Voci e storie dalla Sesta Assemblea Nazionale per l'Acqua e la Vita, in Messico, dove comunità indigene di tutto il paese e organizzazioni sociali hanno condiviso la loro resistenza e le loro vittorie contro l'estrattivismo. Si discute del ruolo delle multinazionali, dei piani infrastrutturali statali che ignorano la vita di questi territori e dei progressi compiuti dalle comunità indigene.
A Loma de Bácum, una comunità situata nello stato di Sonora, nel Messico nord-orientale, il caldo arido del deserto fa vibrare l'orizzonte. L'aria brucia, eppure, qualcosa nel paesaggio sembra tranquillo. In questa terra, i fiumi sono secchi, trasformati in profonde fenditure che solcano il terreno come se fossero vene intorpidite. Ma non sono scomparsi: il fiume Yaqui è ancora vivo, la sua presenza si avverte nella vegetazione che ne segna il corso e nei ricordi di chi cammina su queste terre. Il deserto non è vuoto: è un corpo che custodisce la memoria.
Ogni sentiero, ogni centimetro di sabbia, ogni cespuglio sembra sussurrare storie non scritte. L'identità del popolo Yaqui si legge nella maniera con cui viene denominato il fiume omonimo: non come un passato perduto, ma come un presente vivo. Ascoltare questo territorio significa anche ascoltare l'acqua che ancora scorre e segna il corso delle loro vite. La Sesta Assemblea Nazionale per l'Acqua e
la Vita (Anavi) si è tenuta il 18 e 19 ottobre scorso nella comunità di Loma de Bácum, in territorio yaqui. Sotto una semplice struttura dove, tra il sole e la parola, hanno avuto luogo gruppi di lavoro, assemblee plenarie e focolari.
Convocata dal Congresso Nazionale Indigeno, dal Consiglio Indigeno di Governo e dall'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), ha riunito comunità provenienti da tutto il Messico – Yaquis, Rarámuris, Mixes, Tzeltales, Nahuas, Mazatecos, Purépechas, Otomíes, Totonacos, Ñuu Savi –, organizzazioni e collettivi di 17 stati, insieme a compagne/i di America ed Europa, che hanno condiviso denunce, esperienze e strategie di lotta contro i progetti estrattivi che li privano del loro territorio.
"Se non c'è acqua, non c'è semina. Se non c'è acqua, non c'è vita"
La voce di Higinio Ochoa, membro del Consiglio dell'Acqua dell'Eroico Popolo di Loma de Bácum, risuonava con particolare chiarezza. La sua testimonianza racchiudeva decenni di lotta. Ha ricordato come, nel 2016, la sua comunità fosse riuscita a bloccare il gasdotto della società Infraestructura Energética Nova (IEnova), una filiale della società americana Sempra Energy, che intendeva attraversare il territorio senza il loro consenso. "Questa terra ha chi la difende", ha affermato.
Ma ora la minaccia è diversa: l'acqua. Higinio ha spiegato che il cosiddetto "Piano Giustizia Yaqui", promosso durante l'amministrazione di Andrés Manuel López Obrador come forma di riparazione storica, ha portato nuove tensioni nel territorio. Erano già riusciti a bloccare il gasdotto, ma ora il problema è il fiume Yaqui. Il suo corso si è gradualmente prosciugato a causa delle dighe costruite a monte – tre in totale: Álvaro Obregón, nota come Oviáchic; Plutarco Elías Calles, o El Novillo; e La Angostura – che trattengono l'acqua comune che dovrebbe rifornire le comunità. Sebbene il governo nazionale – ora guidato da Claudia Sheinbaum, membro del partito Morena di López Obrador – abbia promesso di garantire l'approvvigionamento idrico attraverso un acquedotto e la creazione del nuovo Distretto d'irrigazione 018, entrambi i progetti sono stati abbandonati.
"Molti stanno subendo l'espropriazione dei propri fratelli e sorelle, tutto in cambio di un assegno", ha denunciato Ochoa, spiegando che il decreto emesso da Lázaro Cárdenas - presidente messicano dal 1934 al 1940 - che riconosceva alla tribù la proprietà del
50% del flusso del fiume, è stato modificato. Ora, il popolo Yaqui dipende da una concessione e da una nuova agenzia federale: la Commissione per l'Acqua Jiaki. Ciononostante, mantengono il controllo sulla risorsa e garantiscono la distribuzione gratuita per la comunità.
Tuttavia, ogni tanto, un camion della Commissione Nazionale dell'Acqua (Conagua) deve fare il giro delle case e riempire i serbatoi per le famiglie. A Loma de Bácum, l'acqua non scorre nei canali, ma si aspetta sotto il sole. "L'acqua non appartiene a Conagua, appartiene al popolo", ha dichiarato Higinio, e la sua affermazione suonava come una dichiarazione solenne.
