Storia di un movimento antiestrattivista: il Coordinamento No Triv

di Coordinamento Nazionale No Triv

Il 25 aprile il Governo Draghi ha tramesso al Parlamento il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), lo strumento per accedere ai fondi del Next Generation EU, finalizzati, fra l’altro, a realizzare la cd transizione verde ed ecologica.
Ma quanto è realmente orientato, questo tomo da 337 pagine, verso il superamento dei combustibili fossili, che è uno dei principali obiettivi formalmente enunciati dal Green New Deal europeo?
Pubblichiamo una prima analisi in merito da parte del Coordinamento No TRIV, a cui fa seguito una autobiografia del Coordinamento stesso.
Un documento che serve a ripercorrere anche la storia recente delle politiche a sostegno degli interessi petroliferi contro i territori, e dell’opposizione che gli è stata contrapposta dai movimenti, tramite mobilitazioni, referendum, e “barricate di carta”.


PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA, PERSA UN’OPPORTUNITA’ STORICA PER INVERTIRE LA ROTTA

Il passaggio parlamentare del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) non modificherà l’impostazione del Piano, né i suoi numeri da capogiro: quale forza parlamentare oserà mettere in discussione un Piano di investimenti da 221,5 miliardi di euro?

Il tomo da 337 pagine, farcito di numeri, di tabelle e di qualche inglesismo di troppo, racchiude in sé tutto quanto non è stato realizzato negli ultimi 30 anni: dalle “sempre verdi” riforme strutturali (pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione della legislazione e promozione della concorrenza, ecc.) fino all’eliminazione delle disparità di genere e tra le generazioni, transitando per l’immancabile riequilibrio Nord-Sud. Il libro dei sogni, dunque, direbbe qualcuno.
Più realisticamente, le 337 pagine racchiudono un Piano privo di ambizione per un Paese che rischia di perdere definitivamente l’opportunità storica di ricostruirsi e reinventarsi dopo la pandemia.

Non è sufficiente citare le parole-chiave “transizione” 170 volte, “sostenibilità” 154 ed “ambiente” 101, per fare del Piano lo strumento principe della transizione “utile”, la sola in grado di consentire di centrare gli obiettivi che ci siamo dati in sede U.E. al 2030 ed al 2050. Non v’è dubbio che, come afferma il Ministro Cingolani, fare la transizione significhi spostarsi dal punto A al punto B, ma occorre essere in grado di farla alla giusta velocità e all’altezza dei bisogni ambientali e sociali scaraventati in primo piano da una crisi di sovrapproduzione. Si badi, è scritto nel Pnrr: “Il PNRR è un’occasione straordinaria per accelerare la transizione ecologica”.

Ebbene, la transizione disegnata nel PNRR è troppo lenta e segue traiettorie pasticciate e patteggiate, confacenti all’ideologia ed agli interessi dell’Oil&Gas. Se ci si sofferma su alcuni passaggi della Missione 2 (Rivoluzione verde e transizione ecologica), i numeri del Piano appaiono molto poco convincenti.


INCREMENTO DELLA QUOTA DI ENERGIA PRODOTTA DA FONTI DI ENERGIA RINNOVABILE (FER) NEL SISTEMA

Ad esempio, l'aumento di energia rinnovabile proposto di 4,2 GW non ci consente di raggiungere entro il 2030 l’obiettivo U.E. del 32% del consumo elettrico da fonti rinnovabili.
Secondo il Gruppo di ricerca ENERGIAPERLITALIA, coordinato da Vincenzo Balzani, avremmo invece bisogno di nuova potenza per 20-25 GW al 2026 e per 40-50 GW 2030, rispettivamente 5 e 10 volte di più rispetto a quanto previsto dal PNRR. Ma quanto sarebbe sostenibile una simile crescita di potenza installata? L’obiettivo U.E. del 32% è realisticamente raggiungibile soltanto in presenza di un contenimento significativo dei consumi che risulta del tutto estraneo allo spirito del PNRR tutto incentrato sull’aumento del P.I.L. e della spesa per consumi ed investimenti.

Manca inoltre una strategia di uscita dalle fonti fossili al 2050, di fatto nascosta nello sgabuzzino di ambigui strumenti normativi precedenti e della roulette russa del Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PiTESAI), che Cingolani giura di chiudere entro il prossimo 30 Settembre.
 

