*** Seconda parte ***

La guerra per le risorse, la pacificazione e lo spettacolo dello sviluppo "verde": Logiche di violenza nell'estrazione mineraria nel sud del Madagascar

di AmberHuff e Yvonne Orengo

4. Dalla contestazione dei confini alla frontiera degli investimenti verdi

A partire per lo meno dal periodo dinastico precoloniale del XVI secolo, e attraverso i successivi regimi di dominio, le foreste hanno occupato uno spazio ambiguo nell'immaginario elitario del Madagascar, nello stesso tempo come riserve di valore e come potenziali minacce all'ordine. La permanenza nella foresta e la coltivazione itinerante sono state correttamente considerate dalle élite pre-coloniali non solo come parte integrante dell'autonomia e del sostentamento dei contadini, ma anche come mezzi di resistenza all'autorità e al controllo extra-locale (Kull, 2002b; Raik, 2007). Rispecchiando le enclosure dei comuni in Europa all'inizio del XIX secolo (Perelman, 2001, 2007), il re Merina Andrianampoinimerina (1745-1810) vietò il taglio della legna da ardere, dichiarò tutte le foreste del Madagascar di proprietà reale e proibì alla gente di riunirsi nelle foreste per "forgiare clandestinamente armi" per evitare che "preparassero una ribellione"(Raik, 2007, pp. 5–6).

Tale atto di enclosure ha reso le foreste uno "spazio nazionale" e ha posto le basi per l'emarginazione sistematica delle comunità legate alla foresta in Madagascar da parte dello "stato" in diversi modi (Watts and Peluso, 2014). A ciò ha fatto seguito, a metà dell'Ottocento, una legislazione sempre più escludente che ha criminalizzato l'insediamento nelle foreste, le coltivazioni forestali e i roghi periodici, una tecnica utilizzata ancora oggi dai piccoli proprietari terrieri nella gestione dei boschi, nella preparazione dei campi, per il controllo dei parassiti e per la gestione degli incendi, ma anche in atti di protesta e di resistenza (Kull, 2002b; Raik, 2007).

Queste politiche sono importanti in quanto rafforzano e legittimano una serie di potenti narrazioni che collegano le idee sulla razza, la legittimità politica e il cambiamento ambientale nel periodo pre-coloniale in Madagascar e sono iscritte nella ragione fondante dello stesso stato malgascio.1 Quanto alla legittimità razziale e politica, sono associate all'intreccio di lotte territoriali tra dinastie pre-coloniali rivali, divisioni di casta endogene e concetti gerarchici di differenze di razza che nel periodo pre-coloniale sono arrivate nelle sale reali di Imerina con gli intellettuali e i missionari europei. In particolare, la London Missionary Society (LMS) ha avuto un ruolo fondamentale nel cementare la base di potere della monarchia di Merina, apparentemente "di razza" superiore, insediata negli altipiani centrali nel periodo precoloniale, così come nell'accrescere le tensioni tra Merina e gli altri (spesso chiamati semplicemente cotiers) tra gli anni Sessanta del XIX secolo e gli anni Novanta del XIX. Tali dinamiche hanno significativamente plasmato la lente attraverso la quale la società e le gerarchie politiche malgasce sono state interpretate e rappresentate nelle prime storie orali trascritte e tradotte degli altipiani (Corson, 2016, p. 35). In seguito, sono diventate la base delle storie egemoniche "ufficiali" dell’intero Madagascar.

