*** Argentina ***

Cosa si mangia con la democrazia?

di Mariano Pagnucco

Durante gli anni della dittatura militare, il Ministero dell’Economia guidato da José Alfredo Martínez de Hoz impose all’Argentina una svolta fortemente neoliberista, rivolta all’integrazione del paese nella divisione del lavoro dell’economia capitalista internazionale sulla base della teoria dei “vantaggi comparati”.
Nel contesto di una sanguinaria repressione contro tutte le organizzazioni popolari, Martínez de Hoz procedette all’applicazione del suo «Programa de recuperación, saneamiento y expansión de la economía argentina» , che comprendeva la liberalizzazione dei prezzi, degli affitti, dei salari, del mercato valutario e dell'import/export, l’eliminazione dei sussidi sociali e l’ indebitamento con il FMI.
Il ministro, proveniente dalla grande proprietà terriera, diede impulso a politiche rivolte all’attrazione di capitali stranieri sul settore primario - estrazione petrolifera e mineraria, agricoltura e allevamento – puntando sull’aumento della produzione per l’export sui mercati internazionali.
Tali politiche, applicate al settore della produzione alimentare, impoverirono la produzione di cibo per il mercato interno, generando solo diseguaglianza, fame e miseria per le classi popolari.
Con il ritorno alla democrazia nel 1983 era sorta la speranza che tutto questo avesse fine, ma le politiche neoliberiste sono sopravvissute ampiamente alla dittatura che le ha generate.
Dal basso, c'è però chi reagisce e si organizza per costruire la sovranità alimentare.


Nel 1983, il ritorno della democrazia prometteva di rispettare i diritti fondamentali come quello all'alimentazione. Quattro decenni dopo, un modello di coltivazioni transgeniche, concentrazione della terra e alimenti ultra-processati, mantiene il 40% della società nella povertà. Le organizzazioni contadine, sociali e accademiche costruiscono il percorso verso la sovranità alimentare.


Il 10 dicembre 1983, esattamente 40 anni fa, il Presidente del Recupero della Democrazia tenne al Congresso Nazionale uno dei discorsi più famosi della storia argentina. In uno dei passaggi del suo discorso, Raúl Alfonsín disse: “La democrazia è un valore ancora più alto di una mera forma di legittimità del potere, perché con la democrazia non solo si vota, ma si mangia, si educa e si cura”. Se questa frase di speranza dovesse essere analizzata alla luce della storia degli ultimi quattro decenni, la situazione alimentare nazionale andrebbe descritta in altri termini, perché con l’attuale democrazia si mangia...male.

"Se oggi volessimo distribuire a ogni persona che vive in Argentina la quantità di frutta e verdura che dovrebbe consumare, secondo quanto lo Stato stesso raccomanda in base alle sue guide dietetiche, non ne avremmo abbastanza", descrive Marcos Filardi, che diversi anni fa ha deciso di applicare le sue conoscenze da avvocato alle questioni relative ai diritti umani e, in particolare, alla sovranità alimentare (concetto stabilito da La Via Campesina al Summit Mondiale sull'Alimentazione di Roma nel 1996).

Per Filardi il cibo deve essere pensato come un diritto essenziale per la vita: “La nostra Costituzione riconosce il nostro diritto umano ad avere un’alimentazione adeguata, inteso come diritto ad avere accesso regolare, permanente e gratuito a cibo adeguato o ai mezzi per ottenerlo, che ci permetta insomma di avere una vita libera da angustie, soddisfacente, sana e dignitosa”. 

Tuttavia, “tutte le componenti di questo diritto umano ad un’alimentazione adeguata, riconosciuto costituzionalmente, spesso non vengono rispettate, vengono lese, sistematicamente e strutturalmente violate da un modello agroindustriale dominante ed egemonico nel nostro Paese, che rema contro contro la possibilità di realizzare tale diritto”. 

Mentre nel 1996 le organizzazioni contadine coniavano il concetto di “sovranità alimentare” , in Argentina la soia transgenica veniva introdotta dal governo neoliberista di Carlos Menem. Tra i lasciti del menemismo alla società argentina c’è la Monsanto (azienda “proprietaria” di quel seme geneticamente modificato e oggi commercializzato dalla Bayer) e il suo modello, che continua a dettare l’agenda e la dieta nazionale. Questo sbarco imprenditoriale fu decisivo per tutti gli anni successivi successivi della democrazia.