POTENZIAMENTO E DIGITALIZZAZIONE DELLE INFRASTRUTTURE DI RETE

Prendiamo il caso dei pompaggi nelle dighe, di cui il nostro Paese è ricco: nel PNRR non è destinato loro neppure 1 euro. Sono stati completamente ignorati: nessun cenno alla loro funzione di stoccaggio dell’energia e di riempimento dei “buchi” che si vengono a creare nella rete a causa dell’intermittenza delle rinnovabili.

E’ una scelta miope e grave che può avere una motivazione soltanto: favorire le centrali turbogas ed i sussidi di cui godono (capacity market).

Eppure, in un’audizione del 12 Marzo di due ani fa alla Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati sul PNIEC, TERNA fu abbastanza chiara: al 2030 avremo necessità di ulteriori 6 GW di pompaggio al Centro, al Sud Italia e nelle Isole, per la gestione in sicurezza del sistema elettrico, sempre più caratterizzato da Fonti di Energia Rinnovabile.

Il Governo ha preferito andare in un’altra direzione, quella di sempre, nel solco della peggiore delle continuità.

IDROGENO

Di contro, un’eccessiva enfasi è posta sull’idrogeno, a cui sono destinati 3,19 miliardi di euro - molto di più di 1,78 miliardi di euro proposti per finanziare gli interventi per le aree del terremoto del 2009 e del 2016 - che ben si sposa con l'approccio CCS (Cattura del Carbonio e Stoccaggio), molto gradito a Eni e Snam.

L’idrogeno è il “cavallo di Troia” piazzato dai soliti noti e dal Governo all’interno di un Piano che dovrebbe dettare l’agenda della “transizione verde”.

La finestra temporale per giungere all’impiego dell’idrogeno verde nei settori petrolifero, chimico, siderurgico, ecc., è talmente ampia da consentire la transizione attraverso la produzione di forme tutt’altro che rinnovabili come l’idrogeno grigio e poi quello blu (*) nelle numerose valli dell’idrogeno che sorgeranno in tutta Italia: Porto Marghera, Ravenna, Gela, Melfi, ecc.

Si tratta di un artificio costoso ed insostenibile, per prolungare il ciclo di vita dei giacimenti di gas “tricolori”, che così contribuiranno alla produzione di idrogeno marrone e blu e che, una volta esauriti, verranno impiegati per immagazzinare CO2, malgrado “…. l'indimostrata applicabilità del metodo alla scala necessaria e la sua efficacia reale, con il rischio di gravi ripercussioni sul territorio” (fonte: Balzani et al.).

EMISSIONI GAS CLIMA-ALTERANTI

La parola “clima” è citata ben 77 volte, quasi a voler ricordare al lettore che il contrasto alla crisi climatica in atto ha rappresentato dall’inizio la preoccupazione centrale nella strutturazione del Piano: così non è.

In base agli obiettivi che ci siamo dati in sede U.E., entro il 2030 dovremo tagliare le emissioni del 55% rispetto a quelle registrate nel 1990. Per far questo è necessario ridurre le emissioni di almeno 160 milioni di tonnellate di CO2 eq rispetto alle attuali 390 nette (fonte: ENERGIAPERLITALIA).

Gli Stati membri devono illustrare come i loro Piani contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi climatici … devono anche specificare l'impatto delle riforme e degli investimenti sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra … ”, così recita il PNRR a pag. 17.

Di questo però nel Piano non c’è traccia.
Il Piano si limita laconicamente ad affermare, a pagina 28, che “Il Piano Nazionale integrato Energia e Clima (PNIEC) e la Strategia di Lungo Termine per la Riduzione delle Emissioni dei Gas a Effetto Serra, entrambi in fase di aggiornamento per riflettere il nuovo livello di ambizione definito in ambito europeo, forniranno l’inquadramento strategico per l’evoluzione del sistema”.

