*** Seconda Parte ***

Fissione, fusione, scorie nucleari e i limiti fisici/2

di Angelo Tartaglia


I piccoli reattori modulari

Fra le cose rilanciate da una ricorrente campagna mediatica promossa da operatori vivamente interessati e da quella parte della politica che rappresenta gli interessi a breve termine e il negazionismo climatico, si trovano anche i piccoli reattori modulari o SMR (Small Modular Reactors). L’immagine suggerita al grande pubblico e letteralmente quella di relativamente piccoli parallelepipedi, ciascuno dei quali e un reattore nucleare, trasportabili di qua e di là e componibili, alla bisogna, un po’ come le tessere del Lego. Capita di leggere di impianti di taglia variabile spostati presso temporanei assorbitori industriali di rilevanti quantità di energia e poi trasferiti e rimodellati presso altri grandi utenti. Oppure di piccoli reattori a bordo di navi ancorate al largo che poi forniscono energia ad utenze sulla terraferma spostandosi a seconda della domanda.

Nel merito una prima osservazione riguarda il significato di “piccoli” riferito a dei reattori nucleari. Le centrali in esercizio o in costruzione sono divenute sempre più grandi per ragioni di economie di scala e oggi hanno potenze superiori al GW (miliardo di watt); in precedenza la taglia tipica si misurava in centinaia di MW (milioni di watt). Col linguaggio di oggi un “piccolo” reattore ha una potenza dalle centinaia di MW in giù, il che non lo rende un oggettino agevolmente trasportabile di qua e di là. È il caso di ricordare che un reattore non consiste semplicemente nel suo nocciolo, dove sono contenute le barre immerse nel moderatore (il materiale che rallenta i neutroni liberati dalla fissione rendendoli idonei a perpetuarla). Intorno occorre una schermatura (per assorbire i neutroni di troppo) e poi c’è il sistema di refrigerazione, fondamentale per la sicurezza e poi destinato a far uscire il calore che alla fine verrà convertito in energia elettrica; e poi ci sono tutti i dispositivi di controllo e sicurezza.

Ciò detto i piccoli reattori trasportabili non sono una novità, nel senso che a questa categoria appartengono gli impianti a bordo dei sommergibili nucleari (alcuni per incidenti vari sono finiti sul fondo del mare) o in qualche caso di navi, per lo più militari. Altri erano stati realizzati per finalità di ricerca, come nel caso del reattore Avogadro di Saluggia, o del reattore Galileo Galilei del CAMEN (Centro Applicazioni Militari dell’Energia Nucleare) di San Piero a Grado in provincia di Pisa. Ora, se è vero che riducendo la potenza il controllo dell’impianto per garantire la sicurezza diviene più semplice e più agevole, tutti i problemi relativi alla produzione di scorie restano tali e quali: come già detto, se c’è la fissione ci sono necessariamente i prodotti di fissione in quantità proporzionale al numero di fissioni che avvengono.

Provando poi a prendere sul serio l’idea di una rete di piccoli reattori, magari anche mobili, sparsi qua e là sul territorio nazionale, bisogna immaginare anche un corrispondente sistema di trasporto degli apparati o quantomeno delle barre fresche (bassa radioattività) per alimentarli e poi delle barre esauste con relative scorie (ad altissima radioattività) da rimuovere per portarle in qualche deposito temporaneo e poi definitivo. Oggi gli spostamenti di materiale nucleare sono effettuati con procedure eccezionali e adeguate misure di sicurezza. Pensando ad un sistema di trasporto dedicato sparso sul territorio nazionale e considerando i correlati possibili incidenti (gli incidenti sono proporzionali al volume di traffico su strade e ferrovie e nei porti), le possibilità di attentati, gli errori e le patologie umane, c’è di che essere parecchio preoccupati. Senza contare che la sicurezza di una tale rete di trasporto si riverbererebbe sui costi dei kWh prodotti. Comunque, intanto, arriva fresca fresca (autunno 2023) la notizia che la Nuscale Power Corp., che avrebbe dovuto realizzare un primo SMR negli Stati Uniti, ha cancellato il progetto per il venir meno delle condizioni di economicità dell’impianto (QualEnergia.it, 2023).

