*** Terza Parte ***

Europa, Guerra e Nocività/3L'approvvigionamento di gas, tra politiche energetico-economiche, estrattivismo, danni ecologici e legami con la guerra

di Piccoli Fuochi Vagabondi


IL RUOLO DI SNAM E IL PIANO MATTEI

È la volta di dare uno sguardo a Snam, che è il primo operatore europeo nelle infrastrutture per il trasporto del gas e che con il controllo di GNL Italia SpA è anche il principale operatore nazionale della rigassificazione del gas naturale liquefatto (GNL). La società,  che  punta sempre più ad internazionalizzarsi, sta puntando molto sull’estero. Assieme ad Enagàs e Fluxys nel 2018 ha acquisito il 66% della società greca Desfa, e quindi anche il controllo    del terminal di Revithoussa per l’importazione di GNL statunitense. Questa operazione si situava nel solco delle privatizzazioni imposte alla Grecia dalle politiche di “sostegno” della troika (BCE, FMI e Commissione europea) dopo la crisi economica. Cassa Depositi e Prestiti, società per azioni a controllo pubblico, il cui capitale è costituito dal denaro postale versato dai risparmiatori italiani, con la sua controllata CDP Reti SpA gestisce circa un terzo delle partecipazioni di Snam. Per cui alla fine sono anche i cittadini italiani, anche se contrari, a contribuire con i loro risparmi ai progetti economici, energetici, geo-politici e bellici che l’Unione Europea sta approntando.

Val la pena ricordare che Snam è anche azionista al 20% di TAP (Trans Adriatic Pipeline) che serve per trasportare su suolo italiano, per l’esattezza a Melendugno (Lecce), il gas dei giacimenti del Mar Caspio in arrivo dall'Azerbaigian. Il governo italiano prevede che il gas in arrivo tramite il TAP sia sempre di più, grazie al suo previsto raddoppio. Un progetto che è parte del piano neocoloniale del governo Meloni, il cosiddetto Piano Mattei per l’Africa e il Meditterraneo, che sulle orme del precedente governo di Mario Draghi prevede di far diventare la penisola italiana un grande hub energetico per mezzo dei flussi di gas in arrivo dall’Africa e dalla regione transcaucasica. Dopo gli accordi già stretti da Eni in Algeria, Congo, Nigeria, Egitto, Libia ed Etiopia alla presenza di Giorgia Meloni o di esponenti del suo governo, che prevedono l’estrazione dai giacimenti locali di gas da parte della società italiana e il successivo acquisto delle forniture di gas in cambio della promessa da parte dei governi africani di impedire la partenza di migranti verso l’Italia, gli accordi con l'Azerbaigian sono infatti centrali per il Piano Mattei.
 

IL TAP E L’AZERBAIGIAN

Il TAP inizia in prossimità di Kipoi, al confine tra Grecia e Turchia, attraversa Grecia settentrionale, Albania e Mar Adriatico fino ad arrivare sul litorale salentino a Melendugno, in Puglia, dove si connette alla rete italiana di trasporto del gas e poi al gasdotto Transmed, fino a Minerbio (BO). La capacità del Tap è al momento di circa 10 miliardi di metri cubi l'anno. Nel futuro il governo italiano vuole aumentarne gradualmente la capacità, raddoppiandola fino a 20 miliardi di metri cubi entro il 2027. Ma già nel corso del 2024 le importazioni dall’Azerbaigian sono aumentate a fronte della diminuzione di quelle dalla Libia (che arrivano col GreenStream a Gela), dall’Algeria (Mazzara del Vallo) e dal Nord Europa (in arrivo col Transitgas al Passo Gries, al confine con la Svizzera)8. Assieme alla quota di GNL in arrivo dagli Stati Uniti, anche il gas azero che passa per il TAP fa parte delle strategie che l’Europa ha in mente per garantire alle sue imprese, alla sue infrastrutture di trasporto e alle sue strutture militari l’approvvigionamento energetico di cui necessitano. Lo dimostra il fatto che a luglio 2022 la presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen, era volata nella capitale Baku per firmare col governo azero un memorandum d'intesa sul raddoppio del "Corridoio meridionale del gas".