Il collegamento tra le idee di legittimità di razza e di stato e la comprensione delle trasformazioni ambientali è legato a un insieme parallelo di idee che danno forma a storie "ufficiali" e che si intersecano con le tendenze di governance sopra descritte. Tra queste, emerge una profonda comprensione della storia socio-naturale del Madagascar resa popolare dai naturalisti europei che viaggiarono nel XIX secolo e all'inizio del XX secolo. Secondo quanto riportato, prima dell'insediamento umano 2, dense foreste piene di fantastiche creature coprivano l'intera isola del Madagascar, ma sono state in seguito distrutte da tagli dei boschi e roghi ad opera di contadini impoveriti, irrazionali, distruttivi e sempre più numerosi (Huff, 2012, 2017; Salmona et al., 2017; si veda anche; Humbert, 1927; Perrier de la Bâthie, 1921; Raik, 2007). Nel periodo coloniale francese, questo "mito del degrado" (Kull, 2002a)ha portato all'istituzionalizzazione di una narrazione autorevole dell'insicurezza ambientale in cui si intersecano razza, classe, genere e rapporti tra ambiente e società. Questa narrazione ha in parte legittimato la continuazione dell'enclosure delle foreste, il lavoro forzato, la guerra biologica e altre efferatezze sotto il dominio francese (Jarosz, 2003; Kaufmann, 2001; Middleton, 1999). Rakotondrabe (1993) collega queste dinamiche ai dibattiti politici dominanti in Madagascar che continuano a giustificare le grandi disparità di potere e di ricchezza tra i popoli e le regioni geografiche malgasce di oggi.

In questa sitzkrieg ecologica ("guerra lenta"), che continua ad avere una forte influenza nella politica ambientale e di sviluppo contemporanea, le forme di valore d'élite rappresentate dalle foreste, dalle terre e dai terreni malgasci sono considerate sotto assalto crescente degli agricoltori di sussistenza e dei pastori nomadi (Diamond, 1989; Huff, 2017). I contadini malgasci sono considerati come gli ultimi arrivati sull'isola, spesso con termini e immaginario usati per degli invasori, che si impongono su ecologie fragili, refrattarie al dominio, armate di tecnologie produttive primitive e pericolose come il fuoco, l'orticoltura nascosta e, probabilmente, capaci di riprodursi più facilmente (Huff, 2017, p. 6; Kull, 2002a). I cotiers malgasci, i cui mezzi di sussistenza includono alternativamente il pascolo del bestiame transumante e il pascolo nelle foreste, la raccolta su piccola scala, la coltura itinerante, e roghi periodici per ripulire piccoli campi per la produzione di sussistenza e per preparare i pascoli per il bestiame, sono presentati come una minaccia primaria per le foreste, per i terreni e, per estensione, per lo sviluppo economico nazionale.

Come accade in molte parti del mondo, negli ultimi decenni i margini rurali "sottosviluppati" del Madagascar si sono trasformati in frontiere di crescita economica e di sviluppo "sostenibile". Tale processo è avvenuto attraverso la ristrutturazione dello stato malgascio legato alla produzione economica a partire dagli anni '80, e l'istituzionalizzazione dei meccanismi di liberalizzazione economica - privatizzazione, deregolamentazione e decentramento - formalizzati in una serie di processi sinergici di riforma legislativa attuati a partire dagli anni '90. Tra questi vi erano riforme settoriali strategiche che ancoravano saldamente le aspirazioni nazionali di crescita economica allo sfruttamento delle risorse naturali con qualsiasi mezzo.

Le riforme settoriali comprendevano il piano d'azione nazionale per l'ambiente (NEAP), le revisioni del codice minerario malgascio e l'attuazione del programma nazionale per le proprietà terriere (cfr. Huff, 2016). Il processo di riforma ha coinvolto anche la legislazione intersettoriale, come il Quadro per gli investimenti compatibili con l’ambiente (Mise en Compatibilité des Investissements avec l’Environnement, o decreto MECIE) e la legge sugli investimenti. Mentre la prima è un meccanismo di ambientale mainstreaming per allineare gli investimenti con le priorità di salvaguardia, la seconda ha aperto l'accesso degli investitori stranieri ai terreni attraverso l'acquisto o l'affitto perpetuo (Huff, 2016). Queste e altre riforme sono profondamente connesse con l'apertura delle terre e delle risorse malgasce agli investitori stranieri, e complicano la governance essenzialmente in tre modi.

