecoterritoriali in America Latina. Tra violenza patriarcale ed estrattivista e l'interconnessione con la natura/3

di Maristella Svampa


 

6. Acqua per la vita

Quando iniziammo la lotta contro Agua Zarca sapevo quanto sarebbe stata dura, ma sapevo che avremmo vinto, me lo disse il fiume. Continueremo non solo come popolo Lenca ma con altre organizzazioni, con la speranza di cambiare la situazione nel nostro Paese.
Non ci rimane altra alternativa oltre a quella di combattere".
Berta Cáceres, 2015, intervista alla BBC

Di fronte al collasso socio-ambientale, l'acqua è destinata a essere un bene scarso. La forte identificazione con la terra e i suoi cicli vitali di riproduzione hanno fatto sì che la difesa dell'acqua per la vita (e non per gli estrattivismi assetati) diventasse progressivamente uno degli slogan centrali del femminismo ecoterritoriale. Attualmente, le forme di accaparramento e appropriazione dell'acqua nel contesto dell'espansione estrattivista si sono esacerbate, sia per quanto riguarda il consumo eccessivo e la concentrazione, sia per la privatizzazione e l'inquinamento. Ad esempio, l'acqua e le miniere, l'acqua e il fracking, l'acqua e le mega-dighe sono intrinsecamente legate. Di conseguenza, con l'aumento del metabolismo sociale del capitale e la mercificazione dei beni comuni, queste forme di appropriazione hanno aumentato esponenzialmente le disuguaglianze ambientali, sociali ed etniche già esistenti.

Succede con l'attività mineraria, tra quelle estrattive la più avversata in America Latina. L'estrazione a cielo aperto non solo lascia enormi oneri ambientali e utilizza sostanze inquinanti e una grande quantità di energia. Consuma soprattutto milioni di litri di acqua dolce, per la quale compete con altre attività economiche —tradizionali e sostenibili—, nonché con usi domestici e residenziali dell'acqua. Ad esempio, la compagnia mineraria La Alumbrera è autorizzata a consumare 100 milioni di litri al giorno nella provincia di Catamarca, una delle più povere e aride dell'Argentina. Nel settembre 2021, l'Osservatorio sui conflitti minerari in America Latina (OCMAL) ha registrato 284 conflitti minerari dichiarati, 301 progetti coinvolti, 6 transfrontalieri, 264 casi di criminalizzazione, 39 indagini sull'attività mineraria e 162 conflitti legati all'acqua (OCMAL, 2021).

Un caso emblematico è quello di Máxima Acuña, conosciuta come “la signora della laguna blu”, che si oppose al progetto minerario di Conga a Cajamarca, in Perù. La costruzione di Conga avrebbe provocato il prosciugamento e la distruzione di quattro lagune della zona, che costituiscono un sistema idrico interconnesso, cosa che avrebbe compromesso per sempre il complesso, tanto più considerando la mancanza di ghiacciai (Amancio, 2016). La lotta di Máxima, una contadina analfabeta che vive a 4.000 metri di altitudine, contro la compagnia mineraria Yanacocha è diventata famosa: “Hai mai sentito che le lagune sono in vendita? - chiedeva Máxima Acuña, mentre sollevava una pesante roccia con le mani, il giorno in cui la compagnia cercò di sfrattarla. O che i fiumi si vendono, la sorgente si vende e si proibisce? (Amancio, 2016). Nonostante sia stata picchiata, che la sua casa sia stata data alle fiamme e che abbia continuato a ricevere minacce, Máxima ha continuato a guadagnarsi da vivere nella zona e a difendere l'acqua delle lagune. Infine, e grazie alla lotta delle comunità e alla pressione popolare, il progetto Conga è stato sospeso nel 2011.

