Transizioni contestate
Negli ultimi anni, dai vertici del potere mondiale, si è consolidato il discorso della “transizione energetica” come un nuovo conglomerato ideologico, tecnologico e politico che apre la strada a una nuova offensiva estrattivista nel Sud del mondo. Sotto la retorica della defossilizzazione, l’obiettivo è legittimare l’intensificazione della vecchia matrice coloniale di scambio ecologico ineguale. Lungi dall’essere una “preoccupazione climatica”, questa “transizione energetica” dall’alto ignora le vere radici della crisi climatica e la reale dimensione dei suoi effetti. Il suo interesse si concentra sui tassi di redditività. Questo discorso si scontra con le lotte anti-estrattiviste portate avanti dalle comunità che difendono i territori in cui vivono. Queste lotte indicano che non siamo solo di fronte all’esaurimento delle fonti energetiche, ma anche all’insostenibilità del regime estrattivista del capitale.
Come fenomeno politico, l’estrattivismo si riferisce a un modello di potere che ha le sue origini nell’invasione, conquista e colonizzazione dell’entità “America”. Lo sfruttamento e il saccheggio dei suoi territori e dei suoi popoli hanno dato origine all’articolazione storico-strutturale tra estrattivismo, colonialismo e capitalismo. L’accumulazione incessante di valore astratto richiede l’espropriazione sistematica e lo sfruttamento crescente di territori/popolazioni costituiti come mere zone di sacrificio, di fornitura di materia ed energia (compreso il lavoro umano) per i centri imperiali.
L’estrattivismo comporta il consumo predatorio di energie vitali per alimentare la ruota incessante della produzione e del consumo ineguale di beni. Sull’appropriazione oligarchica della terra si instaura un circuito perverso di trasformazione sistematica degli esseri viventi in risorse commerciabili, che devia sistematicamente i flussi idroenergetici dagli usi sociali e dai valori di (ri)produzione della vita, verso il mondo delle insaziabili ambizioni finanziarie. La crisi climatica non è la crisi dei “combustibili fossili”. È l’espressione della crisi terminale di un modello di civiltà fondato sulla depredazione estrattivista dei flussi idroenergetici che fanno della Terra un pianeta vivente. Di fronte a un simile scenario, le lotte anti-estrattiviste sono concepite come condizione e punto di partenza per pensare la transizione come una grande migrazione di civiltà verso modelli radicalmente diversi di società e di produzione sociale della vita in comune. Alla falsa soluzione della “transizione energetica” dall’alto, qui proponiamo di esplorare e valorizzare le transizioni socio-ecologiche dal basso.
Colombia: territori da una prospettiva ecofemminista
La Colombia è oggi l’epicentro di un’intensa lotta popolare contro l’estrattivismo. Negli ultimi anni, una serie di consultazioni popolari ha permesso di fermare diversi progetti. Le mobilitazioni contro i progetti minerari, petroliferi e di fracking hanno consentito molteplici articolazioni intersettoriali. La Mesa Social Minero Energética y la Alianza Colombia Libre del Fracking – emblematiche nell’articolazione tra movimenti ambientalisti, comunità indigene e contadine e il sindacato dei lavoratori – sono state fondamentali per fermare il
fracking. In questi processi è opportuno sottolineare la centralità delle donne. Sono vitali per mantenere la biodiversità e le economie diversificate come base dell’autosostentamento e dell’autonomia politica dei territori. Hanno un ruolo fondamentale come portatori ed educatori di saperi ancestrali sui territori: i cicli della natura, dell'acqua, della luna e le loro connessioni con i ritmi dell'agricoltura, della zootecnia, i cicli dei corpi; la conoscenza della medicina tradizionale e della salute collettiva. C’è anche la fermezza critica delle donne nelle lotte antiestrattiviste. La loro sensibilità e posizione forniscono un approccio anticoloniale e anti-patriarcale che mette fondamentalmente in discussione la violenza che l’estrattivismo comporta sui territori e tra le persone. Mettono al centro dei processi politici di re-esistenza la necessità di recuperare e prendersi cura dei vincoli che si sono spezzati con la natura e all’interno delle comunità.
Dalla resistenza emerge una costruzione collettiva di alternative, come i casi delle donne wajú e afro-colombiane a la Guajira, coinvolte in processi di bonifica e transizione verso territori più sani; le donne del Magdalena Medio e del Cauca che, provenienti da regioni schiacciate dalle monocolture, percorrono le vie delle transizioni agroecologiche. Pensiamo quindi all'energia da una prospettiva molteplice, legata alla diversità di dimensioni e aspetti della vita in generale. Le transizioni non implicano solo un cambiamento nelle fonti energetiche, ma una ridefinizione complessiva delle nostre società. Ciò non è compito per "esperti", ma per comunità che sono quelle che devono ricostruire i legami e le dinamiche della vita collettiva, gestendo le energie secondo paradigmi di giustizia e sostenibilità interdipendente.
Significato e orizzonte delle transizioni post-estrattiviste
In un mondo in crisi, le lotte anti-estrattiviste mettono in discussione i significati che si pretende di imporre alle transizioni. Le transizioni ecologiche post-estrattiviste si oppongono all’agenda neocoloniale della “transizione energetica” che si pretende di imporre dal Nord del mondo. Si oppongono anche alla colonialità delle élite dominanti nei nostri paesi. La transizione post-estrattiva non è solo una critica alle principali economie di esportazione con percorsi di sviluppo industriale. Non si tratta di spostarsi da un lato/emisfero all’altro, anche ammesso che ciò sia possibile. Più che un nuovo tipo di via di sviluppo industriale, si cerca un cambiamento globale del sistema di accumulazione capitalista, coloniale, patriarcale ed eurocentrico. E l’industrialismo è anche un’altra versione dello stesso
sistema. Le transizioni a cui miriamo non hanno nulla a che fare con la transizione verso modelli di business verde. Il Green New Deal americano, così come il programma europeo Next Generation, fanno del cambiamento climatico una nuova opportunità di redditività e di recupero di competitività per le loro economie.