Primo, le riforme multisettoriali hanno accelerato la liberalizzazione, che ha decentrato ed esteso la burocrazia statale grazie alla proliferazione di nuove agenzie quasi private. Ciò ha esacerbato la confusione giurisdizionale causata dal pluralismo giuridico nel settore fondiario malgascio (Evers, 2013; Pronk & Evers, 2007) and the mining sector (Huff, 2016). Paradossalmente, nonostante la crescita burocratica, le ondate di aggiustamenti strutturali hanno avuto un tale successo nell'indebolire le istituzioni statali che il governo spesso non è in grado di applicare nemmeno la legislazione liberale senza sostanziali finanziamenti esterni e supporto tecnico (Sarrasin, 2006, p. 395). Secondo, e parallelamente, dall'inizio degli anni 2000 si è assistito ad un'intensificazione dell'interesse e degli investimenti in terreni e risorse minerarie da parte delle multinazionali. Il settore estrattivo è diventato il più grande motore della crescita economica nazionale e negli ultimi anni le multinazionali minerarie hanno compiuto i maggiori investimenti stranieri nella storia del Madagascar.

Terzo, con l'attuazione del NEAP e la creazione del Sistema delle Aree Protette del Madagascar (Système d’Aires Protégées de Madagascar, or SAPM), il Madagascar ha essenzialmente creato un nuovo settore, "l'ambiente", e ha liberalizzato la "natura" (definita in termini di foreste e biodiversità) aprendolo agli investitori interessati a entrate provenienti da attività come la tutela privata, l'ecoturismo o la ricerca farmaceutica (Huff, 2016). L'obiettivo del Madagascar di espandere l'estensione delle sue aree protette del territorio, un progetto inizialmente denominato "Visione di Durban" del Presidente Mark Ravalomanana e poi diventato il SAPM, aveva lo scopo di allineare la strategia nazionale per le aree protette del Madagascar con l'obiettivo dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (UICN) di proteggere il 10% di ciascuno dei suoi principali biomi (Corson, 2012). L'estensione spaziale delle aree protette (APS) del Madagascar è rapidamente quadruplicata, passando da 47 siti che coprono circa 1,7 milioni di ettari nel 2003 a 122 siti che coprono 7,1 milioni di ettari nel 2016 (Gardner et al., 2018). Date le sue ridotte risorse, il governo è ricorso alla promozione della gestione privata e delle ONG, della PA oltre alla gestione diretta e alla cogestione.

Negli ultimi anni, insieme alla liberalizzazione delle riforme politiche, una forte retorica sulla democrazia, sullo sviluppo sostenibile, sulla tutela della natura guidata dalla comunità e sulla protezione dei diritti delle comunità povere e dipendenti dalla foresta, ha alimentato in Madagascar un discorso politico di alto livello. Anche se fino all'ottanta per cento della popolazione malgascia vive in zone rurali ed è impegnata nell'agricoltura di autosussistenza e nella pastorizia, i malgasci rurali continuano ad avere poco potere per influire sulla politica forestale e fondiaria, per controllare le risorse e hanno poca protezione legale contro gli investimenti su larga scala (Neimark & Schroeder, 2009). Allo stesso modo, i micro-prestiti, i programmi di commercializzazione agricola e i progetti di sostentamento "alternativi" promettono sviluppo a persone che, spesso improvvisamente, si trovano criminalizzati i loro stessi mezzi di sostentamento o perdono l'accesso alla terra e alle risorse forestali quando viene istituita un'area protetta, o quando viene concesso un contratto di locazione mineraria o agricola.

La tutela ambientale e le attività estrattive sono considerate percorsi complementari e correlati per lo sviluppo economico del Madagascar. In realtà, le due cose sono notevolmente sovrapposte dal punto di vista spaziale e strategico, in quanto le nuove concessioni minerarie sono spesso concesse vicino o contigue ai confini e alle zone cuscinetto dei parchi nazionali e delle riserve, o vengono accomodate ridisegnando i confini delle aree protette (Cardiff & Andriamanalina, 2007; Huff, 2012). La messa in opera del SAPM ha riguardato in particolare la gestione degli interessi minerari durante la mappatura dei confini e la delimitazione delle nuove aree protette (Corson, 2011).

