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L'estrattivismo in Canada. Securizzare le infrastrutture critiche: un confronto con gli USA - seconda parte Il contesto canadese e la repressione negli USA

di Brenden Dias

  

Securizzare l'estrattivismo: il contesto canadese 

Gli obiettivi stabiliti dai governi federali e provinciali canadesi in merito alla protezione delle infrastrutture critiche sono rimasti in gran parte gli stessi, anche se ciò che è percepito come ostacolo è cambiato dopo la fine della guerra fredda. Durante la guerra fredda, la minaccia dell'infiltrazione comunista era la preoccupazione principale delle autorità e dei governi.  Oggi, la resistenza indigena, l'attivismo ambientale e i gruppi anticapitalisti sono diventati l'obiettivo principale del monitoraggio, della sorveglianza e della repressione. Inoltre, la legislazione mirata contro l'opposizione degli attivisti ai progetti estrattivi dal XXI°  secolo in poi conferma il fatto che l'estrazione delle risorse è stata pesantemente securizzata in Canada. La protezione delle infrastrutture e dei progetti estrattivi ha lo scopo di garantire gli interessi del capitale privato e statale.  Calpestare la sovranità e i diritti degli indigeni in nome dell'estrattivismo e del profitto non è una novità per le autorità e i governi canadesi, e continuerà nello stesso modo: attraverso l'oppressione, il furto della terra e la negligenza verso l'ambiente. La dipendenza del Canada dal settore delle risorse naturali e dalle infrastrutture critiche è pericolosamente delicata, visto che per trasportare le materie prime attraversa territori indigeni mai ceduti, e le criticità che i canadesi, le popolazioni e le comunità indigene, le autorità, le agenzie di intelligence e le strutture di governo dovranno affrontare saranno sempre più numerose.1  
Ciò che preoccupa è la modalità con cui le agenzie federali canadesi e gli agenti impegnati nella protezione delle infrastrutture critiche si allontanano dall'agire "democratico" per andare verso la "polizia di regime", dimostrando come le proprietà materiali delle infrastrutture critiche generino tattiche antidemocratiche di controllo e repressione.2 