La cosa che va fatta notare è che l'Azerbaigian da anni è in pessimi rapporti di vicinato con l'Armenia per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh, nel Caucaso meridionale. Nell’intera regione la Federazione Russa ha una forte influenza. Fino a pochi anni fa la Russia aveva privilegiato i rapporti con l'Armenia mentre l’Azerbaigian ha potuto contare sul sostegno della Turchia. Nonostante l'appoggio agli armeni, i russi sono però riusciti a mantenere buone relazioni anche con il governo azero per non intaccare i rapporti commerciali esistenti tra i due paesi, tra cui ovviamente c’è anche l'acquisto del gas che l'Azerbaigian importa in parte proprio dalla Russia. Insomma, alla fine chiusa una porta la Russia rispunta dalla finestra.
 

IL GAS DI EGITTO, CIPRO E ISRAELE (E IL RUOLO DELL’ENI)

Un altro Paese che ambisce a diventare hub energetico dell’intero Meditterraneo è l’Egitto, secondo produttore africano di gas naturale dopo l’Algeria. In una posizione privilegiata per l’accesso al Canale di Suez, in buoni rapporti con l’amministrazione statunitense e collegato ad Israele, Giordania e Siria tramite gasdotti già esistenti, l’Egitto è infatti anche un attore di primo piano nella liquefazione e vendita di GNL. Anche qui gli aspetti energetici sono collegati con quelli militari. A giugno 2022 la presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen, ha firmato un memorandum d’intesa tra Egitto, UE e Israele per agevolare l’aumento delle esportazioni di GNL verso l’Europa. Il gas israeliano arriva in Egitto tramite un gasdotto che lo collega ad Israele, il gasdotto Ashkelon – Al-Arish, alla cui realizzazione ha contribuito – guardacaso – anche l’italiana Snam, che ne è diventata socia nel 2021 con il 25% delle quote. In Egitto il gas israeliano viene successivamente liquefatto nei due impianti esistenti, a Idku (a est di Alessandria, gestito da Shell) e nella città portuale di Damietta (gestito da Eni) e poi trasportato via mare. Ma in conseguenza degli attacchi degli Huti yemeniti ai convogli marittimi, legato al massacro in corso a Gaza dall’ottobre 2023, il numero di metaniere GNL transitanti per il Mar Rosso era drasticamente diminuito. Le operazioni militari nel Meditterraneo da parte dei paesi della Nato sono diventate perciò determinanti per i mercati occidentali. Anche l’Italia ha grossi interessi da salvaguardare: dal canale di Suez transita il 40 per cento del Made in Italy, in particolare il 16 per cento delle esportazioni di olio di oliva e il 14% del pomodoro lavorato, per un valore di 6 miliardi di euro annui secondo Coldiretti. Inoltre nel 2022 l’Egitto è stato il nono fornitore nazionale di gas naturale e addirittura il quarto di GNL. Da notare che a differenza di Algeria e Libia, l’Egitto non è collegato all’Italia per mezzo di gasdotti, e quindi il traffico marittimo è essenziale, e questo è un altro dei motivi della partecipazione dell’Italia alle operazioni militari nel Mar Rosso dopo l’attacco del 7 ottobre 2023 di Hamas e la brutale risposta di Israele, che ad oggi ha comportato più di 50.000 morti e la distruzione di buona parte della Striscia di Gaza.

Per ovviare alla mancanza di un gasdotto che collega Egitto ed Europa, vi è da tempo il proposito di costruire l’EastMed-Poseidon, un mega-gasdotto per collegare i giacimenti del bacino del Meditterraneo del Levante (Cipro, Israele ed Egitto) ai mercati europei, tramite la Grecia e l’Italia: 1.900 km di tubi sottomarini per collegare il Levante con la Grecia e altri 216 km per collegare la Grecia all’Italia, con arrivo ad Otranto, in Puglia. Il progetto è supportato dalle autorità israeliane ed egiziane e da diversi soggetti europei anche italiani e permetterebbe all’Italia di importare ogni anno almeno 10 miliardi di metri cubi di gas, con la possibilità di estenderli a 20 miliardi.