La legge malgascia non prevede alcun obbligo di stabilire programmi di compensazione della biodiversità per le operazioni minerarie dannose per l'ambiente, ma la compensazione della biodiversità è necessaria per l'inclusione del Madagascar nella Extractive Industry Trade Initiative (EITI) ed è stata quindi adottata negli ultimi anni, in misura diversa, da operatori di tutto il paese, tra cui Rio Tinto/QMMM, Base Resources, World Titanium Resources, Ambatovy, Wisco, Guanomad, Exxonmobil e altri (USAID, 2014). Per questo motivo sono state create nuove aree private di protezione ambientale nel quadro delle direttive sulla responsabilità sociale e ambientale delle imprese (RSI) o sono stati trasferiti fondi per sostenere l'applicazione delle PA che già esistevano sulla carta, ma che non erano state effettivamente applicate a causa dei vincoli di capacità. In questo modo, questi processi hanno "aperto" la governance delle risorse naturali a nuove potenti e spesso incrociate alleanze e rivendicazioni. Ciò significa che gli investimenti di risorse su larga scala hanno un potere di plasmare la politica e la vita senza precedenti.

5. La geografia socio-industriale della gestione di QMM

Passiamo ora al caso di QMM, che presentiamo in modo da sottolineare la complicata spazialità territoriale ed extraterritoriale dell'operazione mineraria. Per farlo, concettualizziamo l'"ambiente delle risorse naturali" (Fig. 1) in cui il MQM opera in tre zone principali ma "di esclusione che si sovrappongono" (Davidov, 2014, p. 33; Käkönen & Thuon, 2018, p. 2). Lo facciamo per mettere in evidenza come le forme di violenza tattica e le tecnologie di pacificazione operino in modo trasversale nel contesto dell'operazione. Come analizzeremo in dettaglio più avanti, le concessioni di QMM includono quelli che descriviamo come spazi 'fissati territorialmente' per l'estrazione mineraria, la tutela e il ripristino ambientale, 'spazi normativi non territoriali' formati da pratiche tecniche (Käkönen & Thuon, 2018, p. 2) associati alla compensazione della biodiversità compensativa e a quelli che introduciamo come spazi di sviluppo pacificati non territoriali creati attraverso le tecnologie sociali aziendali(Rogers, 2012) che agiscono attraverso l'istituzione dei cosiddetti "doni per lo sviluppo".


L'ambiente delle risorse QMM nel sud-est del Madagascar. Illustrazione di Tim Zocco, 2019

QIT Madagascar Minerals (QMM) è un progetto su larga scala di sabbie minerali in una delle zone più povere ed ecologicamente delicate del Madagascar. Dalla metà degli anni Ottanta, QMM è di proprietà congiunta di una partnership pubblico-privata (PPP) tra il governo malgascio, che detiene il 20% della società, e QIT Fer et Titane, una filiale canadese di Rio Tinto, che ne detiene l'80% (Rio Tinto, 2015). Nel 1986, QMM ha intrapreso un'esplorazione lungo la costa orientale del Madagascar alla ricerca di sabbie minerali pesanti. Dopo quasi vent'anni di ricerca ed esplorazione, nella regione di Anosy, vicino a Fort Dauphin, nei siti di Mandena, Sainte Luce e Petriky, sono stati trovati grandi giacimenti di minerali sfruttabili. Le sabbie, chiamate sabbie nere contengono biossido di titanio naturale sotto forma di ilmenite e rutilo, che viene estratto, esportato e raffinato e trasformato in un pigmento bianco, utilizzato per colorare i beni di consumo, dalla vernice al dentifricio (Vincelette, Dean, & Ganzhorn, 2007).

5.1. Spazi di estrazione, tutela ed esclusione stabiliti sul territorio

QMM ha completato la valutazione di impatto ambientale e sociale (ESIA) nel 2001 e ha ricevuto la concessione legale per l'avvio dell'attività nel 2005. Nello stesso anno, il governo malgascio ha accettato di contribuire con 35 milioni di dollari USA di un progetto della Banca Mondiale per la costruzione di infrastrutture urbane a Fort Dauphin e del nuovo porto di Ehoala per facilitare le operazioni locali e le esportazioni di QMM (Seagle, 2013). I tre siti minerari, di Mandena, Sainte Luce e Petriky, saranno sfruttati in successione con l'estrazione a draga attiva, con un contratto d'affitto di 100 anni stipulato con il governo malgascio (Gerety, 2009; Rio Tinto, 2014; Seagle, 2009, 2012, 2013). 

