Crisi ecologica e giustizia. Racconti di lotte e mobilitazioni dai margini
a cura di Sara Lorenzini, Elisabetta Reyneri, Matteo Spini
Casa della Cultura, 2023 - 42 pp.
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Una pubblicazione che focalizza la grande questione epocale della “giustizia ambientale” e scava sulle difficoltà ma anche sulle possibilità di una “transizione ambientale giusta”.
Raccoglie preziose testimonianze da buona parte del mondo, dalla Giordania al Marocco, dal Ghana all’Ecuador: racconti di lotte diffuse, di reti di mobilitazione dal basso, di tracce di un’altra narrazione culturale, ambientalista e anche ecofemminista. Esse aprono squarci su realtà troppo poco conosciute, su movimenti e su culture che si stanno formando: spingono a riflessioni profonde, a ricostruire la scala delle priorità e a ridefinire la stessa cultura politica.
Emergono chiaramente la connessione della crisi ambientale con la più ampia crisi ecologica, i limiti drammatici delle politiche riparatorie “calate dall’alto”, l’urgenza di un nuovo protagonismo dei popoli e dei cittadini.
La giustizia ambientale potrà essere costruita solo con la partecipazione dal basso.
INDICE
• INTRODUZIONE
Sara Lorenzini, Elisabetta Reyneri, Matteo Spini
PARTE I
• IN DIFESA DELLA VITA - LA LOTTA DELLA UDAPT NELL’AMAZZONIA ECUADORIANA
Intervista a Ivonne Marjori Macías Guerra e Patricio Gonzalo Saravia Vega
Sara Lorenzini
• LITIO E TRANSIZIONE ECOLOGICA. LA POSTA IN GIOCO IN AMERICA DEL SUD Intervista a Ernesto Picco
Matteo Spini
• UNA TRANSIZIONE INGIUSTA. ENERGIA, COLONIALISMO ED ESTRATTIVISMO NEL SAHARA OCCIDENTALE OCCUPATO
Joanna Allan, Hamza Lakhal, Mahmoud Lemaadel
• GIORDANIA, PALESTINA E ISRAELE CONTRO L’INGIUSTIZIA CLIMATICA
Nadra Mousa
• I PICCOLI AGRICOLTORI E LE PICCOLE AGRICOLTRICI DEL GHANA CHIEDONO GIUSTIZIA CLIMATICA E SOLIDARIETÀ
Evelyn Addor
• ULTIMA GENERAZIONE: LA DISOBBEDIENZA CIVILE PER SALVARCI DAL COLLASSO CLIMATICO
Simone Curtino
• GIUSTIZIA CLIMATICA DENTRO E FUORI I TRIBUNALI Il contenzioso legale come nuova frontiera della battaglia per il clima
Marica Di Pierri
• #INSORGIAMO L’ambientalismo operaio del Collettivo Di Fabbrica
Lavoratori GKN Firenze
PARTE II
• COME SI CRIMINALIZZA UN MOVIMENTO
Xenia Chiaramonte
• LA GIUSTIZIA MEDIOAMBIENTALE E LE DONNE AFRODISCENDENTI IN AMERICA LATINA E CARAIBI
Patrick Mercedes Mercedes
• DECOLONIZZAZIONE: un processo incompiuto che deve informare le scelte tecnologiche ora in atto tramite l’applicazione del consenso previo libero e informato.
Irene Delfanti
• “LOTTA AMATA” E PRATICABILITA’ DELLA VITA: I TERRITORI DELLE DONNE
Antonia De Vita e Alice Dal Gobbo in dialogo
Introduzione
“Dove c’è
oppressione e
repressione, lì
puoi trovare le
voci più forti della
resistenza”
Mitzi Jonelle Tan
La maggioranza schiacciante degli studi scientifici segnala che la crisi climatica innescata dall’utilizzo smisurato dei combustibili fossili si sta convertendo in una crisi dei diritti umani e in una minaccia esistenziale per migliaia di specie, fra cui lo stesso homo sapiens. I diritti alla vita, alla famiglia, all’autodeterminazione, alla salute, a un’abitazione, all’acqua, a un ambiente sano e salubre, all’educazione, al cibo e alla sicurezza saranno messi sempre più in discussione a meno di un radicale cambio di rotta.