Quindi, l’appuntamento è rinviato alla data di approvazione del nuovo PNIEC e della Strategia di Lungo Termine per la Riduzione delle Emissioni dei Gas a Effetto Serra. Draghi in questo si è dimostrato degno erede di Gentiloni e Calenda, che vararono la Strategia Elettica Nazionale (SEN) 2017 senza attendere la definizione del Piano Nazionale integrato Energia e Clima. I soli dati quantitativi riguardanti il taglio delle emissioni di cui si dispone scorrendo il Pnrr sono quelli indicati in tabella:

Ed il resto delle riduzioni attese per rispettare l’obiettivo U.E. al 2030 che fine ha fatto? Il PNRR afferma che “Gli impatti ambientali indiretti sono stati valutati e la loro entità minimizzata in linea col principio del “non arrecare danni significativi” all’ambiente (“do no significant harm” – DNSH) che ispira il Next Generation E.U.”.  La domanda sorge dunque spontanea: ammesso che sia stata fatta in modo compiuto, è possibile conoscere gli esiti della valutazione degli impatti ambientali indiretti delle singole misure del PNRR?

SUSSIDI AMBIENTALMENTE DANNOSI

E cosa dire dei 19 miliardi di euro di Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD) erogati ogni anno ad attività inquinanti e clima-alteranti? Ne parla il Presidente del Consiglio una volta sola, a pag 7 del documento, affermando che È prevista infine una riforma fiscale, che affronti anche il tema delle imposte e dei sussidi ambientali”, senza nulla anticipare in merito a tempi e modalità. In verità ne aveva già parlato Enrico Giovannini in un’audizione alla Camera il 4 febbraio scorso, quando non ricopriva ancora la carica di Ministro: “ … attualmente destiniamo 19 miliardi di euro del bilancio dello Stato nella direzione opposta (in sussidi dannosi all’ambiente). Uno scompenso che va corretto prima possibile”.

Cingolani si sarebbe espresso abbastanza chiaramente due mesi dopo: il taglio dei SAD potrà e dovrà essere graduale. Probabilmente alle calende greche! Almeno oggi è chiaro a tutti per quale motivo al Ministero della Transizione Ecologica sia andato Cingolani e non, come logica avrebbe voluto, Giovannini.

CONCLUSIONI

Utilizzando la famosa metafora della vasca da bagno che si riempie man mano di CO2 prodotta dalle attività antropiche, dobbiamo esser consapevoli che non esistono rimedi alternativi a quello della chiusura del rubinetto per ridurre le emissioni e portarle a zero entro il 2050.
Il PNRR di Draghi non va in questa direzione; piuttosto assicura lunga vita al gas ed alle sue infrastrutture e indugia su soluzioni, costose, rischiose ed impraticabili (come lo stoccaggio di anidride carbonica), inadeguate al cospetto della gravità della sfida, rallentando e sconvolgendo tempi e modi della transizione.

Per chiudere quel rubinetto occorrono però coraggio ed ambizione, doti che né il Parlamento né l’attuale Governo possiedono.
 

Roma, 26 aprile 2021
Coordinamento Nazionale No Triv

(*) L’idrogeno “verde” viene ottenuto mediante l’elettrolisi dell’acqua in speciali celle elettrochimiche alimentate da elettricità da fonti rinnovabili. L’idrogeno “grigio” e l’idrogeno “blu” sono prodotti, invece, da fonti energetiche fossili.


Storia di un movimento antiestrattivista: il Coordinamento No Triv

di Francesco Masi, Enrico Gagliano (Coordinamento Nazionale No Triv)
 

Il Coordinamento Nazionale No Triv si formò durante una due giorni nazionale convocata il 14 e 15 Luglio 2012 a Pisticci Scalo, in Basilicata, e non rappresentò in nessuna maniera una forzatura di stampo soggettivo, né pretese di affermare una natura esogena, rispetto ai coordinamenti e alle reti locali e interregionali che si erano andate sviluppando dal basso nel corso del decennio precedente. Solo l’anno precedente si era celebrata in Italia una coinvolgente ed appassionata campagna referendaria per affermare il diritto all’acqua bene comune, finalizzata a sottrarla dalle grinfie della privatizzazione e del profitto e per riaffermare in maniera chiara ed inequivocabile il no all’opzione nucleare.