Nel Mediterraneo orientale, a nord dell’Egitto, a sud di Cipro e ad ovest della Palestina, ci sono infatti alcuni dei giacimenti di gas più grandi mai scoperti: quelli egiziani, quelli controllati da Israele (Leviathan e Tamar), e quello nelle acque cipriote (Aphrodite, scoperto dall’italiana Saipem nel 2013). La zona è inoltre una delle più grandi aree per l’esplorazione.

Anche se attualmente il tratto di gasdotto dalla Grecia all’Italia (il Poseidon) non figura più tra i progetti inclusi tra le infrastrutture energetiche di interesse comunitario (PI), l’Europa ha incluso tra queste l’EstMed [la lista dei PIC è attualmente nella fase di rinnovo biennale, e il progetto EastMed è nuovamente candidato, NdR], ovvero il tratto che porta il gas dal Levante fino ad Alexandroupolis, in Grecia, città collegata  ad  un  sistema  di  gasdotti  gestiti dall’operatore greco Desfa, controllato al 66% da un consorzio guidato da Snam. I gasdotti di Alexandroupolis portano il gas a Grecia, Bulgaria, Romania, macedonia del Nord, Serbia, Moldavia, Ungheria, Slovacchia ed Ucraina. La città di Alessandropoli (in italiano) è un vero hub per l’Europa sudorientale e centrale, dove tra l’altro ad ottobre 2024 è anche entrato in funzione il rigassificatore dell’azienda Gastrade, collegato alla rete dei citati gasdotti e di cui Desfa possiede una quota del 20%. Il rigassificatore greco immette il gas anche nel Tran Adriatic Pipeline (TAP) che arriva in Puglia. Tutto ciò fa della Grecia un importante snodo nelle strategie energetiche della UE.

Il progetto dell’EstMed non è gradito però alla Turchia, che mira anch’essa a concorrere come hub del gas nella regione, con i suoi undici gasdotti collegati all’Europa. La Turchia ha una lunga storia di rapporti diplomatici molto tesi con lo Stato cipriota, per via dei giacimenti contesi nelle zone economiche esclusive (ZEE) tra i due Paesi. L’EastMed potrebbe essere insomma una fonte di conflitti in un’area del mondo che non ne ha certo bisogno.

Ritornando ad Eni, dal 2015 la società italiana estrae gas dal giacimento di Zohr in acque egiziane e nel 2018 ha scoperto l’ancor più grande giacimento di Noor nell’area di mare di fronte al Sinai del Nord. Ad ottobre 2023, assieme all’Israeliana Ratio Petroleum ad altre compagnie energetiche 9 si è aggiudicata anche diverse licenze dal governo israeliano per l’esplorazione di giacimenti nelle aree marine di fronte alla Striscia di Gaza, che appartengono di fatto alla Palestina. Le licenze di esplorazione hanno durata di tre anni ma possono essere estese fino a 7 anni 10.

Già a marzo 2023, durante una conferenza stampa tra il governo italiano presieduto da Giorgia Meloni, e quello israeliano, Netanyahu aveva detto che Israele stava per siglare l’accordo, quando la gara indetta per assegnare l’esplorazione era ancora in corso. Quando dalla fase di esplorazione si passerà a quella estrattiva, Eni potrà guadagnare dalla vendita di gas rubato alle popolazioni palestinesi, mentre Israele guadagnerà dalle royalties pagate da Eni per estrarre. Oggi il governo italiano è tra i più strenui difensori del governo di Israele, che sta commettendo il genocidio in corso a Gaza. Una degli  obiettivi  di  Israele  per  questo  massacro indiscriminato è quello di mettere le mani sui giacimenti che si trovano nelle acque palestinesi. Gli interessi di Eni e dell’Italia affinché ciò avvenga sono evidenti. I legami tra approvvigionamento di energia e guerra non possono essere più chiari. 
 