Situato a nord-est di Fort Dauphin, su una delle strade più curate del paese, il sito di estrazione di Mandena, recintato e sorvegliato, ha una superficie di circa 2000 ettari. Di questi, 230 sono destinati all'area di conservazione del Mandena, promossa come "banca dei geni della biodiversità" per le future attività di ripristino dell'area e inoltre pubblicizzata da QMM come destinazione per l'ecoturismo (Seagle, 2009). Analoghe aree di tutela sono state assegnate ai siti non ancora attivi delle miniere di Sainte Luce e Petriky, e le aree di tutela di tutti e tre i siti sono state successivamente designate dal Governo del Madagascar come aree protette di categoria 5 della IUCN e inserite nel SAPM (Rio Tinto, 2016).

Nel 2005, nel contesto di una spettacolare strategia di pubbliche relazioni orientata a rivendicare vantaggi sociali, ambientali e di sviluppo per la regione, QMM ha iniziato a sviluppare infrastrutture per lo sviluppo, assicurandosi i contratti di locazione e, sostenuta dal governo che minacciava di usare la forza, ha estromesso i piccoli proprietari locali da circa 6000 ettari di territorio nel sud-est del Madagascar rurale per l'estrazione mineraria, la costruzione di porti e le aree private di tutela ambientale. Nella sola fase di costruzione del porto, centinaia di abitanti del villaggio sono stati sfollati dalle loro case, le loro terre sono state sottratte con la forza grazie al processo di acquisizione di terreni del governo chiamato Dichiarazione di Pubblica Utilità (Déclaration d’Utilité Publique, o DUP) per far posto alla miniera. Secondo QMM, 498 " Persone colpite dal progetto", o PAP, hanno perso terreni, abitazioni, attività di pesca e produzione agricola a causa dell'esproprio per il progetto minerario (International Advisory Panel, 2011). Sono stati tutti ricollocati con terreni di minore valore, in violazione delle norme della Banca Mondiale (Harbinson, 2007a; Seagle, 2013). In molti hanno dichiarato di aver ricevuto una frazione del risarcimento loro promesso, in un procedimento che mancava di trasparenza e che non rispecchiava il valore attuale o intergenerazionale del terreno perduto. Le persone non risarcite sono state invece invitate a partecipare a progetti per nuovi sistemi di sussistenza ispirati alla "sostenibilità" e previsti dai programmi di pubbliche relazioni diretti da QMM (Seagle, 2012). Tutto ciò ha provocato gravi tensioni nella regione e un diffuso risentimento nei confronti della società mineraria.

L'estrazione attiva nel primo sito, Mandena, è iniziata nel 2009, e i responsabili della miniera sostengono che al picco di capacità potrebbe produrre fino a due milioni di tonnellate di ilmenite non raffinato, per un valore di circa 200 milioni di dollari all'anno, da esportare per la lavorazione all'estero (Seagle, 2013). Nonostante QMM abbia dichiarato di aver versato quasi 4 milioni di dollari di risarcimento a persone che erano state danneggiate dalla miniera di Mandena, a dicembre 2009 risultavano ancora pendenti 563 denunce di risarcimento presentate a QMM (International Advisory Panel, 2011). Le persone hanno lamentato un indennizzo inadeguato o nullo per la perdita di terra, raccolti e pesca, e hanno lanciato accuse di contabilità fraudolenta. Le famiglie trasferite hanno anche lamentato la pessima qualità dell'alloggio, che richiedeva riparazioni frequenti. La mancata accettazione delle richieste ha determinato una serie di proteste nel gennaio 2010, tra le quali i blocchi stradali sulle strade d'accesso alla miniera. L'allora governatore provinciale (Chef de Région) avrebbe voluto che venissero svolte indagini sul processo di risarcimento fallito, ma la cosa è stata impossibile perché la documentazione cartacea dei pagamenti e delle ricevute era sparita.