In Bolivia, la lotta delle donne contro l'estrazione mineraria si distingue attraverso la Rete Nazionale delle Donne in Difesa della Madre Terra (RENAMAT), il cui motto centrale è "Acqua per la vita, non per l'estrazione mineraria". A livello regionale, c'è la Rete latinoamericana delle donne difenditrici dei diritti sociali e ambientali (2020), creata con lo scopo di rendere visibili gli impatti dell'attività mineraria sulle donne, le loro lotte, il loro rapporto con la natura e il saccheggio di risorse minerarie a beneficio economico delle società minerarie. Ciò include numerose organizzazioni, con una lunga storia di lotte contro l'estrattivismo, come Censat-Agua Viva (Colombia), Acción Ecológica (Ecuador), Colectivo Casa (Bolivia), Movimiento Ecofeminista en El Salvador, el Grupo de Intervención y Formación para el Desarrollo Sostenible (Grufides) (Perú) y el Colectivo Casa (Bolivia), tra le altre.

Un altro caso è l'estrazione del litio, che è un'attività mineraria di acqua. L'aumento della domanda di questo minerale, considerato strategico per la transizione energetica, ha innescato una febbre da Eldorado, che colpisce il cosiddetto "triangolo del litio" (Argentina, Bolivia e Cile). Sia il Cile che l'Argentina cercano di consolidarsi come principali esportatori mondiali di litio, senza abbandonare il modello di primarizzazione, per il quale hanno un quadro normativo altamente mercantililizzato (che nel caso cileno include la privatizzazione dell'acqua) e un sostegno da parte degli stati nazionali alle compagnie minerarie, nella loro domanda sempre crescente di acqua, per produrre più tonnellate di litio da esportare. Ciò mette a rischio il fragile ecosistema del deserto, la sua fauna selvatica e i mezzi di sostentamento delle persone che vi abitano -soprattutto le comunità indigene-, minaccia la rottura del fragile equilibrio idrico e tende a prosciugare le falde acquifere e le riserve idriche, zone già caratterizzate da aridità e stress idrico. Allo stesso modo, l'estrazione del litio compete per l'acqua con le attività agricole e di pascolo delle comunità indigene locali, rappresentando anche una minaccia per la biodiversità. Una ricerca condotta per il Cile da Ingrid Garcés, dell'Università di Antofagasta, indica che per ogni tonnellata di litio prodotta vengono utilizzati due milioni di litri di acqua dolce (Fundación Terram, 2019).

Nel caso dell'Argentina, nella regione di Atacama, a partire dal 2010, tutto ciò ha innescato forti conflitti per l'acqua, per l'impatto sugli stili di vita e per l'economia locale e la biodiversità. Così, nelle Salinas Grandes, è stato creato il Tavolo delle 33 Comunità Indigene per la Difesa e Gestione del Territorio (Salta e Jujuy), a cui partecipano numerose donne contadine indigene, dedite a varie attività, tra cui le tessitrici. Nella foga della difesa dell'acqua, si è sviluppata la nozione di "bacino" come concetto politico, che "ha permesso di collegare le esigenze del diritto indigeno —insieme alle richieste di ottemperanza alla consegna dei titoli territoriali— con diritti universali quali il Diritto alla Salute e il Diritto all'Acqua, e più precisamente con l'obbligo del rispetto del principio di precauzione sancito dalla Legge Ambientale Generale” (Argento, Puente e Slipak).

In Cile, paese modellato per decenni secondo uno schema neoliberista, l'acqua è un bene privatizzato. In questo contesto e con lo stress idrico, il Cile deve desalinizzare l'acqua del mare per potenziare le sue miniere di rame. L'ampliamento della frontiera del litio ha ulteriormente aggravato la disputa per l'acqua. Il suo impatto sulla regione cilena di Atacama è tale che questo è stato uno dei temi del Tribunale internazionale per i diritti della natura, riunito in Cile nel dicembre 2019. Non a caso, le organizzazioni socio-ambientali ritengono che la deprivatizzazione delle acque e l'inclusione dei Diritti della Natura sia uno dei grandi temi che dovrà affrontare la Convenzione Costituzionale, la cui presidente è oltretutto una donna indigena, Elisa Loncon. Uno dei leader in questa lotta per la deprivatizzazione dell'acqua è Francisca Fernández Droguett; Antropologa e membro del Movimento per l'acqua e i territori-MAT, il Comitato socio-ambientale del Coordinamento Femminista 8M e la Cooperativa di approvvigionamento Popolare La Cacerola (Ñuñoa), parla di "idropolitica della depredazione" di fronte all'intensificarsi dell'estrattivismo e delle resistenze (OPLAS, 2021).