IL GALSI TRA ALGERIA E SARDEGNA

Un altro progetto fermo da tempo è quello del GALSI, acronimo di Gasdotto Algeria Sardegna Italia, il metanodotto che avrebbe dovuto portare nuovo gas algerino in Europa – circa 8 miliardi di metri cubi l’anno – passando per la Sardegna. Oggi c’è chi, alla luce della guerra in Ucraina e dell’interruzione dei flussi di gas dalla Russia, vorrebbe rilanciarlo. Ricordiamo che questo progetto prevedeva di partire dal porto di Koudiet Draouche, nel nord-est dell’Algeria (stazione di El- Kala) per giungere a Porto Botte, nel comune di Gilba, per poi attraversare tutta la Sardegna fino ad Olbia, con lo sventramento di tutta l’isola (tanto per dire, bisognerebbe superare 300 fiumi e deviarne una cinquantina). Infine ad Olbia sarebbe dovuto partire un metanodotto sottomarino fino alla località toscana di Piombino, dove si sarebbe collegato con la rete nazionale italiana. In tutto 830 km. Anche l’ex presidente francese Sarkozy aveva annunciato il proposito della Francia di collegare la Corsica al gasdotto GALSI. L’accordo tra Algeria ed Italia era stato concluso nel 2009 e la conclusione del progetto, del valore di 3 miliardi di dollari, era prevista per il 2012. Era stato costituito un consorzio composto dall’algerina Sonatrach, Edison, Enel, Sfirs (Regione Sardegna) e Gruppo Hera, a cui in seguito aveva aderito anche Snam. Poi la Regione Sardegna ha abbandonato. Il progetto allo stato attuale risulta fermo ma non è mai stato ufficialmente cancellato. Nell’estate 2024 la Sonatrach, assieme alla conterranea algerina Sonelgaz, hanno sottoscritto un accordo con Eni per rilanciarlo.
 

IL CONSUMO REALE DI GAS

A questo punto c’è sempre chi, arrivato a questo punto della lettura, obietta: non volete il gas, ma allora volete tornare alle candele? Questo è il frutto della disinformazione che c’è a proposito delle tematiche energetiche. La produzione nazionale italiana di gas si aggira sui 3 miliardi di metri cubi, a fronte delle importazioni che nel 2024 sono state di 61,6 miliardi di metri cubi. Grossomodo quanto il consumo interno lordo, che nello stesso anno è stato di 61,5 metri cubi di gas. Ovvero, consumiamo quanto importiamo. L'Italia è in grado di stoccare circa 12 miliardi di metri cubi di gas, oltre a 4,5 miliardi aggiuntivi che costituiscono la riserva strategica, per un totale di 16,5 miliardi di metri cubi11.

Il vero motivo dell’incremento delle importazioni di gas, che sia quello derivato da rigassificazione o quello che arriva da paesi come quello azero, non è la preoccupazione di dover ovviare al nostro fabbisogno energetico ma semmai quello di aumentare le esportazioni dell’Italia verso gli altri Paesi europei, come già abbiamo rilevato. Infatti, anche se attualmente l’Italia è uno dei maggiori consumatori di gas in Europa con circa 73 bmc l’anno, il consumo di gas metano in Italia è comunque diminuito negli ultimi anni rispetto ai picchi di consumo registrati negli anni 90 e nei primi 2000, sia per la fluttuazione dei costi che rendono il gas non vantaggioso rispetto ad altre fonti, ma anche per l’aumento delle quote di energia prodotta dalle cosiddette fonti alternative.

Anche per quanto riguarda il settore del GNL, se è vero che gli investimenti in questo campo stanno aumentando, è anche vero che i rigassificatori europei – per esempio quelli italiani – spesso viaggiano al 50% delle loro possibilità. In Europa si incentivano infrastrutture in eccesso per espandere i profitti delle compagnie, senza dare uno sguardo a quella che è la domanda presente e (soprattutto) futura. Lo squilibrio tra domanda e offerta potrebbe in futuro addirittura causare un abbassamento del prezzo che per gli esportatori di GNL significherebbe profitti più bassi del previsto, cosa che potrebbe generare persino una bolla finanziaria e dissesti societari.
 