 

La fusione nucleare

Tornando alle argomentazioni che accompagnano la riproposizione del nucleare da fissione ci si trova a volte anche davanti all’idea che quest’ultimo dovrebbe essere attivato non tanto perché potrebbe costituire, in un certo senso, la soluzione finale al problema dell’energia, ma come anello di transizione temporaneo verso qualcos’altro che non presenti i problemi che abbiamo visto. Questa idea della fissione come tappa intermedia si scontra comunque coi tempi dell’emergenza climatica e la necessita di agire in modo drastico a brevissimo termine. I reattori nucleari costruibili oggi richiedono tra i quindici e i vent’anni per entrare in funzione mentre la partita per gestire l’emergenza climatica va giocata nell’arco all’incirca di un decennio (la data termine convenzionale e il 2030).

Comunque sia, il punto d’approdo di questa fase nucleare intermedia, per chi la propugna, dovrebbe essere l’implementazione del nucleare sì, ma da fusione. La fusione nucleare è per così dire il processo inverso della fissione. Si parte da due nuclei leggeri e li si costringe a scagliarsi l’uno contro l’altro con un impeto tale da vincere la repulsione elettrica tra di loro, fino a che i due arrivano praticamente a toccarsi, cioè si accostano quanto basta per consentire alla forza nucleare forte di entrare in azione legandoli saldamente a costituire un nuovo nucleo stabile; quando ciò avviene, se i nuclei hanno un numero atomico inferiore a 28 (nichel) si libera anche un surplus di energia che è l’obiettivo perseguito. In concreto si può procedere partendo da una miscela dei due ingredienti iniziali e trovando il modo di portarla a temperature tali per cui gli urti fra i nuclei avvengano con la violenza richiesta. Il fatto è che le temperature necessarie si misurano in milioni di gradi; nel caso più semplice, in cui gli ingredienti sono due isotopi dell’idrogeno (deuterio e trizio) la temperatura richiesta va dai 200.000.000 di gradi in su. Non a caso, finora, l’unica applicazione della fusione nucleare è stata nelle bombe termonucleari in cui la fusione stessa viene innescata dall’esplosione di una bomba atomica a fissione in grado di produrre le pressioni e temperature richieste.

Fin dagli anni ’60 del ‘900 sono in corso studi ed esperimenti per arrivare a realizzare un vero e proprio reattore a fusione in cui il processo possa avvenire in maniera controllata e continua consentendo di estrarre in modo utile l’energia in eccesso liberata dal procedimento. Le difficolta sono molto grandi e legate alle esorbitanti temperature da mantenere all’interno della macchina. Le strade fin qui seguite sono due: quella del confinamento magnetico e quella del confinamento inerziale. Nel primo caso ciò che impedisce al plasma, in cui deve avvenire la fusione, di toccare le pareti del contenitore e un intensissimo campo magnetico che forza i nuclei (che sono carichi elettricamente) a muoversi lungo percorsi chiusi. Nel secondo caso un insieme di laser di potenza, puntati in maniera concentrica verso una piccola regione in cui e posta la miscela destinata alla fusione, genera un’onda elettromagnetica di pressione tale da innescare la fusione. In entrambi i casi, occorre poi trovare il modo di estrarre dalla macchina in modo continuativo l’energia liberata dalla fusione e fare in modo che essa sia di più di quella richiesta per far funzionare il tutto. Nel dicembre 2021, presso il Culham Centre for Fusion Energy in Gran Bretagna, si è riusciti ad estrarre una piccola quantità di energia per 5 secondi consecutivi dal Joint European Torus (JET), reattore a confinamento magnetico frutto di una collaborazione internazionale; il bilancio energetico complessivo permane però fortemente negativo.

Nel dicembre 2022, per la prima volta, presso la National Ignition Facility del Lawrence Livermore National Laboratory negli Stati Uniti, dove esiste un apparato che sfrutta il confinamento inerziale, si è ottenuto un evento in cui l’energia liberata è risultata superiore a quella immessa dall’onda d’urto generata dai laser. Se però si include anche l’energia necessaria al funzionamento dei laser il bilancio energetico rimane anche in questo caso fortemente negativo. La ricerca continua ed è bene che continui, ma è il caso di osservare che a fine anni ’60 si diceva che ci sarebbe voluta una trentina di anni per avere i primi reattori a fusione funzionanti. Ora, dopo i risultati ottenuti con JET e presso il Livermore Laboratory, si dice che tra una trentina d’anni dovrebbero essere in funzione i primi reattori commerciali…