Dall'altra parte, l'espansione delle mega-dighe e la trasformazione dei fiumi in idrovie costituiscono un esempio di privatizzazione per diversione, poiché questi processi lasciano senza acqua comunità, contadini, popolazioni indigene e piccole località. Attualmente, i fiumi tortuosi che attraversano il Sud America stanno diventando rotte acquatiche ad uso e consumo dell'estrattivismo, la cui funzione è quella di mobilitare e trasportare materie prime, minerali, metalli, soia, petrolio, foglie di palma, insomma tante commodities che si estraggono e si esportano dall'America Latina al mondo, dal fiume Magdalena al Paraná.

Uno dei casi più clamorosi in difesa dei fiumi, dei diritti umani e dei diritti del popolo lenca è stato quello di Berta Cáceres (citata all'inizio dell'epigrafe), attivista e fondatrice del Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell'Honduras (COPINH), che ricevette il Goldman Prize 2015, e che —nonostante il prestigio internazionale di cui godeva e le misure precauzionali della Corte Interamericana dei Diritti Umani a causa delle minacce contro di lei — fu assassinata nel marzo del 2016 dalle forze repressive del suo paese, per essersi opposta a un megaprogetto idroelettrico. “Attualmente siamo più di 400.000 Lenca. Siamo un popolo millenario dell'Honduras e dell'oriente di El Salvador. […] Ci consideriamo custodi della natura, della terra e soprattutto dei fiumi”, aveva detto Cáceres alla BBC nel 2015 (Martins, 2015). La lotta del COPINH continua attiva ed è portata avanti anche da una delle figlie di Berta Cáceres, che rafforza la lotta per l'acqua e il legame tra i popoli indigeni e la natura.

“Siamo la più grande comunità dell'Honduras e c'è molta diversità tra coloro che la compongono. Siamo custodi della natura, della terra e soprattutto dei fiumi. Nella nostra tradizione, gli spiriti femminili risiedono nei fiumi e le donne sono le loro principali guardiane. La nostra vita spirituale è legata alle foreste e all'acqua. Siamo una comunità che dona sorrisi. Un popolo forte e coraggioso. Combattiamo contro il progetto Agua Zarca da una posizione di non violenza, esercitando il diritto alla giustizia e all'acqua e chiedendo rispetto e dignità per il popolo Lenca (CIDON, 2018).

Sulla stessa linea si colloca la resistenza alle mega-dighe in Brasile, dove negli anni '90 si è formato il MAB (Movimento Anti-dighe Brasiliano), di cui uno dei casi più noti è stata la lotta alla centrale idroelettrica di Belo Monte, una dei più grandi progetti del Piano di Accelerazione della Crescita (PAC) e tra i più grandi impianti idroelettrici del mondo. Come in tanti altri casi, si tratta di una richiesta di giustizia ambientale che riguarda l'acqua. Lo slogan è “L'acqua è del popolo, non di Belo Monte”. Sono state le donne che hanno raccontato la storia della resistenza e della perdita dei legami di socialità di fronte allo spostamento, che è stato registrato su teli – arpilleras – , sottoforma di racconti ricamati (Ertzogue e Busquets, 2019)7. Tra il 2013 e il 2015 le donne hanno prodotto 70 teli e hanno partecipato alla mostra internazionale “Arpilleras, ricamando Resistenza”, al Memorial de America Latina (San Paolo).

"Per noi, donne colpite, le arpilleras sono state un modo per denunciare le nostre storie negate", ha detto una delle membri del Collettivo delle Donne. “Noi abbiamo le nostre vite distrutte. Nelle arpilleras abbiamo trovato il filo, la fibra, la linea per cucire un senso, per responsabilizzarci come soggetti nel processo di emancipazione umana, affermando la nostra identità di combattenti contro la realtà diseguale del modello energetico brasiliano (citato in Ertzogue e Busquets, 2019).

Allo stesso modo, la lotta delle donne ai piedi dell'Orinaoquia e dell'Amazzonia, nella catena montuosa orientale della Colombia, nella regione dei Caraibi e nel bacino della Magdalena, che difendono i fiumi dall'espansione della frontiera petrolifera (Roa Avendaño et al., 2017) . Ma l'elenco sarebbe ancora incompleto. Ciò che più si conosce è, come si ripete e si amplifica, un linguaggio di valorizzazione opposto alla territorialità dominante, in difesa dei fiumi, dei bacini idrici, dei ghiacciai, un'intera ecologia politica femminista dell'acqua che segna l'interconnessione tra acqua, vita, biodiversità e natura.

