

"Non esiste un cammino per la pace,
la pace è il cammino."
Gandhi
L’umanità è a un bivio. Se continuiamo sulla stessa strada, nel migliore dei casi, solo una parte dei suoi membri potrà sopravvivere al collasso ecologico. Accettare questo destino è per noi inaccettabile. E' assolutamente necessaria una virata. Abbiamo bisogno di transizioni che permettano contemporaneamente di alleviare il più possibile gli impatti di tale collasso, mentre costruiamo altre forme di vita limitate ai cicli ecologici in chiave di giustizia sociale e di democrazia radicale.
Per raggiungere questo obiettivo, ipotizziamo la costruzione di alternative per sfuggire all’attuale civiltà delle merci e dello scarto, come fece Picasso, quando dipinse le sue grandi opere: l’artista di Malaga sovrapponeva prospettive diverse della stessa immagine fino a creare un dipinto in cui il bello e l’astratto erano magistralmente uniti. Anche se ci manca il suo genio, possiamo almeno usare il suo metodo per proporre molteplici alternative – sovrapposte, temporanee e successive – all’assurdità creata dalla civiltà del capitale e dal suo Senofonte, le “scienze economiche”.
In pratica, ciò significa che una volta entrati in vigore i diritti della natura, non esiste più alcun diritto che consenta lo sfruttamento spietato della Madre Terra e ancor meno la sua distruzione, ma solo un diritto alla convivenza ecologicamente sostenibile. Le leggi e le azioni umane, quindi, devono essere armonizzate e coerenti con le leggi della natura. La loro validità risponde alle condizioni materiali che ne consentono la cristallizzazione e non ad un mero riconoscimento formale in campo giuridico. E la sua proiezione, quindi, deve superare approcci che concepiscono i diritti come compartimenti stagni, poiché il suo impatto deve essere multiplo, diversificato e transdisciplinare.
Il compito sembra semplice, ma è complesso. Come abbiamo già detto, invece di mantenere il divorzio tra natura e umanità, dobbiamo favorire il loro rincontro, qualcosa come riannodare il nodo gordiano spezzato dalla forza di una concezione predatoria e intollerabile della vita. Ciò significa che si tratta di superare la divisione tra la natura e le culture. Combinando entrambe, anche la politica assume una rinnovata attualità.
E questo riconoscimento ci porta a constatare come gli esseri umani, organizzati attorno all’accumulazione del capitale, stiano conducendo molteplici guerre contro la Terra. Si tratta di superare tutte queste guerre, siano esse di bassa, media o addirittura alta intensità. Guerre che, gradualmente o in maniera violenta, causano impatti profondi e irreversibili sulla natura. Si tratta di azioni belliche derivate da relazioni socio-ambientali che emanano da strutture asimmetriche, oppressive ed estrattive. La perdita di biodiversità è una costante. La frammentazione e il deterioramento di giungle, foreste, fiumi, 'páramos', zone umide, boschi di mangrovie, saline e altri ecosistemi sono all’ordine del giorno. L’impronta ecologica della specie umana – distribuita in modo non uniforme – supera la capacità biologica della Terra. E la povertà è anche il risultato di quelle guerre suicide scatenate dall’avidità.
Per questo motivo, nella quinta sessione dell’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente, tenutasi nel 2021, il segretario generale, Antonio Guterres, ha affermato che
"per fare pace con la natura è necessario comprendere che ci troviamo di fronte a una tripla crisi che intreccia cambiamento climatico, inquinamento e perdita di biodiversità: è una guerra suicida contro la natura, poiché senza di essa l’umanità non potrebbe esistere sul pianeta".
Per promuovere questa pace auspicata da Guterres, dobbiamo cominciare col comprendere che “la modalità capitalista vive soffocando la vita e il mondo della vita, e che questo processo è stato portato a un punto tale che la riproduzione del capitale può avvenire solo nella misura in cui distrugge gli esseri umani e la natura”, secondo le parole del già citato filosofo Bolívar Echeverría.
Costruire la pace implica quindi il disporre di piani strategici d'azione tenendo sotto tiro questo dispositivo di morte, per poter identificare con chiarezza tutte le guerre capitaliste nei loro molteplici fronti e forme. Abbiamo come asse della nostra civiltà un sistema economico che sovrasfrutta e contamina sistematicamente le nostre basi di esistenza. Il produttivismo e il consumismo bombardano senza pietà la Madre Terra. L’estrattivismo rappresenta invasioni di morte su più territori. A ciò si aggiungono le guerre stesse e i genocidi che devastano non solo gli esseri umani, ma la natura.