Gli Stati Uniti. Standing Rock e la repressione della polizia

Come accade in Canada, le nazioni indigene degli Stati Uniti cercano di difendere le loro terre, i loro territori e i loro modi di vita dalla minaccia dell'estrattivismo. Uno dei fatti più importanti è avvenuto nel 2016-2017 nel corso della lotta guidata dagli indigeni contro l'oleodotto Dakota Access Pipeline (DAPL). L'oleodotto minaccia la fonte primaria di acqua della Standing Rock Sioux Reservation, ovvero il bacino del fiume Missouri, chiamato Lago Oahe, sotto il quale dovrebbe passare l'oleodotto. Il progetto estrattivo minaccia anche i siti indigeni sacri che costeggiano il fiume Missouri. I Sioux di Standing Rock sostengono di non essere stati adeguatamente consultati, di essere stati per lo più ignorati, e che ogni tentativo di azione legale contro il procedimento dell'oleodotto è stato negato.   
Di conseguenza è nata la resistenza, e molti solidali si sono uniti alla lotta contro l’oleodotto e le autorità che lo proteggevano. Secondo James Petras e Henry Veltmeyer, le relazioni indigene con la terra sono strettamente legate all'accesso illimitato ai "beni comuni globali" delle risorse naturali, comprese l'acqua e la terra. La tendenza del capitalismo a racchiudere questi beni comuni, privatizzando e mercificando, è incompatibile con la necessità delle comunità indigene di proteggere i loro diritti tradizionali e territoriali, le loro tradizioni culturali e la loro stessa facoltà di esistere come popoli e società.3  
No DAPL è parte di una più grande resistenza in atto contro le appropriazioni coloniali di terre e risorse, la distruzione ecologica e i danni sociali che le pratiche e le istituzioni dei coloni hanno inflitto all'esistenza indigena. 
J. M. Bacon lo definisce "resistenza alla violenza ecologica coloniale"4 .
La resistenza di Standing Rock ha determinato una pesante risposta della polizia militare. Sono stati utilizzati contro i protettori dell'acqua e gli alleati indigeni carri armati, veicoli blindati leggeri, attrezzature antisommossa, gas lacrimogeni, spray al peperoncino e taser; per sedare la resistenza è stata chiamata anche la Guardia Nazionale. 
Centinaia di persone, compresi giornalisti e registi, sono state arrestate e molte incriminate, con accuse di sommossa, violazione di domicilio, resistenza all'arresto e altri reati. La polizia è stata anche accusata di violazioni dei diritti umani, e un comitato delle Nazioni Unite ha iniziato a indagare sulle forze dell'ordine locali a causa del terribile trattamento inflitto ai manifestanti imprigionati. 5  
Come sostengono Tomas Fredricksen e Matthew Himley, i metodi con cui i progetti estrattivi sono messi in sicurezza - in modo brutale e violento - non sono casuali. Sono stati documentati molti casi in cui sono state utilizzate minacce o l'uso della forza per securizzare l'accesso alla terra e alle risorse. Mantenere l'ordine socio-politico nelle regioni estrattive è la chiave per assicurare gli investimenti, il profitto e, in definitiva, lo sfruttamento stesso.  Alcuni protagonisti del settore estrattivo hanno dichiarato di impegnarsi per i diritti umani, ma le compagnie e gli Stati continuano a utilizzare la violenza, la coercizione fisica e/o economica e la sopraffazione per assicurare i loro interessi.6  
La securizzazione dell'estrattivismo si manifesta in modo evidente in tutti gli sforzi di resistenza di Standing Rock, proprio come nella resistenza Wet'suwet'en in Canada. Da una parte sono utilizzate le aggressioni della polizia - sia da parte dei governi federali che da quelli locali - per securizzare ed espandere lo sviluppo industriale estrattivo, dall'altra si criminalizzano i difensori della terra e dell'acqua e i loro alleati, a dimostrazione del fatto che lo sviluppo estrattivo è un ambito che deve essere securizzato come questione di sicurezza nazionale. Ma ci sono più implicazioni della mera repressione della polizia nella lotta di resistenza, e la prossima sezione affronta l'informazione, la disinformazione e la rappresentazione mediatica dei difensori della terra e il ruolo che essa ha giocato a favore degli interessi dello stato e delle operazioni estrattive. 

Il ruolo dei media - informazione e disinformazione

Oggi la copertura mediatica e la rappresentazione delle storie e degl eventi è cruciale, poiché i social media e le notizie online sono in continua espansione.  
Ma è il "come", e in che modalità vengono raccontate certe storie e certi attori ad essere fondamentale.  Le popolazioni indigene, i gruppi, le comunità e le loro lotte sono spesso ignorate o sottovalutate, e quando vengono riportate, le notizie sono sensazionalizzate, spesso rafforzando gli stereotipi sulla violenza, l'alcolismo o la povertà.  
In più, queste rappresentazioni tendono a ritrarre le nazioni indigene "come se fossero congelate nel tempo", trascurando i principali contesti culturali e storici.7  
Tali rappresentazioni sono comuni a tutti i media americani e canadesi, e ribadiscono decisamente la tendenza alla razzializzazione di gran parte dei media tradizionali nel coprire le storie sui popoli indigeni; anche se la copertura razzializzata e sensazionalizzata non è limitata solo a chi fa parte di una popolazione e una cultura indigena.
La rappresentazione dell'"altro" come antagonista è frequente, specialmente quando è in opposizione al colonialismo dei coloni, ai bianchi o allo status quo.  La rappresentazione mediatica della resistenza indigena ha un ruolo fondamentale nella difesa degli interessi dell'estrattivismo, dato che la cronaca spesso enfatizza in modo eccessivo le tattiche di disturbo che le popolazioni indigene usano per sfidare l'estrattivismo.8
E questo è certamente utile, perché gioca a favore dell'idea che l'estrattivismo richieda la securizzazione contro le minacce - in questo caso, la minaccia che le popolazioni indigene rappresentano contro lo "sviluppo".   
Jenna Harb e Kathryn Henne hanno messo in evidenza come la tattica dell'informazione e della disinformazione sia utilizzata, per plasmare l'opinione pubblica,  attraverso la mobilitazione della conoscenza e della legge. A questo scopo di solito si accusano gli attivisti di attività illegali.9
Plasmare l'opinione pubblica in modo che consideri la resistenza ai progetti estrattivi come criminale e violenta, genera una denigrazione contro i manifestanti antiestrattivisti e i difensori della terra, e il conseguente sostegno ai progetti e a coloro che vogliono reprimere l'opposizione ai progetti estrattivi.  
La disinformazione, nel corso del movimento No DAPL, ha generato una "cultura della paura" contro i gruppi di attivisti e la resistenza indigena - indispensabile per presentare il DAPL come una colonna portante della sicurezza nazionale.  
Ad esempio, i manifestanti sono stati dipinti come minaccia per il benessere delle comunità nei pressi dei luoghi della protesta, e ancora di più come una minaccia per i cittadini americani, le imprese e "l'energia di cui hanno bisogno per produrre posti di lavoro e costruire un'economia vitale e sana".”10  
I cittadini americani destinatari di questa campagna di immagine erano fermamente contrari al movimento No DAPL.  
Buzan, Wæver, e de Wilde ricordano che il securizzatore non determina se la securizzazione ha avuto successo o meno -  anzi, è il pubblico a decidere. L'esistenza della minaccia (gli "attivisti" anti-oleodotto) è stata accettata, e di conseguenza, securizzata a dovere.  Quindi, il ricorso ai media e alla dis/informazione per diffamare l'opposizione - in questo caso, chi resiste ai progetti estrattivi - è uno strumento efficace per indurre l'opinione pubblica a vedere i propri avversari come una minaccia.  Tattiche simili sono utilizzate in tempo di guerra: diffamare e demonizzare il nemico per indurre il pubblico a credere che sia una minaccia e, quindi, giustificare l'uso della forza e della violenza contro chi viene rappresentato come nemico.   L'utilizzo dell'informazione, della disinformazione e dei media nel dipingere rappresentazioni distorte dell'opposizione all'estrattivismo è parte di una strategia per presentare l'opposizione all'estrattivismo come una minaccia alla sicurezza.  