Anche nelle donne colpite da agrofarmaci, la chiave per la denaturalizzazione della contaminazione fu la problematica dell'acqua. Come fa notare una persona danneggiata, sopracitata: “La nostra lotta non è iniziata direttamente perché ci siamo accorti delle fumigazioni, ma perché, tra gli altri problemi, avevamo sotto attacco un altro diritto fondamentale: l'acqua. Stanchi di bere la scarsa qualità dell'acqua fornita dalla cooperativa Sabia SRL, abbiamo chiesto con forza che fosse sostituita dalla rete di acqua potabile” (Gruppo di Madri del Barrio Ituzaingó Anexo, in Berger y Carrizo, 2019: 15).

I messaggi dell'acqua sono molteplici. Ad esempio, va notato che il processo di appropriazione e privatizzazione dell'acqua si è intensificato dopo la sua quotazione alla borsa di Wall Street (2020). Il passo compiuto dal capitalismo finanziario in relazione all'acqua da una logica puramente speculativa minaccia i diritti delle persone e il sostentamento della vita, esacerba i problemi esistenti e aumenta la minaccia della crisi climatica e del collasso ecologico. Come afferma Acción Ecológica, dell'Ecuador, una delle organizzazioni composte principalmente da donne che conta su un gran bacino di lotte e conoscenze nella difesa dell'acqua e del territorio: “Ogni clic sui computer delle borse avrebbe un effetto sull'acqua che si trova nella natura e nei territori in cui vivono le comunità, violando il diritto dei contadini o della popolazione urbana di accedere all'acqua per sopravvivere” (Azione Ecologica, 2021)8.

Insomma, come sostiene Rita Segato (2019), la parola disuguaglianza non basta a descrivere l'oscena realtà di concentrazione in cui viviamo: "questo è un mondo segnato dalla proprietà o dal dominio". In tal senso, si potrebbe dire che neoestrattivismo, acqua e proprietà vanno di pari passo: sempre più acqua viene utilizzata per l'estrazione dei metalli e del litio, più acqua per il fracking, mentre i fiumi vengono arginati e/o convertiti in rotte acquatiche per l'estrattivismo, i ghiacciai vengono distrutti non solo a causa del riscaldamento globale ma anche a causa dell'attività mineraria, le zone umide vengono devastate da incendi o eliminate per espandere la frontiera agricola e urbana, i bacini idrici appaiono sempre più inquinati da sversamenti o sperimentano abbassamenti storici – come nel caso del fiume Paraná, il secondo fiume del Sud America dopo l'Amazzonia – e le reti di acqua potabile sono contaminate da agrotossici e prodotti chimici industriali. Così, la difesa dell'acqua come bene comune, pubblico, e diritto umano fondamentale, è uno degli assi principali delle lotte ecoterritoriali capitanate dalle donne, nel processo di sostenibilità della vita.
 

7. Corpi-territori e altri femminismi possibili

Il femminismo comunitario è una proposta esperienziale che nasce da un luogo quotidiano, inteso come luogo di enunciazione; il nostro territorio corpo-terra, poiché il rapporto che esiste cosmogonicamente tra corpi delle donne ed elementi del cosmo dovrebbe essere quello di fornirci l'armonizzazione per la vita in pienezza. Tuttavia, allo stato attuale non è così, da un lato, i nostri corpi hanno storicamente sperimentato la violenza derivante dal nodo coloniale, a sua volta, il territorio terra è violentato dal modello di sviluppo economico neoliberista ed è per questo che abbiamo assunto la difesa del territorio terra come uno spazio per garantire la vita, tuttavia, in questo territorio che difendiamo, molti di noi continuano a subire violenze da parte di alcuni leader del movimento di difesa territoriale”.
Lorena Cabnal, intervistata da Carballo (2015: 161)