Siamo tutt3 nella stessa tempesta ma su barche diverse. Questo ci porta al concetto di giustizia climatica. Se da una parte i cambiamenti climatici non hanno limiti spaziali e temporali, il loro impatto grava in maniera sproporzionata sulle categorie più vulnerabili: bambini, anziani, donne, neri, comunità indigene, persone in stato di povertà, con disabilità e provenienti dal Sud globale.1 Da un lato, queste persone hanno contribuito in modo marginale all’emissione di gas serra, dall’altro subiscono nei propri territori, sui propri corpi e sotto il profilo psicologico le conseguenze secolari della colonizzazione, del capitalismo e del patriarcato. D’altro canto, le classi più benestanti e provenienti dal Nord globale non solo consumano, e di conseguenza producono, molte più emissioni, ma hanno anche maggiore capacità di acquisire sicurezza e libertà dai rischi climatici, ovvero di adattarsi e spostarsi… Per fare un esempio, fra il 1990 e il 2015, il 10% più ricco della popolazione mondiale ha emesso il 52% delle emissioni totali, mentre il 50% più povero vi ha contribuito solo per il 7% (Oxfam, 2020). In base al concetto di intersezionalità (Crenshaw, 1989), gli assi di privilegio e oppressione si sovrappongono e interagiscono creando molteplici gerarchie.
La crisi climatica è parte di una più ampia crisi ecologica che comprende il sovrasfruttamento di risorse naturali, l’inquinamento massiccio di suolo, terra e aria, la deforestazione, l’acidificazione degli oceani, la crisi globale dei rifiuti e la perdita di biodiversità. Anche le epidemie e pandemie che stanno travolgendo i nostri sistemi sanitari sono strettamente legate a cause antropiche quali il surriscaldamento globale, la deforestazione, gli allevamenti intensivi, il traffico di animali selvatici e i wet markets, cioè luoghi dove si fa compravendita di animali vivi o macellati sull’istante. Le condizioni ambientali hanno contribuito, direttamente o indirettamente, al
sorgere e alla caduta delle civiltà (Diamond, 2005). All’interno del discorso pubblico si è ormai affermato il concetto di transizione ecologica “giusta” – just transition – come via d’uscita dalle molteplici crisi ecologiche del nostro pianeta. Il Trattato di Parigi del 2015 aveva creato enormi aspettative sulla possibilità di avviare o accelerare, dipendendo dal luogo e dalla definizione, tale transizione. Le aspettative sono state in larga parte deluse. Appare ormai chiaro che l’obiettivo di contenere l’aumento medio della temperatura terrestre sotto i +1,5 °C, il più ambizioso degli obiettivi di Parigi, è sempre più difficile. La concentrazione di gas serra nell’atmosfera non sembra arrestarsi e quindi anche l’aumento della temperatura globale, causando un aumento della frequenza e dell’intensità dei disastri naturali. In questo scenario è piuttosto evidente che le lobby e l’influenza politica delle aziende produttrici di combustibili fossili siano il principale ostacolo alla transizione ecologica, unito al timore di perdere consensi elettorali e a una generale sottovalutazione del problema che ha profonde e complesse ragioni psicologiche.
La transizione ecologica così com’è concepita dall’élite politico-economica è inoltre estremamente problematica. L’idea è quella di una trasformazione verso un’economia decarbonizzata e rinnovabile ma calata dall’alto, senza un reale coinvolgimento né un vero processo partecipativo, e anzi gestita in maniera tecnocratica e con un ruolo fondamentale giocato dal mercato, comprese le aziende del fossile. Non a caso, queste ultime sono da anni la delegazione più consistente alle COP, le conferenze climatiche globali. Inoltre, questo genere di transizione esclude proposte più radicali quali la tassazione delle industrie più inquinanti e dei grandi patrimoni, la ridistribuzione nazionale e globale delle ricchezze e lo stop alle grandi opere dannose.