Myriam Gorban, nutrizionista e promotrice della Rete delle Cattedre Libere della Sovranità Alimentare (CaLiSAs), ha ricordato in una delle sue lezioni pubbliche quanto accaduto a Roma: “Nel 1996, quando il concetto di sovranità alimentare apparve sulla scena con l’aiuto di Vía Campesina, iniziò simultaneamente questa nuova situazione che è la coltivazione di alimenti transgenici. Quelli di noi che hanno partecipato a quel Vertice Mondiale, parlavamo allora di “principio di precauzione”. Non sappiamo cosa può accadere, non sappiamo quali fenomeni possono verificarsi sul suolo, nella terra, nell'aria, nelle nostre vite. E per questo, prima di rilasciarli – come è successo in Argentina, un campo sperimentale a cielo aperto – chiedevamo di vedere quali fossero gli effetti sulla salute. Nessuno ci diede ascolto e - ovviamente - quelli che governano il mondo, che sono i fattori economici, hanno di fatto minimizzato questi effetti. Oggi - purtroppo - quella nostra presenza fa sì che possiamo parlare di quanto accaduto in questi anni”.

                                      

Cibo o commodities per il popolo?

Qual è il cibo tipico delle tavole argentine? Nel 1983, la risposta rapida alla domanda poteva spaziare tra l'asado, le empanadas, la milanesa o il locro. Quarant'anni dopo, il menu tradizionale sulle tavole argentine è più vicino al binomio nutrizionalmente svalutato dell'hot dog e bibita gassata. 

Il salto improvviso tra un tipo di dieta e l’altro è senza dubbio dovuto a questioni economiche, sociali e culturali, ma l’orientamento della produzione agroalimentare che privilegia la fornitura dall'estero piuttosto che il consumo interno è un fattore chiave per comprendere la metamorfosi. “Scommettiamo su poche materie prime destinate principalmente all’esportazione, come fonte di entrate (in dollari), sacrificando altre produzioni alimentari che compongono il nostro paniere alimentare di base e che finiscono per scomparire”, aggiunge Filardi.

L’ “Atlante dell’agroalimentare: dati e fatti sull’industria agroalimentare” (Alianza Biodiversidad, 2018), illustra con dati come funziona l’industria agroalimentare globale e locale:

  • 5 aziende monopolizzano la commercializzazione di cereali e semi oleosi: Archer Daniels Midland (ADM), Bunge, Cargill, Louis Dreyfus Company e Cofco.
  • 4 aziende monopolizzano il mercato delle sementi, dei pesticidi, degli eventi transgenici e dell'editing genetico: Bayer-Monsanto, ChemChina-Syngenta, DuPont-Dow e BASF.
  • 10 aziende dell'industria alimentare trasformano le materie prime in oggetti commestibili ultralavorati: Nestlé, JBS, Tyson Foods, Mars, Kraft Heinze, Mondelez, Danone, Unilever, General Mills e Smithfield. 
  • 5 catene di supermercati e ipermercati concentrano, in Argentina, la commercializzazione di alimenti, tra gli altri settori coinvolti: Carrefour, Cencosud (cioé Jumbo e Disco) e Coto.

Il clima dell’epoca e le sue conseguenze su ciò che mangia la popolazione è raccontato dalla giornalista Soledad Barruti nell’introduzione al suo libro “Malcomidos” (Planeta, 2013): “Da quando la società moderna – occupata in altro, senza tempo per nulla, straboccante e urbanizzata al limite dell’impossibile – ha delegato la produzione di ciò che si porta alla bocca alla grande industria alimentare, niente è più ciò che era prima. Fondamentalmente perché la logica imposta dal mercato è una sola: guadagnare la maggior quantità di denaro nel minor tempo possibile. Non nutrire, non avere cura, e nemmeno rimanere sano: semplicemente guadagnare più che puoi”.
                                   

