Le vene aperte dell’Ecuador. Intrecci di resistenze all’estrattivismo

di Alessia Marucci

Nel primo pomeriggio del 28 di gennaio scorso si respirava aria di speranza in Ecuador.

La Corte Costituzionale accettava la richiesta di un referendum popolare nel Distretto Metropolitano di Quito su un tema importante come la vita. Il quesito della consultazione sarà se proibire o meno lo sfruttamento minerario nell’Area del Chocò Andino, Riserva delle Biosfera e uno dei 40 hotspots biodiversi del pianeta. Sono 12 le concessioni minerarie (più di 17.000 ettari) che minacciano l’integrità degli ecosistemi di queste foreste e altre 6 concessioni sono in attesa di approvazione.

Nei prossimi sei mesi i promotori della consulta dovranno raccogliere 200.000 firme da presentare all’organo che convocherà ufficialmente la consulta. Sono anni che le comunità del Chocò Andino resistono contro l’ingresso delle imprese minerarie e che hanno messo in piedi un’articolata rete di progetti di sviluppo armonici e rispettosi degli ecosistemi.


Cruda realtà

A poche ore dalla buona notizia, cominciavano a circolare in rete video terrificanti: un enorme getto di petrolio fuoriusciva a tutta pressione da un oleodotto, coprendo di greggio la folta e lussureggiante vegetazione, il manto stradale, dirigendosi inesorabilmente verso le rive di un fiume.

Alcune voci in sottofondo alle immagini dicevano si trattasse del fiume Coca. Altre identificano l’oleodotto accidentato, l’OCP (“Oleodotto di Crudo Pesante”) che trasporta il greggio dall’Amazzonia a un terminal marittimo nella regione Esmeraldas. Dopo poche ore, l’impresa privata che gestisce l’infrastruttura confermava l’incidente. L’ennesimo. Dal 2015 al 2021 si sono registrati più di 900 versamenti di crudo e quest’ultimo ammontava a 6.300 barili che hanno contaminato più di 20.000 metri quadrati del Parque Nacional Cayambe-Coca (una delle 66 aree protette del Ecuador) e le acque del fiume Coca, affluente del Napo.

Il 7 aprile del 2020 un incidente al Sote (Sistema Oleodotto Trans Ecuatoriano) provocò un versamento di 15.000 barili negli stessi corsi d’acqua colpiti in questa ultima occasione. Più di 27.000 indigeni amazzonici che popolano le terre basse del fiume Napo aspettano ancora giustizia e riparazione da parte dello stato.


La sete dell’oro nel Napo

Le acque del Napo entrano nel Rio delle Amazzoni ammalate, inquinate, stanche. Gli affluenti che scorrono fianco a fianco dell’Ocp e del Sote soffrono spesso gli effetti dei numerosissimi versamenti di petrolio.

Sulle rive degli affluenti del suo bacino idrico più occidentale, da un paio di anni si sono diffuse le attività minerarie per l’estrazione di oro e negli ultimi mesi hanno avuto un’accelerazione davvero esponenziale.

Nella provincia di Napo esistono più di 150 concessioni minerarie, la maggior parte in mano a TerraEarth Resources, impresa ecuadoriana a capitali cinesi.

Un gruppo di collettivi ambientalisti e organizzazioni dei popoli indigeni ha accusato lo Stato di aver violato i diritti della Natura, il diritto alla consulta ambientale e il diritto alla consulta previa, libera e informata dei popoli indigeni (tutti diritti di rango costituzionale in Ecuador) concedendo le autorizzazioni alle imprese.

Obiettivo della denuncia era l’estinzione di tutte le concessioni minerarie nella regione. Nella sentenza del 17 di gennaio il giudice competente riconosce la violazione del diritto della Natura ma solo per le operazioni minerarie “illegali”; ordina allo Stato di effettuare la riparazione ambientale nelle zone colpite da tali attività e non accetta estinguere le concessioni come richiesto dai denuncianti che hanno già appellato alla decisione del giudice.