La composizione soggettiva dei movimenti, che in quella campagna referendaria dal basso seppe aggregare la presenza capillare sui territori fino a conseguire un ampio superamento del quorum richiesto, fu molto simile a quella che si diede il Coordinamento No Triv. Emblematico in tal senso l’incontro a carattere nazionale tenutosi a Roma nel Novembre 2012 tra il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e il neonato Coordinamento nazionale No Triv, in cui tutti i convenuti ribadivano non soltanto l’evidente complementarietà tra i due movimenti, ma la loro sostanziale e “naturale” integrazione. Tra i fondatori del CNNT molti sono al contempo attivisti del Forum dei Movimenti per l’Acqua, antinuclearisti, per le fonti rinnovabili pulite, per il paradigma “rifiuti zero”. E’ il flusso che lega e rilancia i movimenti nella lotta per i beni comuni, calibrata a partire dalle esigenze dei territori e che tenta di legarle con una proposta a carattere quantomeno interregionale. Il CNNT nasce non a caso nell’estate del 2012, per coniugare la spinta spontanea dal basso dei comitati di lotta contro le richieste di autorizzazione finalizzate alle attività di ricerca e di coltivazione di idrocarburi in terra e in mare con la più complessiva necessità di contrastare in tutto il Paese le nuove pesanti misure governative.

Decisivo, per la spinta al confronto e all’impulso organizzativo, il palese nesso tra crisi finanziaria internazionale e scelta normativa nazionale, volta a facilitare l’illusione di facili e veloci introiti fiscali, che prospettavano la trasformazione del Welfare State in “Estractive State”. Il famigerato art. 16 dell’ex “decreto per le Liberalizzazioni”, gli artt. 35 e 38 del “decreto sviluppo” (Dl 83,ora L 134/2012); la bozza di SEN (Strategia Energetica Nazionale); la prima bozza di revisione costituzionale del Tit. V della Costituzione; erano le leve sinergiche, tutte targate 2012, di un’accelerazione rapida verso lo stravolgimento della nostra stessa forma-Stato, improntata sull’estrattivismo (fiscale) e sull’aggravamento di forme di centralizzazione autoritaria nelle mani dell’Esecutivo dei non eletti. Il CNNT ha sollecitato e promosso dal basso una costante lotta, fatta anche di denunce sui media, contro i cavilli normativi e i furbeschi aggiramenti finalizzati a garantire ai petrolieri la realizzazione di progetti (Ombrina in Abruzzo, Vega B nel Canale di Sicilia e altre decine). Già da allora il CNNT ha condotto e continua a condurre, spesso in perfetta solitudine, una campagna contro i rischi di delegittimazione e sottrazione dei poteri concorrenti Stato/Regioni. Con le manifestazioni, i dossier, le campagne stampa, nonché la nascita di nuovi comitati territoriali e nuovi coordinamenti contro il famigerato “Sblocca Italia” è esplosa in tutto il Paese la “questione energetica”, che per lobbies e governi si limitava a una quantificazione dei proventi fiscali per una trivellazione a tappeto, con tutte le conseguenti sofferenze dei territori, già da decenni aggrediti dalle multinazionali del settore.

Dopo i disegni di legge andati a vuoto; dopo una campagna a tappeto per far deliberare contro lo Sblocca Italia i Comuni “in soggezione”, e così via, il CNNT avanza senza successo la richiesta da parte delle reti e dei movimenti di ricorrere allo strumento referendario abrogativo. Richiesta che si è arenata sulla soglia di un dibattito solo accennato, soffocato in partenza, ma sostanzialmente fermo a considerazioni di opportunità di tipo statistico1. Al netto di ogni iniziativa a carattere regionale, delle manifestazioni, delle interpellanze etc., era urgente evitare di trovarsi per oltre 30 anni ancora le trivelle nelle acque territoriali, a fronte dei dubbi delle associazioni ambientaliste nazionali storiche sulla mancanza dei tempi necessari alla raccolta delle 500 mila firme occorrenti per promuovere i referendum, al CNNT non restava altra strada che sollecitare il ricorso all’art. 75 della Costituzione, girando la richiesta alle 5 Regioni necessarie. Al termine di 3 anni di solleciti, il CNNT ha proposto il referendum abrogativo di parte dell’art. 35 L 134/2012, per due sostanziali ordini di motivi: si trattava dell’ultimo strumento che la legge consentiva di adoperare, prima che le autorizzazioni, sulla spinta dell’accelerazione impressa dalla richiesta di attribuzione del titolo concessorio unico, potessero essere rilasciate alle compagnie petrolifere, rendendo così la situazione irreversibile. La scelta dell’allora governo Renzi di far approvare a maggioranza – senza i 2/3 richiesti – le leggi di revisione costituzionale, comportava la già annunciata indizione di un referendum confermativo, da celebrarsi entro l’autunno del 2016.