LA DOMANDA DI ENERGIA

Il vero problema è la domanda di energia che cresce sempre di più invece di diminuire, come sarebbe necessario. I presupposti stessi del sistema capitalista si basano su un’iperbole di crescita infinita, a livello economico, industriale e tecnologico. Cementificazione e produzione industriale di massa, spesso di merce di veloce deperimento, hanno un impatto energetico e quindi ecologico devastante, solo per citare alcuni dei molteplici aspetti che rendono impossibile in un mondo così organizzato (e imposto) un decremento del fabbisogno globale. Ma ora la domanda di energia sta crescendo ad un ritmo vertiginoso, in un modo mai visto prima, con gli investimenti pubblici e privati che si stanno concentrando in produzioni energivore come il comparto hi-tech, il digitale, la robotica, i data center, l’automazione, la domotica, l’industria militare e l’aerospaziale.

Che l’uso di combustibili fossili stia distruggendo la possibilità di vita su questo pianeta è sotto gli occhi di molti, almeno di quanti vogliano guardare. L’innalzamento delle temperature dei mari e degli oceani negli ultimi anni ha comportato diversi disastri, che per evitare di guardare alle cause chiamiamo “naturali”. La Romagna con quattro alluvioni in 2 anni ha imparato cosa significa alterazione del clima. La pretesa onnipotenza dell’attività umana sul resto del vivente si sta dimostrando effimera, oltre che suicida. L’antropocene non segna il nostro acme come specie ma può segnare la nostra caduta.

Detto questo, la salvezza non potrà venire d’incanto da quella che viene chiamata transizione energetica, ovvero dall’uso di apparenti tecnologie “sostenibili” o dal ritorno del nucleare, come il governo italiano vorrebbe. L’approvazione di un disegno di legge da parte del governo Meloni con cui è stata creata una società pubblica composta da Enel, Ansaldo Enegia e Leonardo, che dovrebbe costruire i nuovi reattori raffreddati a piombo liquido a cominciare dal 2030, collaborando con la multinazionale europea Newcleo, sono un esempio di scellerata volontà di continuare sulla stessa strada suicida. La salvezza non verrà da queste tecnologie, non solo per le evidenti implicazioni di natura specificatamente tecnica (le terre rare che servono per le tecnologie alternative sono fonte di conflitti; le pericolosissime scorie nucleari rimangono attive migliaia di anni e quando non servono per produrre armi nucleari sono impossibili da smaltire; in caso di conflitto bellico i reattori possono diventare un bersaglio militare; incidenti come quelli occorsi a Cernobyl e Fukushima potrebbero causare una catastrofe radioattiva con durata pluriannuale) ma anche perché la vera questione è un’altra. Perché produrre sempre più energia?

Perchè produrre più energia? Per alimentare il sistema capitalista e l’insana produzione di merci sempre più inutili e scadenti – obsolescenza programmata, la chiamano – che in seguito si trasformeranno in oceani di rifiuti? Per continuare ad alimentare le infrastrutture di guerra e le industrie di armi che nutrono incessantemente i conflitti nel mondo e poi produrre altri strumenti di morte una volta svuotati i depositi, in un ciclo vizioso apparentemente senza fine?
Se vogliamo sopravvivere su questo pianeta dobbiamo produrre meno merci, consumare meno energia, depredare meno la terra e interrompere la catena delle guerre che gli Stati e i padroni forgiano incessantemente anche in tempo di supposta pace proprio per conquistare merci, energia e risorse naturali. Non saremo in grado di farlo, però, fino a che i governi schiavi delle multinazionali, delle compagnie energetiche e dell’industria militare detteranno la loro legge.
 