All'ecologia politica dell'acqua e delle sue molteplici voci, si è aggiunta una prassi e una riflessione sul “territorio-corpo” e sul “corpo come territorio”, che deriva dalle donne indigene del Centroamerica. La pregnanza di questa lingua è stata tale che si è estesa dal Guatemala verso il Messico, attraverso l'Ecuador, la Colombia, la Bolivia, fino all'Argentina. Chi ha introdotto questo sguardo sui corpi-territori è Lorena Cabnal, una delle più importanti referenti e pensatrici della regione, della Red Ancestral de Sanadoras del Feminismo Comunitario, Tzk'at (in lingua maya quiché). Per Cabnal, la nozione di corpo-territorio permette di collegare diversi tipi di violenza, patriarcale, coloniale ed estrattivista. Allo stesso tempo, la difesa dei corpi e dei territori apre lo spazio collettivo della guarigione, nel tentativo di rompere con il paradigma coloniale e patriarcale. Così lo esprime con grande carisma Lorena Cabnal:

“Venendo da una storia di violenza sessuale, ciò mi rende tutto molto complesso, dal punto di vista politico. Da lì parte questo enunciato del femminismo territoriale comunitario, che dice 'così come si difende la terra, difendiamo il nostro corpo'. Vedete, i compagni hanno molto zelo nel difendere il territorio, ma guardate cosa succede con le donne. Proprio qui stanno violentando bambine e donne. Non lo fanno uomini bianchi o meticci. Lo stanno facendo uomini indigeni, cosa è successo? È qui che nasce la nostra prima affermazione “il mio corpo, il mio primo territorio di difesa”. Nel 2007 è l'anno in cui la lotta contro l'estrazione mineraria si risveglia con più forza, e cominciamo a interpellare il governo indigeno dicendo: siamo incoerenti come indigeni, difendiamo il territorio-terra ma non difendiamo il territorio-corpo. Perché noi donne stiamo difendendo questo territorio ma qui dentro ci stanno uccidendo. Questa è un'incoerenza cosmogonica. L'elemento vitale per iniziare a fare la decodifica comunitaria e femminista fu prendere la simbologia cosmogonica e inserirla nel nostro contenuto femminista territoriale. Abbiamo preso il calendario agricolo-lunare e abbiamo preso due dimensioni. Abbiamo scelto il colore rosso che rappresenta il sangue dei corpi: territorio-corpo. Dall'altra parte del calendario lunare-agricolo c'è il colore verde: territorio-terra. Abbiamo cominciato a dire che nella rete della vita tutto agisce con reciprocità ed è lì che inizia la decodificazione. Di fatto, la cosmogonia xinca emergerà anche con noi, daremo contenuto femminista agli elementi della cosmogonia xinca. Da qui deriva la nostra affermazione xinca "Liki tuyahaki na alteper kwerpo-naní", che è la definizione completa di "recupero, difesa e guarigione del territorio corpo-terra" (Goldsman, 2019).

Guarire “come atto personale e politico” (Cabnal, 2016) è il nome che prende la resilienza per il femminismo ecoterritoriale comunitario e decolonizzatore. Si tratta di un processo che cerca il recupero spirituale delle donne, a partire da una riconnessione con i corpi e con la natura, che riprende conoscenze ancestrali, mettendo a sua volta in discussione il patriarcato nelle sue diverse modalità, come il capitalismo neoliberista ed estrattivista. Siamo di fronte a una prassi ed epistemologia politica che afferma che altri femminismi sono possibili, così come sono possibili altre modernità. Nelle parole di Aura Lolita, membro del Consiglio dei Popoli K'iche's per la Difesa della Vita, Madre Natura, Terra e Territorio (CPK) del Guatemala: “Sono possibili altri mondi femministi dove non ci sono patriarcati, né i patriarcati ancestrali, né quelli occidentali, né le imprese, dove è possibile sognare che le imprese transnazionali, minerarie, idroelettriche e la monocoltura dei prodotti petroliferi e altre ancora, se ne siano andate. Che non ci siano” (2016).