(2. Continua)

* Disegno di Asparago


Video                                                                                                 

 

 

 

 

 

 

 


NOTE:

 

1) Greaves, Wilfrid, and Whitney Lackenbauer. “First Nations, LNG Canada, and the Politics of Anti-Pipeline Protests.” S.l: Canadian Global Affairs Institute, 2019, p. 8.
2) Monaghan, Jeffrey and Kevin Walby. "Surveillance of Environmental Movements in Canada: Critical Infrastructure Protection and the Petro-Security Apparatus." Contemporary Justice Review: CJR 20, no. 1, 51-70, 2017, p.67.
3) Veltmeyer, Henry, and Paul Bowles. "Canadian Resistance to the Northern Gateway Oil Pipeline."Vol. 70, 234-254, 2014, p.237.
4) Bacon, J. M. "Dangerous Pipelines, Dangerous People: Colonial Ecological Violence and Media Framing of Threat in the Dakota Access Pipeline Conflict." Environmental Sociology 6, no. 2, 143-153, 2020, p.143
5) Levin, Sam. “Dakota Access Pipeline: The Who, What and Why of the Standing Rock Protests.” the Guardian. The Guardian, July 14, 2017, p.1
6) Frederiksen, Tomas and Matthew Himley. "Tactics of Dispossession: Access, Power, and Subjectivity at the Extractive Frontier." Transactions - Institute of British Geographers (1965) 45, no. 1, 50-64, 2019-2020, p.55.
7) Moore, Ellen E. “Journalism, Politics, and the Dakota Access Pipeline: Standing Rock and the Framing of Injustice.” Abingdon, Oxon; New York; Routledge, 2019, p.70
8) Bacon, J. M. "Dangerous Pipelines, Dangerous People: Colonial Ecological Violence and Media Framing of Threat in the Dakota Access Pipeline Conflict." Environmental Sociology 6, no. 2, 143-153, 2020, p.144.
9) Harb, Jenna and Kathryn Henne. "Disinformation and Resistance in the Surveillance of Indigenous Protesters." 187-211. Cham: Springer International Publishing, 2019, p.195.
10) Ibid, p.195-196


Download: 
The Securitization of Extractivism 

Brenden Dias
POLI 440 Dr. W. Greaves - November 12/2020 - 23 pp.

 

 

 

 

 

 

 


 

31 marzo 2021 (pubblicato qui il 02 aprile 2021)