Il labirinto alimentare

Per Filardi, fondatore anche del Museo della Fame (sotto il precetto che questa sofferenza di milioni di persone dovrebbe essere una questione del passato), i quattro punti fonfamentali del diritto al cibo in Argentina sono compromessi: disponibilità, accessibilità, adeguatezza e sostenibilità degli alimenti.

“Il primo elemento del diritto umano all'alimentazione adeguata è la disponibilità, ovvero che ci sia abbastanza cibo per soddisfare i bisogni alimentari dell’intera popolazione”, precisa. Questo elemento è già compromesso, in Argentina. Manca cioè la disponibilità di alcune tipologie di alimenti essenziali per avere un’alimentazione adeguata, conseguenza del fatto che l’intero modello produttivo si basa sulla produzione di poche commodities”.

La seconda cosa è l’accessibilità. Così lo spiega l'avvocato: “Non basta che ci sia il cibo, ma che questo cibo possa essere accessibile a tutte le persone. L’accessibilità è fisica, cioè il cibo può essere spostato da dove arriva o da dove è prodotto a dove si trovano le persone che hanno bisogno di consumarlo, e l’accessibilità è economica, il che significa che la possibilità di queste persone di accedere a quegli alimenti non deve mettere a rischio la soddisfazione di altre necessità altrettanto essenziali”.

L’accessibilità fisica è compromessa, principalmente, dalla concentrazione della popolazione nei centri urbani (oltre il 96%) lontani dalle aree produttive. In questo schema di lunghi percorsi via strada di alimenti, si verificano situazioni sorprendenti: come ad esempio la lattuga che deve percorrere 400 chilometri per raggiungere i fruttivendoli nelle città e nei paesi che potrebbero essere riforniti di lattuga nei propri cordoni periurbani. Va ricordato a questo punto che le famiglie produttrici di alimenti (si stima che il 70 per cento dei prodotti freschi provengano da quella provenienza) non sono, per la maggior parte, proprietarie delle terre che coltivano, sempre più concentrate in poche mani rurali che la destinano alla speculazione, più che ai pasti.

Il problema economico che compromette l’accesso al cibo ha a che fare con l’elevata inflazione dei prezzi in Argentina, ma anche con la struttura della catena produttiva a livello globale. L’economista e accademico inglese Raj Patel, autore di “Obesos y famélicos. L’impatto della globalizzazione sul sistema alimentare mondiale” (2008), sceglie la figura di una clessidra per illustrare questo squilibrio. Ci sono molti produttori alla base, molti consumatori al vertice e pochissimi attori nel mezzo (la parte più fina), che sono quelli che esercitano il potere maggiore nella filiera, pagando sempre meno i produttori e pretendendo sempre più dai consumatori, al fine di massimizzare il proprio margine di profitto. 

In viaggio da un estremo all'altro del paese

L’adeguamento alimentare ha tre aspetti da analizzare: adeguamento quantitativo, qualitativo e culturale. La quantità, come abbiamo già detto, è insufficiente. La qualità nutrizionale è stata danneggiata anche dal modello estrattivo, che in 40 anni si è consolidato nelle sue molteplici dimensioni fumigazione agrochimica, allevamento intensivo, fracking, mega-estrazione mineraria, deforestazione e altre varianti).

L’eredità menemista del modello Monsanto e suoi satelliti colloca l’Argentina in una pericolosa classifica mondiale, poiché è uno dei paesi con il più alto utilizzo di prodotti agrochimici pro capite. In totale, ogni anno vengono irrorati sulle piantagioni circa 600 milioni di litri di sostanze chimiche. “Ovunque ci troviamo, in campagna o in città, quando mangiamo questi alimenti, entrano nel nostro corpo e finiscono per farci ammalare, finiscono per generare malattie croniche non trasmissibili associate all’assunzione ogni giorno di questo veleno quotidiano”, avverte Filardi. 

Per quanto riguarda l'adeguamento culturale, aggiunge: “Di base, che il cibo corrisponda alle tradizioni culturali a cui apparteniamo come commensali, perché il cibo è identità ed è indissolubilmente legato alla nostra identità di popolo. Quell’identità viene minata, sistematicamente e strutturalmente dal marketing dell’industria alimentare ad alta concentrazione e così vengono devastate le gastronomie locali, i patrimoni gastronomici locali, nel perseguimento di un’uniformizzazione del modello alimentare”. 