Una transizione post-estrattivista non mira solo a una società “decarbonizzata”. L’idea di sostenere la stessa economia (la sua logica, le sue regole e i suoi obiettivi), ma ora basata s'una presunta “energia pulita”, è un miraggio ideologico che ha l’effetto di ridurre l’orizzonte politico della trasformazione. Se l’estrattivismo è un regime di potere sul tessuto della vita, quello che cerchiamo è un cambiamento dell’intero sistema della vita, nei modi di intendere la ricchezza, il territorio, l’energia e i processi vitali. È un grande passo verso un altro paradigma epistemico e politico: ricreare i nostri modi di essere sulla Terra e con la Madre Terra.
Dall'individualismo competitivo al comunalismo cooperativo
La nostra epoca si presenta come un momento critico nella vita della Terra e dentro di essa. È un mondo, un regime climatico e uno stato geologico del pianeta totalmente nuovo. Il Capitalocene è innescato dall’estrattivismo, dal geometabolismo del capitale. Il problema non è solo la dipendenza dai fossili dell’economia di accumulazione: è l'accumulazione come definizione del senso e dell'orizzonte dell'esistenza. Una matrice energetica non si definisce solo per la tipologia della fonte primaria: è un’equazione di potere e un regime di relazioni sociali. Non implica solo che tipo di energia utilizziamo per muovere il sistema di macchine e oggetti, ma anche che tipo di energie politiche e motivazionali muovono il sistema dei soggetti.
Al di là della tossicità manifesta degli idrocarburi bruciati a dismisura, dobbiamo identificare la tossicità primaria del modello di soggettività che determina questa dismisura. L’ambizione, l’avidità, l'arroganza e l’atteggiamento di conquista permanente sono ciò che ha plasmato il prototipo della moderna soggettività egemonica. L’abitudine alla conquista – di uomini bianchi, violenti, ultra-individualisti e competitivi, disposti a conquistare il mondo e ad inghiottirlo con totale disprezzo per il resto della vita – è il modello di soggettività che sta alla base della “matrice energetica” del mondo coloniale-moderno-contemporaneo. Non si tratta solo di cambiare le fonti energetiche ma la matrice politica delle energie che costituiscono i modi di concepire, essere e relazionarsi nel e con il mondo della vita terrestre nella sua interezza. La crisi di civiltà rientra nella gestione coloniale-capitalista-patriarcale del mondo. Il regime si appropria sistematicamente dei flussi idro-energetici, deviandoli dalla (ri)produzione della vita, verso il circuito necroeconomico della mercificazione. La mercificazione, piuttosto che la carbonizzazione, è ciò che sta soffocando la Terra.
Le lotte anti-estrattiviste sono un campo di apprendimento politico e di gestazione dei soggetti storici del cambiamento. Tutelare i territori come spazi di vita è la modalità delle transizioni dal basso che sono in marcia. Le lotte in difesa dei territori come rifugi di vita creano nuove soggettività, socialità, sensibilità e saperi profondamente impegnati nella valorizzazione, educazione e cura della vita, la base materiale e spirituale di una nuova matrice energetica e di un nuovo regime geometabolico. Queste lotte ci insegnano che la sostenibilità energetica è un compito di rigenerazione delle comunità di vita, dei vincoli e flussi di interdipendenza degli esseri umani con il territorio e degli esseri umani tra loro. Sono sfide e costruzioni collettive, non di “esperti” individuali, né di cambiamenti che possono essere imposti dall’alto. Per produrre trasformazioni importanti e nel senso che intendiamo, i cambiamenti,
le transizioni devono essere create da una dimensione comune, dal basso e dall’interno.
Ma non c’è sostenibilità senza giustizia. E non c’è giustizia senza comunalità e con-fraternità. La comunità della vita umana non è un fatto biologico, è una costruzione politica. Se vogliamo sopravvivere in questa nuova Era, ci dobbiamo confrontare con la sfida di re-imparare e re-imprendere i percorsi della convivenza, della cooperazione sociale, il che implica abbandonare il cammino “civilizzatore”, immerso nella logica della guerra perpetua e della competizione cieca, fino alla morte, al quale siamo stati portati. Non c’è transizione energetica senza una pedagogia politica che “insegni” a costruire comunità e a vivere insieme fraternamente. La con-fraternità (intraspecifica, ma anche inter-specie) non è una componente “ideologica” né un “mandato moralistico”: è una condizione materiale di vita. La comunità non è un'entità romantica: implica un’energia sociale regolata dalla vita e per la vita. Implica una matrice di relazionalità circolare, di flussi energetici ordinati in funzione di criteri di reciprocità, interdipendenza, mutualità, impegno collettivo. In breve, una matrice di doveri e piaceri equamente condivisi.
Se la specie umana ha possibilità di futuro, quelle possibilità, quella speranza sono riposte nella misura in cui un comunalismo cooperativo può superare la logica dell’individualismo competitivo. Non abbiamo solo bisogno di lasciare il petrolio nel terreno. Abbiamo bisogno di emozionarci davanti alla meravigliosa complessità della vita della Terra, nella Terra e con la Terra: corpi senzienti e coscienti in una grande comunità di comunità di con-viventi.
* Originale in Spagnolo
su Biodiversidad, sustento y culturas, Numero 118 ottobre 2023
** Horacio Machado Aráoz es investigador del Colectivo de Ecología Política del Sur (Argentina)
** Traduzione di Giorgio Tinelli per Ecor.Network