A queste sfolate di guerra aperta bisogna aggiungere quelle di guerra coperta. Ci riferiamo al modo di percepire, interpretare e vivere la natura, che consiste nel considerarci al di fuori di essa per dominarla. Si tratta di un impulso bellico immerso nella violenza epistemica e ontologica che finisce per favorire il cambiamento climatico, l’inquinamento e la perdita di biodiversità, sempre in nome del “progresso” e dello “sviluppo”. E tutto con una perversa riverenza nei confronti delle potenzialità della scienza e della tecnologia, che in molte occasioni sono anche armi di distruzione.
Queste visioni portano al mantenimento di un universo culturale che, in sostanza, ci impone l’idea che esiste un solo modo di stare al mondo. Negando il pluriverso, le diversità biologiche, così come quelle culturali, vengono rese invisibili, disprezzate, violate o addirittura eliminate. Da lì nasce la standardizzazione del concetto di “natura” e con ciò si chiude la porta ad altre visioni, molte delle quali portatrici di potenti elementi trasformativi. Ecco perché forse è necessario parlare di più della Terra in chiave cosmica.
In una prospettiva di pace con la natura – o meglio ancora di pace con la Terra –, dobbiamo accettare e rispettare la diversità in tutti gli ambiti della vita, cioè la pluralità dei modi di stare con la natura e di essere natura, posto che noi umani siamo natura. Questa accettazione ci apre le porte per comprendere i vari modi di considerarla come Pacha Mama, Madre Terra, Ubuntu o molte altre visioni provenienti dalla 'indigenità' o anche da visioni tipiche della modernità ma che, in sostanza, vogliono superarla. Questi approcci non chiudono gli orizzonti a visioni parziali ma, al contrario, potenziano altre visioni del mondo.
Detto questo, la pace con la Terra non implica soltanto il silenzio delle armi. Esige di fermare tutti quei processi che generano danni irreversibili all’ambiente, danni che colpiscono le comunità locali e l’umanità, configurando crimini di ecocidio. Questo compito richiede la costruzione di mondi basati su reciprocità, relazionalità, complementarità, corrispondenza, condivisione, solidarietà...
Nello stesso tempo in cui si fermano le azioni di distruzione, occorre incoraggiare quelle di costruzione di altre forme di vita sociale ed ecologicamente sostenibili. Visioni, esperienze e pratiche come quelle della buona convivenza, senza idealizzarle fino a ridurle a modelli inutili o renderle essenziali disconoscendo le sue limitazioni, rappresentano opportunità per promuovere cambiamenti profondi.
Fare pace con la Terra significa anche riconoscere l'ambiente e la rete di relazioni socioculturali impegnate in essa. E in questo contesto, i diritti della natura, camminando di pari passo con i diritti umani, ci forniscono gli indizi per affrontare il collasso ecosociale e costruire tutte le alternative che garantiscano una vita dignitosa agli esseri umani e non umani. Vale a dire, questi diritti servono a riparare e ripristinare, così come a prevenire, fornendo allo stesso tempo le basi per costruire, partendo dalla giustizia globale esistenziale.
Sicuramente è giunto il momento di comprendere che la natura è la condizione fondamentale della nostra esistenza e, quindi, è anche la base dei diritti collettivi e individuali. Proprio come la libertà individuale può essere esercitata solo nel quadro dei diritti degli altri esseri umani, la libertà individuale e collettiva può essere esercitata solo nel quadro dei diritti della natura. Il giurista tedesco Klaus Bosselmann conclude in maniera categorica: “Senza i diritti della natura, la libertà è un’illusione”.
È altrettanto urgente smantellare le strutture patriarcali e coloniali che causano e riproducono molteplici violenze. In tutto ciò ci saranno progressi e battute d’arresto. Ma non possiamo mai perdere la speranza, che non può essere intesa semplicemente come la convinzione che qualcosa andrà inevitabilmente bene. Intendiamo la speranza come la certezza che ciò che facciamo ha un significato, indipendentemente dal risultato.
Se noi esseri umani non ristabiliamo la pace con la Terra, non ci sarà alcuna possibilità di pace per noi sulla Terra, che si ribella alla distruzione che stiamo causando. Richiediamo, quindi, una riunione armoniosa e amorevole con la natura attraverso azioni come quelle che possono essere messe in atto cristallizzando nella pratica i diritti della natura.
(8. Fine)

-> Economista ecuadoriano e giurista ambientalista argentino, coautori del libro "La Naturaleza sì tiene derechos. Aunque algunos no lo crean". Giudici del Tribunal Internacional de los Derechos de la Naturaleza. Membri del Pacto Ecosocial, Intercultural del Sur.
* Traduzione Giorgio Tinelli per Ecor.Network
Tratto da:
La naturaleza sí tiene derechos. Aunque algunos no lo crean
Alberto Acosta, Enrique Viale
Siglo Veintiuno Editores, Argentina, 09/2024 - 208 pp.