Oltre agli effetti diretti dell'insediamento della miniera, compresi gli sgomberi forzati e le espulsioni con i processi DUP, 344 pescatori di Antanosy hanno subito ripercussioni negative sul loro sostentamento e sulla loro sicurezza a causa della costruzione di un frangiflutti per il nuovo porto. I pescatori non sono stati consultati quando QMM ha scelto il porto e sono stati allontanati dai tradizionali punti di varo delle imbarcazioni. Il nuovo sito che avrebbero dovuto utilizzare era inaccettabile perché molto pericoloso. Molte barche sono andate distrutte e sono andati perduti guadagni significativi dato che nel nuovo sito i pescatori, in caso di maltempo, non potevano varare le barche. I pescatori sono stati esclusi dal processo formale DUP malgascio applicato per compensare le famiglie sfollate e reinsediate classificate come PAP, per cui inizialmente sono stati ignorati ed esclusi dalla compensazione per le perdite di mezzi di sussistenza; il loro caso è stato considerato solo in seguito a forti proteste pubbliche.

L'imposizione di una ‘dina’, una forma presuntamente " abituale" di contratto che è stata riprogettata e istituita per controllare l'accesso della popolazione locale all'area protetta di Mandena, ha portato alla criminalizzazione e a multe nei confronti delle persone che dipendono dalla foresta, che si sono trovate di fronte alla scelta tra trasgredire il divieto di estrazione delle risorse forestali o rimanere senza cibo. Alcuni locali affermano di essere stati danneggiati dalle aree protette, non solo a causa della perdita di accesso, ma anche perché questi accordi apparentemente "su base comunitaria" impongono loro un'ulteriore esigenza di gestione con retribuzioni insufficienti (Harbinson, 2007b, p. 14).

La QMM ha vissuto un susseguirsi di proteste e scioperi generali da quando, nel 2009, è entrata in funzione l'attività mineraria nel sito di Mandena. Centinaia di malgasci provenienti da tutta la regione hanno partecipato alla lotta contro gli sgomberi e le delocalizzazioni forzate, alla richiesta di risarcimenti e indennizzi per le terre e i mezzi di sussistenza perduti, alla protesta contro la spoliazione ambientale, alla distruzione delle foreste sacre e alla rimozione non autorizzata delle tombe ancestrali, alla mobilitazione contro l'esclusione dalle foreste ancestrali e alla denuncia della privazione dell'accesso alle foreste.

Nel 2010, ispirandosi alle testimonianze orali raccolte grazie alla collaborazione tra l'ONG britannica Andrew Lees Trust (ALT-UK) 3 e Panos London, l'avvocato Leigh Day, del Regno Unito, ha assistito un migliaio di abitanti del villaggio nella causa collettiva contro Rio Tinto (Curtis, 2016). La compagnia ha tuttavia capitalizzato i ritardi legali e la fragilità della situazione e ha fatto delle offerte rapide in contanti direttamente a più della metà dei ricorrenti malgasci. Gli abitanti dei villaggi ai quali erano stati offerti pagamenti erano comprensibilmente più propensi ad avere i soldi in mano subito che ad attendere gli esiti di un processo incerto che si svolgeva a migliaia di chilometri di distanza e che per loro era difficile da vedere, da seguire e da capire. In questo modo QMM è riuscita a neutralizzare la causa collettiva; con meno della metà dei ricorrenti rimasti, Leigh Day è stato costretto a interromperla. Come già nel procedimento di compensazione iniziale, c'è stata una mancanza di trasparenza su come sono state calcolate queste somme e la mancanza di una traccia contabile dei pagamenti.

Dal 2011 al 2013, una serie di ONG e ricercatori nazionali e internazionali hanno presentato raccomandazioni per correggere i vizi delle attività di risarcimento e di comunicazione di QMM, ma tali raccomandazioni sono state ignorate. Nel gennaio del 2013 si è verificata una protesta particolarmente importante, in cui centinaia di manifestanti armati con armi leggere, molti dei quali avevano subito lo sfratto dalle terre controllate dalle miniere, hanno bloccato le strade e intrappolato i dipendenti (tra cui il capo delle operazioni malgasce) nel sito minerario. Dopo la minaccia della compagnia di ritirarsi da tutte le operazioni in Madagascar, la protesta è stata soffocata con la forza dai militari (Seagle, 2013).