Lasciare “in solitaria” la campagna dei referendum confermativi istituzionali avrebbe significato non contrapporre, di fatto, alcun serio ostacolo contro l’arrogante imposizione di provvedimenti antidemocratici. Il referendum abrogativo No Triv, anche se celebrato pochi mesi prima di quello confermativo istituzionale (dicembre 2016), avrebbe rappresentato comunque un valido contributo al rafforzamento delle ragioni della campagna in difesa della Costituzione. La campagna referendaria No Triv si è quindi inserita nella situazione politica corrente come elemento dinamico che ha aiutato a far saltare gli innumerevoli giochi politici orientati a consolidare ambiguità e contraddizioni generate con effetto domino dal disposto normativo di Sblocca Italia e revisioni costituzionali, contribuendo da un lato a generalizzare la conoscenza delle problematiche estrattive anche nelle regioni meno coinvolte, d’altro canto costringendo il progetto dell’Esecutivo a mostrare crepe e segni di implosione. In numero ben superiore al necessario, 10 Regioni hanno accettato, come richiesto dal CNNT di deliberare per il varo del referendum abrogativo dell’art. 35 della L 134/2012. Le assemblee legislative dei 20 Consigli regionali, l’ 11 Settembre 2015 a Roma, si espressero favorevolmente e all’unanimità anche per il varo di un pacchetto di altri quesiti abrogativi, incentrati sulla necessità di recupero e garanzia delle competenze regionali e implicitamente sulla richiesta di moratoria delle autorizzazioni.

Il 18 settembre 2015, a Bari, la conferenza dei 6 presidenti di Regione, suggellò politicamente la decisione delle assemblee consiliari regionali, aprendo di fatto un nuovo capitolo nella storia delle relazioni Stato-Regioni, non solo in materia ambientale ed energetica. Il combinato disposto referendario delineava con chiarezza la prospettiva di una moratoria delle attività onshore e offshore. Dopo Pisticci, Giulianova, Crotone e Roseto degli Abruzzi, il coordinamento nazionale No Triv si riunisce, per la sua IV assemblea del 9 e 10 Luglio 2016, a Viggiano, luogo simbolo dell'estrazione in terraferma in Italia e del sistematico saccheggio dei territori da parte delle multinazionali. E’ proprio in Val D'Agri, terra di malefatte di Eni e Shell, nonché della corruzione imperante intorno alla costruzione del Centro oli Tempa Rossa di Total, Mitsui, Shell, che esplosero inchieste, sequestri, arresti, fermi produttivi, che in pochi giorni condussero alle dimissioni del ministro del Mise Guidi. All'indomani del referendum del 17 Aprile e con alle porte un esiziale referendum di revisione costituzionale, il Coordinamento No Triv mantenne dritta la barra del timone, in un momento in cui il neoliberismo intensificava la pianificazione del saccheggio dei territori, tenendo le fila di problematiche che travalicano temi di carattere squisitamente ambientale e convergendo verso l'obiettivo comune della difesa della democrazia e della Costituzione.

A Viggiano si ratificò la necessità di precisare e strutturare meglio una visione d’insieme e lavorare in rete, affrontando la sfida del consolidamento, decidendo tra l’altro di costituirsi formalmente, per non trovarsi più nella situazione di non poter partecipare alle tribune referendarie, possibilità che ebbero altre associazioni alleate formalmente riconosciute, ma spesso non pienamente adeguate al compito. Ma soprattutto questo fu un passo che consentì al Coordinamento di poter agire in sede di contenzioso giuridico e costituirsi come parte civile in sede processuale. E' sufficiente ricordare, a mò di esempio, che il 12 maggio 2016 era stata presentata una diffida al MISE su 63 titoli petroliferi scaduti o non autorizzati, ma i No-Triv non si erano trovati in condizione di poter sottoscrivere, in quanto non formalmente riconosciuti.

A maggioranza l’assemblea di Viggiano decise di dotarsi di uno Statuto di servizio, sottolineando che il Coordinamento No Triv non nasceva, né voleva essere, l’ennesima associazione ambientalista di scopo, ma un luogo dinamico di elaborazione, di lotte, di ricomposizione con altri movimenti, con una prospettiva antiliberista e di necessaria trasformazione dei rapporti sociali, partendo dalla difesa degli spazi di democrazia e per la conquista di maggiore libertà collettiva ed individuale.