Il 9 di febbraio una grande e a detta di molti “storica” manifestazione si snodava tra le vie della cittadina di Tena, capitale della regione. Erano presenti le più importanti confederazioni nazionali, amazzoniche e locali di popoli indigeni che reclamavano la cessazione immediata delle attività minerarie (legali ed illegali) nei loro territori e la cancellazione di tutte le concessioni della regione.

Agli stati e alle imprese interessa alimentare il mito della dicotomia tra attività mineraria legale e illegale. La prima sarebbe “responsabile”, rispettosa delle normative vigenti in ambito lavorativo, ambientale e sociale. In paesi come Ecuador, Perù, Colombia, contare con un permesso concesso dallo Stato non garantisce che le imprese siano esenti dal provocare gravi danni agli ecosistemi e alle genti che abitano quei luoghi.

La maggior parte delle volte, le attività minerarie illegali più devastatrici si sviluppano proprio nelle concessioni legali, con accordi stretti con le imprese che traggono il loro vantaggio fino a che lo Stato non interviene a porre “ordine”. Da quel momento l’impresa entra come salvatrice, in un contesto sociale e ambientale già fortemente compromesso.

Il 13 di febbraio, un comando di 500 unità tra militari e polizia è arrivato nella regione Napo per debellare le attività minerarie illegali. I collettivi sociali denunciano che dal giorno prima nelle zone dove maggiormente si concentravano tali attività, sono stati ritirati i macchinari e nascosti in zone limitrofe. Esigono che le operazioni dell’operativo si svolgano nel rispetto dei diritti degli abitanti delle comunità e nella massima trasparenza.

Ribadiscono che lo Stato avrebbe dovuto affrontare il problema da tempo, che le attività minerarie illegali hanno preso piede nelle concessioni delle imprese e che nessun tipo di minería sarà tollerata.

 

La resistenza in Buenos Aires

Il comune de La Merced de Buenos Aires, nella regione Imbabura, nel 2017 venne letteralmente invaso da “mineros illegales”.

Nel 2019 un’operazione militare arrivò per mettere fine alle attività estrattive. Da lì a pochi mesi gli abitanti della zona vennero a conoscenza del fatto che il loro territorio faceva parte di una concessione mineraria in mano all’impresa Hanrine Ecuadorian Exploration & Mining S.A., del gigante australiano Hancock Prospecting e che presto sarebbe iniziata nuovamente l’estrazione, questa volta “legale”.

Da allora le tredici comunità di Buenos Aires resistono all’ingresso dei macchinari a all’avvio delle operazioni dell’impresa. Nel luglio 2021 un giudice dichiarò colpevole lo Stato Ecuadoriano per aver violato i diritti della compagnia Hanrine. La ragione: non controllare la resistenza degli abitanti di Buenos Aires. Poche settimane fa due attivisti locali che partecipavano alle azioni di resistenza furono arrestati. Le stesse istituzioni che anni prima entravano per garantire l’ordine, oggi criminalizzano la resistenza.

Pilastro dell’economia

Il 10 febbraio è stato pubblicato dalla Camera del Settore Minerario lo studio “Impatto economico del settore minerario 2022-2052”. Lo studio conclude che le esportazioni minerarie arriveranno a 176.395 milioni di dollari, sempre che non ci sia opposizione al settore.

Alberto Acosta Burneo, economista del grupo Spurrier che curò la ricerca, assicura che da qui al 2052 “l’attività mineraria potrebbe diventare uno dei pilastri dell’economia ecuadoriana”.
 

Intag come resistenza

Tra i progetti minerari che lo studio menziona come strategici troviamo “Llurimagua”, attualmente in mano del gigante cileno Codelco che trasformerebbe la valle di Intag in una miniera a cielo aperto per l’estrazione del rame.

Da venti anni le comunità di Intag resistono ed espulsano sistematicamente tutte le imprese che hanno cercato di entrare nel loro territorio. Nonostante le violente azioni compiute dalle forze armate dello stato, gli arresti e le minacce, gli abitanti della valle continuano nella difesa del territorio.