IL RUOLO DEGLI STATI NAZIONALI

I governi occidentali sono in piena crisi di legittimità. Parte della popolazione non si fida più delle promesse dei politici, giustamente. Mentre l’Unione Europea si appresta a spendere 800 miliardi di euro per il suo riarmo attraverso il “ReArm EU Plan” e i gestori energetici e le aziende belliche quotate in borsa come Leonardo vedono volare i loro superprofitti, l’impoverimento generale causato dall’indebitamento pubblico e dai tagli a sanità e spesa sociale per finanziare le grandi opere, i rigassificatori e l’acquisto di armi – e dunque le future guerre – sta generando inevitabilmente insoddisfazione che potrebbe esplodere in forme conflittuali. Si trovano i soldi per le armi, non si trovano mai per la messa in sicurezza dei territori colpiti dalle alluvioni e dai terremoti e per i danni subiti dalle popolazioni. Non un euro è giunto, per fare un esempio, degli 1,2 miliardi del Pnrr promessi da Von Der Leyen e struttura commissariale per le persone alluvionate dell’Emilia-Romagna. In uno scenario del genere anche le scelte in materia energetica dei governi – come l’acquisto a prezzo maggiorato del GNL statunitense – potrebbero essere suscettibili di contestazione, perché giudicate responsabili degli aumenti di prezzi e bollette.

Questa possibilità è stata attentamente vagliata dal governo. Nel decreto-legge sicurezza (ma sarebbe più consono chiamarlo decreto repressione) approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 aprile 2025 [e diventato Legge il 4 giugno, NdR], e che ha assorbito il Ddl ex 1660, oltre alle maggiori tutele e poteri per le forze di polizia e i servizi segreti e ad una repressione sfrenata contro chi protesta, per esempio inasprendo il reato per il blocco stradale, è stata prevista un’apposita aggravante per i reati commessi partecipando alle mobilitazioni contro “infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi”, come possono essere appunto il Tav, il Ponte sullo Stretto e impianti energetici come i rigassificatori, gli impianti per il trattamento di GNL e i gasdotti, ma anche le centrali nucleari. La stessa cosa accade in altri Paesi europei, dove ormai manifestare contro le fonti fossili, contro la guerra o per la Palestina è sempre più difficile.

Ordine poliziesco e opzione militare, guerra interna e guerra esterna, sono sempre più connessi. In questa fase storica lo Stato sta rinunciando molto velocemente ai travestimenti democratici, abolendo le residue e presunte forme di tutela sociale, per accentuare il suo ruolo di poliziotto, di guardia privata e di secondino, a maggiore garanzia degli interessi dei mercati e degli accordi delle compagnie private.

Non sarà un caso se a Marina di Ravenna il 29 novembre 2024 il prefetto ha tenuto un’esercitazione, con tanto di carabinieri, polizia, guardia di finanza, reparto operativo aeronavale, capitaneria di porto, vigili del fuoco e 118, all’interno e all’esterno degli impianti di Eni per testare la risposta ad un fantomatico rischio di attacco da parte di manifestanti ambientalisti che irrompevano nello stabilimento per prendere in ostaggio i dipendenti Eni. Una esercitazione eseguita in maniera identica a Gela il 6 novembre. Lo scenario, spiegava il comunicato della Prefettura di Ravenna, era quello di una manifestazione pacifica “nel corso della quale subentra una frangia di infiltrati ostili che eludendo la vigilanza privata hanno fatto irruzione nel centro direzionale; alcuni si sono arrampicati su un traliccio affiggendo striscioni e rifiutandosi di scendere; altri invece si sono barricati all’interno di una palazzina dove hanno preso in ostaggio alcuni dipendenti per sabotare gli impianti”. Ovviamente i “buoni” alla fine sono riusciti a catturare i “cattivi”. Che queste esercitazioni rientrassero nelle prove per criminalizzare il dissenso e restringere la libertà di manifestazione, in vista dell’approvazione della nuova legge repressiva – l’ex DDL 1660, poi trasformato dal governo Meloni in decreto-legge per velocizzare la sua approvazione – non ne dubitiamo.

 (3. Continua)

    Tratto da Piccoli Fuochi Vagabondi.

 

 

 

 


Note:

 8) https://www.startmag.it/energia/importazioni-gas-italia-2024/
 9) Si tratta dell’Israeliana NewMed Energy, delle britanniche Bp e Dana Petroleum e della compagnia statale azera, la Socar, con cui Eni ha una lunga tradizione di rapporti.
10) Per l’implicazione di Eni nell’esplorazione del giacimento al largo di Gaza vedi: www.lifegate.it/eni-gas-gaza
11) https://www.startmag.it/energia/importazioni-gas-italia-2024/


 

23 giugno 2025 (pubblicato qui il 29 giugno 2025)