Di fronte all'assenza dello Stato, la popolazione ha deciso di organizzarsi. Con un accordo assembleare, ha costituito il Consiglio dell'Acqua, un organismo autonomo responsabile della pulizia dei vecchi canali, della riparazione delle infrastrutture abbandonate e della fornitura di acqua per la coltivazione di colture agroecologiche. "Se non c'è acqua, non si semina. Se non c'è acqua, non c'è vita", ha riassunto Higinio. Il lavoro è collettivo, sostenuto dalle proprie risorse e con il supporto dei produttori locali. "L'acqua è nelle nostre mani", ha affermato, "faremo rivivere il fiume Yaqui".
Organizzazione dell'acqua contro le multinazionali
La promessa del portavoce del popolo Yaqui non suona come uno slogan, ma come un impegno. La sua voce ha una chiarezza che attraversa generazioni: "Popoli del mondo, dobbiamo alzare la voce. Questo sarà per coloro che verranno dopo di noi". Sotto il sole del deserto, si sono intrecciate altre storie di sconfitte e resistenza. Sparizioni, procedimenti legali, inquinamento e una certezza condivisa: difendere l'acqua significa difendere la vita. E anche una convinzione comune: i megaprogetti non portano vita, ma depredazione.
Le voci denunciavano che dietro i piani di "giustizia" e "progresso" promossi dal governo Sheinbaum e sostenuti dall'ex presidente López Obrador si celano nuove strategie statali per dividere le comunità e aprire la strada a gasdotti, miniere e progetti che prosciugano i fiumi e avvelenano il territorio. Si è parlato del cosiddetto "Plan México", presentato dal presidente a ottobre di fronte agli imprenditori del World Economic Forum, e lo si è definito "un macchinario che trasforma il paese in una fabbrica tossica al servizio del capitale".
Le voci hanno anche indicato i veri responsabili. Ogni oratore ha nominato le aziende che hanno fatto dell'acqua un business e del territorio una ferita: Constellation Brands, Bonafont-Danone, Nestlé, Coca-Cola, Grupo México, Minera del Occidente del Pacífico, Grupo VAZ, Fisterra Energy e Abengoa, tra le altre. È stata denunciata la complicità di tutti e tre i livelli di governo e di istituzioni come la
Commissione Nazionale dell'Acqua (Conagua), la Segreteria dell'Ambiente e delle Risorse Naturali (SEMARNAT) e la Procura Federale per la Protezione Ambientale (PROFEPA): queste istituzioni, attraverso i loro permessi e le loro omissioni, hanno permesso la privatizzazione dell'acqua.
Tra queste voci c'era anche quella di Faustina, una donna Nahua dello stato di Puebla. "Dobbiamo continuare a partecipare e a organizzarci affinché il governo e le aziende non proseguano con tutto questo. "Questo non finisce qui, questo continua", ha affermato la donna che ha partecipato all'organizzazione Pueblos Unidos nella regione di Cholulteca, che nel 2021 riuscì a chiudere l'impianto idrico Bonafont-Danone a causa dello sfruttamento eccessivo delle risorse idriche. E ancora resistono al suo reinsediamento.
Dalla Bassa California, nel nord del Messico, anche Silvia è venuta per parlare di acqua, ma come frontiera e lotta. Ha ricordato il movimento che, dopo tre anni di resistenza, è riuscito a espellere la Constellation Brands, un'azienda statunitense che produce birra, vino e liquori, dalla città di Mexicali. "Ci avevano detto che non ce l'avremmo fatta" - ha ricordato - "ma ce l'abbiamo fatta. È un esempio per tutti: è possibile sconfiggere un'impresa gigantesca". Ha ringraziato i movimenti che hanno aperto la strada e ha sostenuto che ogni vittoria è un messaggio per i popoli del Sud: "Fate sapere in Argentina e in tutto il continente che l'organizzazione può davvero sconfiggere il potere delle multinazionali. Che non siamo soli".
Prima di salutarci, ha lasciato un messaggio che ha risuonato in tutto il continente: "La cosa più bella che ho visto è la solidarietà, la fratellanza tra i popoli. È questa unità, questo amore tra i popoli, soprattutto con il popolo Mapuche, che ci dà forza. È l'abbraccio di cui abbiamo bisogno per continuare a lottare". Per i popoli, l'acqua non solo si difende, ma si onora. Custodisce la memoria della terra e la saggezza degli antenati. "Difendere l'acqua è difendere la vita", hanno insistito, e la frase ha echeggiato come una preghiera sotto il sole del deserto.
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* Foto: Stéphanie Malen
** Traduzione Giorgio Tinelli per Ecor.Network