L’11 di febbraio un giudice negò accettare la denuncia interposta da organizzazioni in difesa dei diritti umani e della natura contro lo Stato in merito al progetto Llurimagua. Ma “la lotta continua”.

Le foreste di nebbia di Intag sono considerate un “hotspot” di biodiversità, ospitano migliaia di specie molte delle quali in rischio di estinzione. Gli abitanti delle comunità vivono in armonia con questi ecositemi e abbondano i progetti alternativi all’attività mineraria.

La minaccia è la speranza

Sempre secondo lo studio della Camera del Settore Minerario, la minaccia per il Governo e per le imprese mineraria è rappresentata dalle consulte popolari, dalle decisioni giudiziali, dal diritto alla consulta dei popoli indigeni. E soprattutto, dal costante rifiuto delle comunità e dei gruppi ecologisti allo sfruttamento minerario.

Lo scorso dicembre nella comunità Kichwa di Tzawata (regione Napo) si è riunito il Fronte Nazionale Antiminerario che agglomera decine e decine di collettivi e organizzazioni di base di cui è costellato tutto il territorio nazionale.

C’erano membri del collettivo che da poco ha visto rinosciuta la sua causa dalla Corte Costituzionale (Bosco Protettore “Los Cedros”); le associazioni della Cordigliera Fierro Urco che con la loro battaglia difendono le acque del paramo andino; le organizzazioni del popolo Shuar in opposizione ai progetti “mega minerari” de El Condor- Mirador e Fruta del Norte; le associazioni di Azuay. Erano tantissimi. La stessa comunità che ospitava l’evento, Tzawata, da anni resiste all’ingresso delle gruppi illegali e delle imprese minerarie

Queste sono le minacce per il settore minerario in Ecuador.
Non avranno vita facile ma c’è da scommettere che cresceranno dalla Cordigliera all’Amazzonia, in un forte abbraccio di resistenza.


Immagini

1) Campaña Quito Sin Minería
2) Campaña Quito Sin Minería
3) Vista aerea del corso preso dal flusso dei petrolio fuoriuscito dall’OCP (foto di Iván Castaneira)
4) Traccia del corso del petrolio fuoriscito dall’OCP
5) Tra l’ottobre 2021 e gennaio 2022 nell’area di Yutzupino le attività minerarie si sono espanse per più di 70 ettari (Immagine dall’studio Maap #151, https://maaproject.org/2022/mineria-ecuador/), generando gravissimi impatti al fiume Jatunyaku, affluente del Napo
6) Manifestazione in difesa dell’acqua e della vita contro il settore minerario nella città di Tena
7) Manifestazione in difesa dell’acqua e della vita contro al settore minerario nella città di Tena
8) L’impatto del campo minerario Yutsupino
9) Il campo minerario Yutsupino e le terribili condizioni di lavoro
10) La difesa delle montagne di Buenos Aires
11) Immagine della campagna #IntagSantuarioDeVida, #SalvemosIntag
12) Gruppo di lavoro nell’incontro del Fronte Nazionale Antiminerario (Foto Alessia Marucci).


Sitografia e contatti social

Chocó Andino:
https://www.facebook.com/quitosinmineriahttps://www.quitosinmineria.com/;
https://www.chocoandinopichincha.com/.

Napo:
https://www.facebook.com/Napo-Resiste-102056361372567;

Buenos Aires:
https://www.facebook.com/bonaerencesunidosprotegiendoelecosistema/

Intag:
https://www.facebook.com/%C3%8Dntag-Santuario-de-Vida-113836830353420;
https://www.facebook.com/decoinorg;

Frente Nacional Antiminero:
https://www.facebook.com/Frente-Nacional-Antiminero-102138635613843;

Fierro Urco: 
https://www.facebook.com/FierroUrcoNoSeTocaKaraju;

Los Cedros:
https://www.facebook.com/cloudforestloscedros;


 

14 febbraio 2022 (pubblicato qui il 18 febbraio 2022)