La transizione da un capitalismo fossile a un capitalismo/estrattivismo “verde” non mette in discussione l’ideologia della crescita e quindi l’enorme e devastante estrazione di risorse che serve ad alimentarla – quali le terre rare e il litio, ignora il diritto all’autodeterminazione e incrementa la vulnerabilità eco-sociale dei territori e delle comunità locali. Le proteste tra il 2021 e gli inizi del 2022 contro l’enorme progetto di Rio Tinto di una miniera di litio in Serbia sono un chiaro segno di questa problematica. Simili lotte vengono portate avanti in Bolivia, Argentina e Cile. Allo stesso tempo si espande il green grabbing, la pratica di acquisizione di terre nel Sud globale con metodi coercitivi per produrre biocarburanti o compensare le emissioni tramite la riforestazione. Nel Sahara
Occidentale, l’occupazione coloniale marocchina sfrutta la produzione di energie rinnovabili per l’esportazione e come arma di soft power, senza soddisfare i bisogni locali. Nel complesso, questo capitalismo “verde” e neocoloniale riproduce la subordinazione delle periferie del Sud globale ai centri del capitalismo del Nord globale, al quale la Cina è sempre più integrata.
Tale transizione può essere vista come una “rivoluzione passiva”, usando un termine di Antonio Gramsci, nel senso di trasformazione calata dall’alto che non mette in discussione lo status quo, ovvero l’attuale sistema capitalista, colonialista e patriarcale, fondato su uno stile di vita imperiale (Wissen& Brand, 2021) e caratterizzato da enormi livelli di consumo, sfruttamento di persone e natura ed esternalizzazione spaziale e temporale dei costi e dei danni.
Con l’appoggio dei governi, le lobby del fossile hanno anche approfittato dell’invasione russa dell’Ucraina per aumentare la produzione di combustibili fossili estremamente inquinanti come il carbone, nonché per sbloccare nuovi colossali progetti di estrazione, assolutamente non necessari e pericolosissimi per il futuro del pianeta. Se anche solo una parte di questi nuovi giganteschi progetti denunciati dal Guardian verranno portati avanti, anche il secondo obiettivo di Parigi, quello di limitare l’aumento ai +2 °C, rischia di essere fatto a pezzi. Come ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres: “Spesso si descrivono gli attivisti per il clima come degli estremisti pericolosi, ma i veri estremisti pericolosi sono i paesi che aumentano l’estrazione di combustibili fossili”.
L’arena del conflitto sociale, nel frattempo, sta diventando sempre più complessa. La lotta dei popoli contro le multinazionali del fossile e l’inadempienza dei governi rimane assolutamente centrale, come dimostrato dalle mobilitazioni di Fridays for Future, Extinction Rebellion, Ultima Generazione, Sunrise Movement, i popoli indigeni, le comunità e i contadini che difendono le loro terre dalle multinazionali estrattiviste. Lo scenario attuale vede una diversificazione ideologica, di strategie, tattiche e metodi organizzativi, ma quello che accomuna i movimenti per la giustizia climatica e ambientale sono la politicizzazione della crisi e la messa in discussione dello status quo e del sistema capitalista, colonizzatore e patriarcale da cui questo emerge, che sacrifica la vita dei più indigenti per
tutelare e aumentare il profitto di pochi.
La lotta per la giustizia climatica e ambientale avviene in un vero e proprio campo di battaglia in cui il dissenso è sistematicamente criminalizzato. Secondo la ONG Global Witness, nel 2021 almeno 200 attivisti ambientali sono stati uccisi, in larga parte concentrati in America Latina, con Messico, Colombia e Brasile in cima a questa triste classifica.