La fusione nucleare per uso pacifico dunque non c’è, ma, a parte questo, è il caso di analizzare da vicino anche la sua leggenda. La vulgata la presenta come una fonte di energia praticamente illimitata e pulita. Stiamo parlando di un processo i cui ingredienti essenziali sono, come detto, due isotopi dell’idrogeno: il deuterio (un protone e un neutrone nel nucleo) e il trizio (un protone e due neutroni, H3). Il deuterio, che è stabile, si trova nella molecola dell’acqua pesante presente negli oceani, nella proporzione di un atomo di deuterio ogni 6.400 atomi di idrogeno; molto meno abbondante dell’idrogeno, certo, ma comunque sempre tanto. Il trizio invece è radioattivo con un tempo di dimezzamento di poco più di 12 anni e un decadimento che lo trasforma in un isotopo stabile dell’elio (He3). In pratica, in natura, del trizio si trovano solo tracce derivanti da processi innescati dalla radiazione cosmica nell’alta atmosfera oppure dalle esplosioni nucleari del passato o ancora dal funzionamento dei reattori nucleari presenti nel mondo; il tempo di dimezzamento non particolarmente lungo gli impedisce comunque di accumularsi.

Tradotto in termini pratici: per usarlo nei reattori a fusione il trizio bisogna produrselo. Lo si può produrre bombardando un altro elemento, il litio, in particolare l’isotopo 6 (Li6), con dei neutroni. Un neutrone aggiunto al Li6 lo fa diventare Li7 ma nello stesso tempo lo spacca in due: uno dei pezzi è il voluto H3; l’altro è He4, non più radioattivo. In sintesi: da una parte ci vogliono i neutroni, prodotti da un qualche altro impianto nucleare; dall’altra occorre, come materia prima, il Li6, che è presente in natura, ma certo e molto meno abbondante del deuterio. Insomma, il fattore limitante è il litio.

Quanto alla fusione come fonte energetica pulita, non c’è dubbio che il processo non liberi gas serra e non lasci nemmeno i residui radioattivi tipici della fissione. Dalla fusione di un nucleo di deuterio e uno di trizio si ottengono un nucleo di elio (He4) e un neutrone. Il primo non è né radioattivo né tossico, il secondo, che schizza via a grande velocità, viene assorbito dai materiali circostanti rendendoli radioattivi: le strutture di un ipotetico reattore a fusione divengono radioattive e a tempo debito dovranno essere smaltite come scorie.

Posso aggiungere che l’elio, che è un gas nobile già presente in atmosfera nella misura all’incirca di 5 parti per milione (ppm), è anche del tutto innocuo. C’è pero da chiedersi se, aumentando la quantità dispersa, per lo più ad alta quota, le proprietà fisiche complessive dell’atmosfera stessa non ne risentirebbero in qualche modo, e ogni cambiamento nelle proprietà dell’atmosfera finisce per avere dei riflessi sul sistema climatico globale. Per ora non ci sono studi in merito, ma varrebbe la pena di farli.
 

La radice del problema

Direi che, come considerazioni finali, si può rilevare che non esistono soluzioni miracolose al problema della fame di energia. I limiti fisici del “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” e del secondo principio della termodinamica che, tradotto in linguaggio corrente, dice che qualunque trasformazione di energia produce necessariamente degli effetti collaterali, non possono in alcun modo essere superati. Cionondimeno una parte dei cittadini, e soprattutto, della politica continua testardamente a rifiutare questi vincoli pur di non cambiare l’impostazione corrente dei rapporti del dare e dell’avere, del produrre e del consumare, cioè dell’economia globalizzata.

La radice del problema sta lì, nel mito, convertito in vera e propria religione idolatrica, della crescita perpetua e della valenza salvifica degli automatismi del mercato. Non c’è nulla di scientifico nell’idea che sarà l’egoismo individuale a salvare il mondo, unito all’aspirazione del “sempre di più”. E proprio la scienza a dirci che la crescita materiale a tempo indeterminato non è possibile. Oltre all’argomento elementare che ci dice che nulla può indefinitamente crescere in un ambiente finito, vi è una dinamica caratteristica di qualsiasi processo che preveda di generare materialmente qualcosa e in quantità crescenti. Se voglio produrre qualcosa, sia che si tratti di un oggetto sia che si tratti di un qualche servizio, debbo farmi carico anche dei costi materiali del processo produttivo; in altri termini, dovrò immettere materie prime ed energia che, insieme, costituiscono appunto i costi materiali.