Nel 2016 Filardi ha realizzato il suo “Viaggio per la sovranità alimentare”, che gli ha permesso di visitare più di 260 località del Paese percorrendo 50.000 chilometri. Da lì conclude che "già mangiamo nella stessa maniera da un capo all'altro del paese, da Quiaca a Ushuaia e Buenos Aires, rispetto a qualche anno fa". Lo schema ripetuto è “il crescente consumo di questi alimenti ultra-processati, il prodotto di punta di questo modello agroindustriale dominante”.

Con confezioni colorate sugli scaffali e un continuo bombardamento pubblicitario, l’industria agroalimentare ci propone “una produzione su larga scala di poche materie prime: granaglie, semi oleosi e cereali”, alla quale aggiunge “tutto lo zucchero che può e tutti gli additivi possibili per generare quell’illusione di diversità che troviamo negli ipermercati e che è associata a seri problemi di salute pubblica”. 
 

Corpi e territori malati

In Argentina, quattro ragazzi e ragazze su dieci, tra i 5 e i 17 anni, hanno problemi di sovrappeso o obesità. Tra la popolazione sotto i 5 anni la percentuale è pari al 13%. Tutto ciò affiora dall’Inchiesta Nazionale su Nutrizione e Salute, realizzata nel 2018-2019 dalla Segreteria Nazionale della Sanità.

Un altro rapporto, del 2018, la Quarta Inchiesta Nazionale sui Fattori di Rischio, afferma:

- che l'Argentina guida il consumo mondiale di bibite con 131 litri all'anno pro capite;
- che il consumo di frutta è diminuito del 41% e quello di verdura del 21% negli ultimi 20 anni; 
- che nello stesso periodo il consumo di bibite e succhi in polvere è raddoppiato; 
- che quasi 7 adulti su 10 (oltre i 18 anni) sono in sovrappeso od obesi.
 
“Abbiamo corpi le cui caratteristiche mostrano la disuguaglianza insita nella nostra società. I famosi ricchi magri, i poveri grassi, che sono grassi perché si riempiono delle cose più a buon mercato e massimo rendimento che possono trovare”, afferma Filardi. Le statistiche ufficiali per la prima metà del 2023 dicono che il 40% della popolazione argentina vive al di sotto della soglia di povertà e che il 9% è indigente. Il cibo adeguato, quindi, è inaccessibile perché “non te lo puoi permettere”.

Riguardo al terzo punto riferito all’accessibilità (la sostenibilità), l’avvocato sottolinea: “Il diritto a un’alimentazione adeguata richiede che i nostri figli e nipoti possano in futuro continuare a procurarsi e produrre cibo in questi territori. Questa possibilità è sempre più lontana ogni volta che questo modello agroindustriale dominante contamina acqua, aria e suolo: distrugge la fertilità della terra e dei boschi, delle foreste e delle zone umide dove abbiamo biodiversità, dove abbiamo la capacità di gestire l’acqua”.
 

La terra per chi alimenta 

Nel suo girovagare per il Paese, Filardi ha colto i tratti più crudi del modello agroalimentare e anche i tanti focolai di resistenza: “Ho visto drammi molto forti quando ho incontrato popoli sottoposti alle fumigazioni con agrochimici, ma ho visto anche popoli mobilitati contro tutto ciò, che non rimangono fermi, ma si organizzano, si mobilitano, si riuniscono, fanno epidemiologia popolare, cioè cominciano a vedere casa per casa quali sono le malattie che si manifestano. Si organizzano, resistono, si battono per  ordinanze che tengano lontani i veleni, fanno pressione sui funzionari pubblici locali, generano assemblee dove prevale la democrazia, dove si discutono in maniera assembleare i passi da seguire in difesa della vita su quel territorio”.

Queste assemblee comunitarie che si moltiplicano sulla mappa sono anche spazi di creazione, perché “non solo resistono all’avanzata dell’estrattivismo in tutte le sue sfaccettature (mega-mining, fracking, dighe, agrobusiness), ma costruiscono anche un’altra realtà, costruiscono altre relazioni sociali: "Si organizzano in maniera solidale in altro modo, né più né meno che in difesa del 'buen vivir' nei territori".