È proprio da questi corpi e dai territori saccheggiati e violentati che arrivano le alternative e l’invito a ripensare discorsi e pratiche a partire da concetti chiave quali intersezionalità, ridistribuzione, riparazione, partecipazione, post-sviluppo, salute, giustizia, lavoro e cura. Per questo, di fronte a uno scenario in cui il dibattito pubblico sulla crisi climatica e la transizione ecologica viene egemonizzato e cooptato dal Nord globale, crediamo sia fondamentale amplificare la voce o, come si dice, “passare il microfono” a chi vive sulla propria pelle il degrado ambientale e le varie forme di ingiustizia che ne derivano, si organizza per contrastarne cause ed effetti e a volte, per questo, subisce una forte repressione.
La crisi climatica e ambientale e la tanto auspicata transizione ecologica ci vengono presentate in termini conflittuali come un trade-off tra salute e lavoro, ambiente e lavoro, interessi e benefici pubblici e privati, per esempio. Noi crediamo che questa narrazione debba e possa essere scardinata, organizzandosi e mobilitandosi, a partire dai singoli territori e perseguendo un’ottica internazionalista di interconnessione tra le rivendicazioni locali per decostruire il pensiero dominante e costruirne uno nuovo, basato su principi quali l’armonia, la reciprocità, l’eco-dipendenza e l’inter-dipendenza. Solo così saremo capaci di trasformare la distruttività delle nostre interconnessioni in forza creatrice, di cambiamento.
I contributi di questo volume incrociano prospettive femministe, anticapitaliste e decoloniali che provengono da attiviste e attivisti, ricercatrici e ricercatori che non occupano posizioni di prestigio e di potere. Ma è proprio dal margine, come insegna l’intellettuale femminista afroamericana bell hooks, che provengono le riflessioni, pratiche e battaglie politiche e culturali indirizzate a trasformare radicalmente il nostro modo di vivere sul pianeta.

Note:
1) Riprendendo De Sousa Santos (2011), consideriamo “Sud globale” tutte le regioni geografiche che sono state colonizzate e tutte le popolazioni che hanno subito e subiscono la violenza e la degradazione del colonialismo, del patriarcato e del capitalismo. Con “Nord globale” ci riferiamo invece ai popoli e alle comunità privilegiate. Pertanto, il “Nord globale” può essere personificato anche da persone e comunità privilegiate collocate nel “Sud geografico”, mentre il “Sud globale” può essere incarnato anche da popoli e comunità marginalizzate ubicate nel “Nord geografico”. La divisione Nord globale-Sud globale si riferisce più alle differenze nei rapporti di forza geopolitici che alle differenze culturali o di sviluppo (Lorenzini, 2022).
Riferimenti bibliografici:
- Brand, U. & Wissen, M. (2021). The Imperial Mode of Living: Everyday Life and the Ecological Crisis of Capitalism, Verso.
- Carrington, D. & Taylor, M. (2022). “Revealed: the ‘carbon bombs’ set to trigger catastrophic climate break down”, The Guardian.
- Crenshaw, K. (1989). “Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: A Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and Antiracist Politics”, University of Chicago Legal Forum.
- De Sousa Santos, B. (2011). “Introducción: Las Epistemologías del Sur. In Formas otras: saber, nombrar, narrar, hacer, iv Training Seminar del Foro de Jóvenes Investigadores en Dinámicas Interculturales” (FJIDI), Centro de Estudios y Documentación Internacionales de Barcelona (CIDOB) Editions.
- Diamond, J. (2005). Collapse: How Societies Choose to Fail or Succeed, Viking Press.
- Global Witness (2022). Decade of Defiance Ten years of reporting land and environmental activism worldwide.
- Lorenzini, S. (2022). “Rethinking Forests Governance as Global Commons: Devolution of Quasi-Property Rights to Indigenous Communities”. In Bandung Journal of Global South (9): pp. 357-382.
- Oxfam (2020). Confronting carbon inequality. Putting climate justice at the heart of the COVID-19 recovery.