Il Referendum del 17 Aprile 2016 ha rappresentato per il Coordinamento una sorte di spartiacque tra un passato di lotta, focalizzato soprattutto sul contrasto alla crescita delle attività estrattive, ed un “dopo” in cui la questione energetica si salda ancor più con le istanze di democratizzazione del sistema politico, sociale ed economico del Paese.

Un’anticipazione può essere fatta coincidere con l’adesione, fin dalla sua fondazione datata 2016, del Coordinamento Nazionale No Triv al Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, la cui “radice” può essere colta nel tema “Difesa dei Beni Comuni e revisione della Costituzione”, che era stata oggetto – un paio di anni prima – dell'annuale Assemblea Nazionale del Coordinamento.

La triade “Energia, diritti e Costituzione” è stata – e lo sarà per sempre – la costante delle vertenze No Triv. Il Coordinamento si farà parte attiva nelle campagne referendarie contro la proposta di revisione costituzionale Renzi-Boschi del 2016 e contro il taglio della rappresentanza parlamentare del 2020. La necessità di costituirsi parte civile nei processi contro le compagnie Oil&Gas, di essere legittimato a ricorrere in sede amministrativa in occasione dei numerosi contenziosi e di godere del diritto di tribuna in occasione di consultazioni referendarie, spingono il Coordinamento a darsi un minimo di struttura organizzativa, uno Statuto e gli organi di rappresentanza. Pur preservando il suo carattere aperto ed inclusivo e la sua funzione di facilitazione al dialogo, condivisione e coordinamento tra i numerosi comitati locali e regionali No Triv, i fondatori dell’associazione precisano nello Statuto il carattere democratico, antifascista, antirazzista e antisessista del Coordinamento e, di riflesso, le pregiudiziali che ostano l’ingresso all’interno del Coordinamento di realtà non rispettose dei suddetti principi.

Il primo banco di prova dell’Associazione è il Referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, oltre ad essere tema portante della IV Assemblea Nazionale svoltasi a Viggiano all’indomani degli arresti dei dirigenti e delle dimissioni del Ministro del Mise Guidi: “Dal Referendum No Triv al Referendum di Ottobre” (poi spostato a dicembre 2016).

Il vento anti-renziano, cresciuto nel corso del Referendum No Triv, si trasforma presto in tempesta e travolge il Governo Renzi, pur non riuscendo a introdurre elementi di rottura tali da rimettere in discussione l’impianto della nuova Strategia Energetica Nazionale, in gran parte incentrata sul ruolo del gas come combustibile della transizione2.

Nella fase post-referendaria l’attività del Coordinamento si dispiega lungo due direttrici: quella “classica” della promozione dei contenziosi e del contrasto al rilascio di nuovi permessi di ricerca e di concessioni estrattive, e quella più squisitamente “politica”, volta a definire un sistema di alleanze con reti e movimenti impegnati nella costruzione di un modello/sistema transnazionale, alternativo a quello neo-liberista capitalistico, ispirato ai valori dello Stato di diritto, della giustizia sociale e climatica, dell’eguaglianza sostanziale e delle libertà costituzionali.

Nel maggio 2017, il Coordinamento, coerente a questa scelta di fondo, sarà tra i promotori del progetto “Il Decologo”, sosterrà la Campagna “Ero Straniero-L’Umanità che fa bene” (settembre 2017), aderirà all’Osservatorio della “Carta di Milano” e all’Associazione “Laudato Sì” (aprile 2018), darà impulso a “Sì-Amo la Terra” (ottobre 2018) e aderirà alla 9a Giornata Internazionale contro le Grandi Opere Inutili e Imposte (dicembre 2018) e alla campagna “Giudizio Universale/Facciamo Causa” (2019).