Da organizzazioni di base come l’Unione dei Lavoratori della Terra (UTT) sono nate proposte mirate alla democratizzazione dell’accesso all'alimento sano, sicuro e sovrano. Uno di questi, molto specifico, è la proliferazione di colonie agricole, che offrono radicamento rurale, produzione senza prodotti agrochimici e forniture a buon prezzo. 

Il quartiere “20 de Abril-Darío Santillán” è stato il primo inaugurato dall’UTT, nel 2015. Lì, a Jáuregui (Buenos Aires), Franz Ortega vive con la sua famiglia : “È stato un cambiamento totale in meglio, perché prima lavoravamo come se fossimo schiavi: non possedevamo la terra, non potevamo costruirci una casa, vivevamo in una casa di nylon, lavorando dall'alba al tramonto: anche donne e bambini lavoravano per pagare le forniture necessarie alla produzione, poiché a quei tempi usavamo prodotti agrochimici, a un prezzo in dollari”.

Sono 50 le famiglie, distribuite su 84 ettari. I terreni in cui vivono e producono sono stati ceduti in uso all'Agenzia per l'Amministrazione dei Beni dello Stato (AABE). Hanno davanti a sé 14 anni di prestito, il che dà loro una prospettiva per il futuro, a differenza della maggior parte delle famiglie di produttori del paese che sono soggette al rinnovo dell'affitto ogni stagione. 

Franz non è un funzionario, ma dalla sua esperienza rurale ci fa capire alcune urgenze degli stomaci argentini: “Quando si parla di 'lotta contro la fame', dovrebbero avere più voce in capitolo colonie come questa, per esempio. Ci sono 50 ettari di produzione di ortaggi, quindi tutti i vicini possono accedere agli ortaggi a un prezzo equo. Ma se non danno la terra a chi vuole lavorare, non ci sarà cibo. C’è anche tanta soia e questo non aiuta”.

Come superare una crisi alimentare con ricette contadine economiche? Franz: “Grazie a Dio abbiamo imparato a coltivare il nostro cibo, non ci manca nulla. Potrebbe esserci una crisi, ma abbiamo già i nostri saperi, per cui produciamo verdure, lattuga, alimenti. Abbiamo anche galline, carne, una mucca. Compriamo un po' di zucchero, queste cose, ma non molto altro, perché abbiamo sempre l'orto. Mi rattrista che ci siano persone che soffrono nei quartieri-miseria. Tutto si compra, non sanno produrre niente, nemmeno un po' di lattuga. Questa gente soffre davvero la fame quando mancano i soldi per comprare. Per fortuna a noi, per quanto poveri siamo, ci mancheranno i vestiti e tutte queste cose, ma il cibo non ci verrà mai a mancare”.

Filardi sottolinea che la Rete delle Cattedre Libere di Sovranità Ambientale (CaLiSAs) compie quest'anno vent'anni, la metà dell'età della democrazia argentina. La nascita è stata a La Plata, nel 2003, e attualmente sono 60 gli spazi di formazione e discussione in diversi territori. Tra gli obiettivi attuali c'è il lancio del secondo “Rapporto Annuale sulla Situazione della Sovranità Alimentare in Argentina (IASSAA)”.

Che visione ha la Rete CaLiSAs dell’anniversario democratico? “Ci siamo impegnati collettivamente a discutere la situazione del nostro sistema alimentare in questi 40 anni di democrazia e - soprattutto - quali proposte possiamo realizzare collettivamente insieme alle organizzazioni contadine e ai movimenti sociali per democratizzare il nostro sistema alimentare”. Forse in un tempo non troppo lontano, l’idea che “con la democrazia si mangia” potrà tornare ad essere portatrice di speranza.
 

- Originale   in spagnolo su   

* Articolo prodotto con una collaborazione tra ANRed, Ancap, Citríca e Agencia Tierra Viva nella Giornata dei Diritti Umani.
** Foto: Vicky Cuomo (copertina), Federico Imas (1-2-3), Rodrigo Ruiz (4).
*** Traduzione Giorgio Tinelli per Ecor.Network


 

11 dicembre 2023 (pubblicato qui il 19 dicembre 2023)