Ovviamente farò in modo che quei costi siano inferiori al valore del prodotto lordo e la differenza tra prodotto lordo e costi materiali sarà il mio vantaggio. Fin qui tutto bene, ma proviamo ad aggiungere la crescita: vogliamo produrre sempre di più, col che naturalmente anche i costi materiali cresceranno. Ciò che ci dice la fisica è che quando una produzione aumenta, certo, anche i costi materiali aumenteranno, ma, ahimè, questi ultimi crescono più in fretta del prodotto. Un esempio banale è quello dell’energia cinetica: se voglio raddoppiare la velocità devo immettere nel sistema un’energia che è quattro volte quella iniziale. Un altro esempio è quello fornito dall’elettrotecnica: se voglio raddoppiare la corrente elettrica in un circuito, la quantità di energia che debbo immettere, e che verrà dispersa sotto forma di calore, è quattro volte quella iniziale. Ancora: se consideriamo un sistema complesso in cui si vuol far crescere il numero dei nodi (il numero di stazioni produttive diversificate), il numero di relazioni lungo le quali viaggiano dei flussi materiali (di energia, di semilavorati, di prodotti, di informazione, eccetera) e quindi la quantità di risorse materiali da spendere per tenere il tutto in condizioni di sicurezza e sotto controllo cresce col quadrato del numero dei nodi.

Al di là di questi esempi, in qualsiasi processo materiale il fabbisogno di risorse anch’esse materiali cresce più in fretta del prodotto (Tartaglia, 2020). Se all’inizio la produzione era conveniente, con l’andar del tempo l’utile crolla. L’evoluzione e quella presentata in figura 1.

Aggiungiamo poi che, sempre per colpa della fisica, in un sistema materiale in crescita competitiva le disuguaglianze, al di là di occasionali episodi in controtendenza, necessariamente crescono, e vediamo ancora una volta che il problema non sta nelle tecnologie utilizzate ma nelle regole del gioco nel campo delle relazioni sociali ed economiche.

(2. Fine)


Riferimenti bibliografici

- Cour des comptes de France, 2020, La filière EPR.
- Cour des comptes de France, 2020,
L’Arrêt et le Démantèlement des Installations Nucléaires, Energy Institute, 2023.
2023 Statistical Review of World Energy.
- IAEA e NEA, 2023,
Uranium 2022 Resources, Production and Demand.
- QualEnergia.it (redazione), 2023,
Passo falso per il nucleare SMR: cancellato il primo progetto commerciale di NuScale, QualEnergia.it, 9 novembre 2023. Sassi Francesco, La crisi del modello energetico francese, Energia, 28 aprile 2023.
- Tartaglia Angelo, 2020,
Growth and Inequalities in a Physicist’s view, Biophysical Economics and Sustainability, vol. 5, n. 3, pp 1-9.
- Tartaglia Angelo, 2022,
Spaccare l’atomo in 4uattro, Edizioni Gruppo Abele, Torino.


Immagini:
 

  • Rafael Mariano Grossi 04018154), by IAEA Imagebank. Licenza CC BY 2.0. Rafael Mariano Grossi è un funzionario e diplomatico argentino, direttore generale della Agenzia internazionale per l'energia atomica dal 3 dicembre 2019.
  • Science at Exascale: Simulating Small Modular Reactor Operations, by OLCF, licenza CC BY 2.0.
  • ZETA, by Timitri, licenza CC BY-SA 2.0.
  • Modello del reattore sperimentale di fusione nucleare ZETA.
  • Nuclear fusion, by Someone, licenza CC BY-SA 3.0.
  • Net Zero World (cop26 2164) (51657431225), by IAEA Imagebank, licenza CC BY 2.0.

QUADERNI DELLA DECRESCITA
Periodico di ecologia, società e politica

Anno 0 n° 0/2 - Gennaio/Aprile 2024, pp. 408.

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16 dicembre 2024 (pubblicato qui il 20 dicembre 2024)