Al tema dell’unione delle lotte e del “nessuno si salva da solo” è dedicata la VI Assemblea Nazionale del Coordinamento, svoltasi a Roma nel maggio del 2018, che segna per certi versi una svolta nella storia del movimento. La vocazione e la natura anti-estrattivista del Coordinamento si esprimono in modo compiuto nella partecipazione alla costruzione di tre distinti percorsi finalizzati alla convergenza in unica piattaforma delle molteplici istanze di movimenti, associazioni e comitati. Il primo porterà a Roma, il 23 marzo 2019, migliaia di persone a unirsi alla "Marcia per il clima e contro le grandi opere inutili e le devastazioni", punto di approdo finale – ma non produttivo di sviluppi ulteriori – di una serie di mobilitazioni svoltesi in tutta Italia per un anno intero contro le grandi opere. Il secondo, nell’aprile 2020, in piena emergenza Covid-19, darà luogo all’esperimento – non riuscito in termini di ricadute sul piano operativo – noto come “Ricostruire l’Italia”. Il terzo, conosciuto come “La Società della Cura-Fuori dalla Società del Profitto”, è in via di costruzione e vede la partecipazione attiva di oltre 350 realtà organizzate.

Tornando alla mission originaria dell’Associazione, il Coordinamento ha esercitato pressioni su Regioni ed Amministrazioni Locali per l’innesco di numerosi contenziosi amministrativi e giurisdizionali. Ad esempio, a fine 2016, innanzi al Consiglio di Stato, per la riforma della sentenza del TAR Lazio che aveva respinto il ricorso della Regione Puglia, della Provincia di Teramo e di alcuni Comuni abruzzesi contro il Decreto di V.I.A., emanato dal Ministero dell'Ambiente e favorevole alla ricerca di idrocarburi nel Mare Adriatico, all’interno di un’area vasta circa 31.000 kmq. E poi ancora, nel giugno del 2017, innanzi al TAR Lazio contro il disciplinare-tipo che non prevedeva un adeguato coinvolgimento delle Regioni nei procedimenti di autorizzazione a cercare ed estrarre idrocarburi su terra ferma, etc. Inoltre, il CNNT ha avuto e colto l’opportunità di costituirsi parte civile nel corso dei processi Petrolgate 2 e Petrolgate 3, che vedono rispondere Eni e alcuni suoi manager di presunti gravissimi reati ambientali.

Con il 2018, il CNNT si trova a confrontarsi con nuove sfide: innanzitutto il passaggio dal Governo Gentiloni, che in dirittura d’arrivo, avvalendosi del potere sostitutivo, bypassa le Regioni andando ad autorizzare l’adeguamento logistico del Porto di Taranto, destinatario del petrolio proveniente da Tempa Rossa e la centrale di compressione di Sulmona, al governo giallo-verde Conte 1.

Le dichiarazioni del futuro Ministro Di Maio, di ritorno da un tour in Libia, nel febbraio 2018,3 avrebbero inaugurato una delle pagine più buie della storia della Repubblica. A cinque mesi dall’insediamento del Governo Conte-1, il CNNT lancia una campagna a favore del “Pacchetto Volontà”, contenente una serie di misure per la decarbonizzazione del sistema Paese, tra cui il blocco definitivo di nuove attività estrattive in mare e in terra ferma, la cui attualità ed indifferibilità escono rafforzate anche alla luce di quanto accertato dall’IPCC in merito alle cause del Climate Change e da autorevoli gruppi di studio in merito al contributo dato dalle emissioni climalteranti alla diffusione del Covid-19.

Il varo della Manovra 2019 e la conversione in legge del Decreto Semplificazioni, vedono riaccendersi lo scontro mediatico e politico tra il Coordinamento No Triv e il Governo/Ministero dello Sviluppo Economico. Oggetto del contendere è il vecchio Piano delle Aree, ora denominato “Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee” (PiTESAI), una sorta di piano regolatore che dovrebbe stabilire quali aree siano idonee e quali no per lo sviluppo di nuove attività estrattive. Una norma – piuttosto lasca e permissiva – sul Piano vede la luce dopo ripetuti tentativi di sabotaggio e di svuotamento. Di quel Piano, dalla cui elaborazione sono state estromesse di fatto le comunità locali, ancor oggi non si scorge la luce, tant’è che nella legge di conversione del Decreto Milleproroghe 2020 si attende che sposti al 13 agosto il termine di adozione di uno strumento che, come da recenti dichiarazioni del Ministro in carica, non intaccherà gli attuali livelli di produzione di idrocarburi “nazionali” e che, sempre stando alla posizione espressa dal MISE, potrebbe non interessare la Sicilia, dove la Regione continua ad autorizzare, in barba alla sospensione stabilita dalla legge nazionale, nuove attività di ricerca in terra ferma.