Nella voce di Moira Millán, referente mapuche e leader del “Movimento delle donne indigene per il Buen Vivir”:

“Quando diciamo che siamo corpo-territorio, non è poesia, è la verità. Il territorio ci abita. Il territorio ha un ecosistema spirituale estremamente complesso, vastissimo, con una diversità di fonti diverse, che abita i nostri corpi. E allora siamo ciò che il territorio decide. E già lì la logica antropocentrica se ne va all'inferno. E non c'è modo di spiegarlo dalle strutture razionaliste di questa matrice civilizzatrice. Rimarremmo sempre limitate: se fossimo ambientaliste resteremmo limitate, se fossimo femministe rimarremmo limitate. Cosa siamo noi? Siamo donne indigene e proponiamo il recupero dell'ordine cosmogonico, la femminilizzazione cosmogonica, che è molto più trascendente del potere femminista: stiamo parlando di restituire la forza femminile della terra, degli spiriti della terra, a tutto l'ordine sociale, politico, culturale, anche biologico (Marcha, 2021).

Tuttavia, sebbene i femminismi ecoterritoriali comunitari abbiano in comune l'affermazione di altre modernità, diverse da quella occidentale dominante, conoscono anche diverse espressioni. Parte di queste differenze sono spiegate dal modo in cui i vari gruppi e collettivi di donne problematizzano il ruolo del patriarcato nel mondo preispanico e la sua relazione con il patriarcato occidentale. All'interno dei femminismi comunitari, ci sono gruppi che associano il patriarcato solo alla storia coloniale; altri che, al contrario, ne evidenziano la sua “rifunzionalizzazione” (Cabnal, 2016) o la sua “connessione coloniale” (Julieta Paredes, Assemblea femminista, Bolivia)9, nel quadro delle attuali comunità contadine-indigene. Insomma, ci sono diverse prospettive che attraversano anche il mondo accademico. Ad esempio, Rita Segato riconosce l'esistenza di un patriarcato a bassa intensità nel mondo dei villaggi indigeni preispanici (2016), sotto formati comunitari che includevano relazioni diverse da quelle della modernità occidentale, poiché consentivano una complementarità tra uomo e donna, e una riconsiderazione dell'ordine domestico e della riproduzione sociale. Ma ritiene che la violenza coloniale abbia smantellato quel mondo, sconvolgendo le relazioni di genere e inserendole in uno schema che avrebbe cambiato l'ordine domestico, sottoponendo le donne a nuovi tipi di violenza patriarcale ad alta intensità. In questa linea s'inserisce anche la lettura, in chiave di colonialismo interno, di Silvia Rivera Cusicanqui,. Da parte sua, María Lugones, altra rappresentante riconosciuta della prospettiva decoloniale, ha sostenuto che il patriarcato non esisteva nel mondo indigeno preispanico (Segato, 2016).

Tornando ai femminismi ecoterritoriali comunitari, nella sua versione più dirompente, troviamo una scommessa il cui punto di partenza è la denuncia della triplice violenza sui territori/corpi, cioè patriarcale, coloniale ed estrattivista, nonché l'enfasi sulla guarigione. La potenza di questa narrativa anticoloniale è stata tale da coinvolgere il campo accademico-militante femminista, in contatto con le lotte territoriali. Nascono così diversi gruppi dediti alla conduzione di laboratori e allo sviluppo di strumenti critici per “mappare il corpo-territorio”, come ad esempio il Collettivo Sguardi Crítici del Territorio dal Femminismo, nato in diversi paesi del mondo (Ecuador, Messico, Spagna, Brasile, Uruguay e Perù) e il Collettivo di Geografia Critica dell'Ecuador, tra gli altri. “Nella mappatura del corpo, le ferite, i segni, i ricordi speciali, i luoghi, gli spazi, i saperi, i fatti, appaiono come parte dei registri dei loro corpi attraverso i quali possiamo raccontare le nostre storie personali nei diversi territori”, afferma il Collettivo Sguardi Crítici del Territorio dal Femminismo (2017). Vale la pena trascrivere alcune testimonianze raccolte dai laboratori di questo collettivo:
“Mi sono fatta io stessa: sono una laguna, sono un páramo, sono gli uccelli, un arcobaleno. Dichiaro di essere parte della natura, del territorio, di esserne parte. Tutti gli esseri umani sono in armonia.”
Donna Kichwa degli altopiani ecuadoriani.