Anche in questo caso, il CNNT ha dato impulso, con le associazioni siciliane, alla promozione di un ricorso innanzi al TAR Catania da parte di alcuni Comuni contro la Regione Siciliana e di una diffida ad adempiere al MISE che avrebbe dovuto sospendere l’efficacia dei permessi. Il TAR Catania ha poi respinto il ricorso dei Comuni siciliani, sottolineando però al contempo la natura provvedimentale della norma sulle sospensioni dei procedimenti amministrativi contenuta nel Milleproroghe.

Il 2019 è anche l’anno di un pessimo Decreto Clima, che nulla concede sul fronte dell’abolizione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi, tanto sbandierata dal Governo Conte 2, e del Piano Nazionale Integrato Energia Clima, che fa del gas il carburante principe per governare la transizione energetica verso un sistema totalmente decarbonizzato. Il CNNT partecipa, assieme ad altre 50 associazioni, alle osservazioni al Piano, non prese affatto in considerazione dall’Esecutivo, ma rispetto alle quali si preannunciano azioni legali a tutela dell’ambiente e del clima.

Nel 2020, prima che prendesse piede la pandemia e che venisse proclamato lo stato di emergenza sanitaria, il Coordinamento lancia due campagne: la prima, rivolta agli oltre 8.000 Comuni d’Italia, riguarda la difesa del diritto dei territori a prendere parte alla scrittura del PiTESAI; la seconda riguarda la proclamazione dello stato di emergenza ambientale e climatica da parte di tutti i Comuni d’Italia. Questa seconda viene condivisa all’interno della piattaforma “Emergenza Climatica – Dichiariamo l’Emergenza Climatica”.

Il 22 dicembre 2020, in vista del Consiglio dei Ministri che si sarebbe tenuto il giorno successivo, il Ministro Patuanelli preannuncia un emendamento al Milleproroghe – poi ritirato – che prevede il superamento del PiTESAI e il blocco di nuove attività di ricerca ed estrazione in mare e su terra ferma, salvo poi smentire se stesso 4 nel rispondere ad un'interrogazione presentata alla Camera dall'On Galeazzo Bignami (FdI). Il CNNT ne ha chiesto le dimissioni immediate per manifesta incapacità e mancanza di volontà politica rispetto all’adozione del PiTESAI. 
E' del gennaio 2021 una lettera-appello rivolta alle amministrazioni locali, affinché chiedano ai parlamentari di “interpellare” il Ministro in merito alla mancata adozione dello strumento e alle relative cause. Infine dopo aver prodotto nel 2017 osservazioni e commenti ai documenti “Rapporto Ambientale” e “Programma Nazionale” per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, inviati al Ministero dell’Ambiente nella fase di consultazione inerente la VAS e redatti col contributo del perito nucleare Giorgio Ferrari, il CNNT ha aderito al Coordinamento Antinucleare contro l’Energia padrona per contribuire alla tutela dei territori e della trasparenza nelle 7 regioni interessate dalla Cnapi.


NOTE:

1 Si veda a tal proposito l’esito delle assemblee Contro lo Sblocca Italia a Napoli il 7 Dicembre 2014; a Montesano sulla Marcellana il 18 Gennaio 2015; il report dell’assemblea nazionale “Nosbloccaitalia” a Pescara del 24 Maggio 2015.
2 Strategia Energetica Nazionale abbozzata sul finire del 2016 e approvata nella sua versione definitiva con Gentiloni e Calenda, rispettivamente Presidente del Consiglio e Ministro dello Sviluppo Economico.
3 "Ci faremo promotori di una conferenza di pace sulla Libia a Roma, che metta intorno al tavolo tutti gli attori e veda protagonista l'Italia, tenendo presente che l'Eni è lì dal 1959 e la Libia ha un interesse geostrategico per noi rilevante"; e ancora “"finché la crisi libica non sarà risolta l'Ue non può pensare che l'Italia sia un campo profughi"
4 "Il PiTESAI si farà e non è in contraddizione con la salvaguardia della produzione nazionale di gas ..."

 

27 aprile 2021 (pubblicato qui il 30 aprile 2021)