"Quando ho avuto la trombosi ho capito la diga nel mio corpo". Donna colombiana danneggiata da una diga” (Colectivo Miradas Críticas del Territorio desde el Feminismo, 2017).

La possibilità di rappresentare la corporalità dei conflitti illustra la produttività di questa cartografia critica dei corpi/territori, in un contesto di sorellanza e accompagnamento tra donne di diverse occupazioni, etnie e classi sociali.

Dall'altra parte, da qui, si è cominciato a tessere legami con i femminismi urbani, incentrati sulle lotte contro i femminicidi così come sull'espansione dei diritti o sulla legalizzazione dell'aborto. Questo legame non è immediato né evidente, dal momento che quei femminismi ecoterritoriali più incentrati sull'idea della sostenibilità della vita tendono a non essere d'accordo con i femminimi urbani che rivendicano il diritto all'aborto. Tuttavia, la narrazione legata alla corporalità delle lotte e ai segni della violenza offre una maggiore possibilità di connessione tra femminismi ecoterritoriali comunitari e femminismi urbani, poiché la denuncia della violenza è anche l'innesco per la rivendicazione dell'autonomia dei corpi.
 

(3. Continua)

* Maristella Svampa è sociologa, scrittrice e ricercatrice presso il Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas (CONICET) Argentina. Professoressa all'Università Nazionale di La Plata. Laurea in Filosofia presso l'Università Nazionale di Córdoba e PhD in Sociologia presso la School of Advanced Studies in Social Sciences (EHESS) di Parigi. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il platino Kónex Prize in Sociology (2016) e il National Prize for Sociological Essay per il suo libro "Debates latinoamericanos. Indianismo, sviluppo, dipendenza e populismo" (2018). Nel settembre 2020 ha pubblicato "El colapso ecológico ya llegó. Una brújula para salir del (mal)desarrollo", insieme a Enrique Viale, per la casa editrice Siglo XXI (www.maristellasvampa.net).

** Traduzione di Giorgio Tinelli per Ecor.Network


Feminismos ecoterritoriales en América Latina Entre la violencia patriarcal y extractivista y la interconexión con la naturaleza
Maristella Svampa
Fundación Carolina, Documentos de Trabajo 59 / 2021 (2ª época) - octubre 2021 - 30 pp.

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Note:

7) “Il MAB (Movimiento de Afectados por las Represas), fin dalla sua costituzione nel 1991, ha svolto un ruolo storico nella difesa dei diritti delle popolazioni danneggiate dalle dighe. All'interno del MAB è stato creato nel 2011 il Collettivo Nazionale delle Donne, la cui traiettoria si è incrociata con le ricamatrici della periferia di Santiago (Cile), donne che hanno resistito alla dittatura cucendo resistenza” (Ertzogue e Busquets, 2019).

8) Vedi anche la campagna che abbiamo realizzato in Argentina con vari gruppi, del Patto Ecosociale del Sud e EscritorasNoHayCulturaSinMundo, su Los mensajes del agua. Disponibile su: https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLScYRoKwqRB7Yr-zPWbadiRnErFsk-MTJfHqEsrEv_0Dot13Lg/viewform?vc=0&c=0&w=1&flr=0&fbclid=IwAR2ywcXN8yGyrX7Cw8t8wHJRTPboi4M6wVztr.

9) Paredes proviene dal collettivo Mujeres Creando, nato negli anni '90, che riunisce femministe indigene e non, noto a livello continentale per i suoi graffiti provocatori e per la rivendicazione del lesbismo. Tra le sue integrantii, oltre a Paredes, c'è María Galindo. Il gruppo ha subito una rottura con la partenza di Paredes, che avrebbe creato l'Asamblea Feminista. "Eva non uscirà dalla costola di Evo", ha scritto in un'occasione María Galindo, che sarebbe stata molto critica nei confronti del governo di Evo Morales. Insieme a Sonia Sánchez, nota leader argentina dell'AMMAR, ha pubblicato "Ninguna mujer nace paraputa (2007). Da parte sua, Julieta Paredes ha partecipato all'elaborazione del Plan de Mujeres para el Vivir Bien, nel 2008, ribattezzato dal governo Morales come Piano per le pari opportunità.


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07 dicembre 2022 (pubblicato qui il 11 dicembre 2022)