A partire dal 2016 sono scoppiate nuove proteste per l'acquisizione di ulteriori terreni a Mandena. Gli abitanti del luogo riferiscono che i contratti di locazione sono stati nuovamente venduti al di sotto del loro valore, a soli 500 Ariary malgasci per metro quadrato (circa 0,15 dollari all'epoca), contro i 3.000 Ariary malgasci per metro quadrato approvati dalla Commissione di Stato (circa 0,88 dollari) Alle vendite è stata associata anche la possibilità di ottenere in futuro una proprietà fondiaria sicura, quando i terreni sarebbero stati formalmente assegnati e restituiti dalla QMM ai precedenti proprietari dopo lo sfruttamento minerario. In ogni modo, a parte l'inadeguata compensazione, non è stata data alcuna risposta alle domande sui mezzi di sussistenza a breve e medio termine e alle questioni sulla sicurezza alimentare, nonostante l'ovvia dipendenza dalle risorse naturali per la sussistenza delle popolazioni rurali di questa regione. Nel 2018, la gente del posto è scesa in strada per protestare e ha bloccato le strade di accesso al sito minerario. QMM ha risposto con un'azione legale che ha portato all'incarcerazione dei manifestanti (CRAAD-OI & TANY, 2018).

5.2. Spazi normativi extraterritoriali: compensazione della biodiversità e controllo compensativo della natura liberalizzata

L'operazione QMM non è soltanto una miniera; tra le sue numerose attività, include aree accantonate come aree private di conservazione, aree di ripristino ecologico e siti di compensazione della biodiversità. QMM utilizza un modello di compensazione in cui i danni alla biodiversità causati dalle attività minerarie sono apparentemente neutralizzati da misure tecniche che collegano aree di conservazione e minerarie spazialmente lontane, e che coinvolgono anche attori e organizzazioni locali, nazionali e internazionali, sfere pubbliche e private e la governance di settori economici diversi.

Al Congresso Mondiale per la Protezione della Natura dell'Unione Internazionale per la Salvaguardia della Natura (IUCN), a Bangkok nel 2004, i rappresentanti di Rio Tinto hanno annunciato che "puntano ad avere un impatto positivo netto sulla biodiversità riducendo al minimo gli impatti negativi delle loro attività e dando un adeguato contributo alla salvaguardia della biodiversità nelle regioni in cui operano” (Turner, 2014). Questo è il punto chiave nella strategia di Rio Tinto, quello di proporsi come pioniere della cosiddetta "miniera sostenibile” (Seagle, 2012). La strategia globale complessiva di Rio Tinto, che da allora è stata ridotta da un "impegno a livello aziendale" a "consentire ai siti di gestire le proprie realtà caso per caso" (Rio Tinto, 2017), utilizza il "Net-Positive Impact", o NPI, metodologia di compensazione per dimostrare l'addizionalità, che, secondo la società, prevede una serie di metodi volti a garantire che le attività dell'azienda producano un impatto ambientale più positivo che negativo nei luoghi in cui si trovano le miniere.

La società ha creato, attraverso un accordo con l'Ufficio Nazionale per l'Ambiente (Office national pour l'environnement, o ONE) e separato geograficamente dai siti minerari, siti di compensazione della biodiversità per un totale di circa 6000 ettari aggiuntivi a Sainte Luce, Mahabo e Bemangidy (parte del Tsitongambarika Forest Complex, o TGK III). Anche questi siti sono indicati come aree protette. Pur essendo sostenuti finanziariamente da QMM per realizzare la sua strategia aziendale "Impatto Netto Positivo" sulla biodiversità, sono amministrati dal governo e dalle ONG associate secondo una serie di accordi (Kill & Franchi, 2016; Rio Tinto, 2016). Sono anche sostenuti dall'Unione Internazionale per la Salvaguardia della Natura (IUCN), che ha avviato un partenariato formale con Rio Tinto nel 2010, dopo quasi dieci anni di cooperazione meno formale (IUCN, 2019). (IUCN, 2019).

Alle preoccupazioni locali e non solamente locali sull'impatto ambientale delle operazioni estrattive e sulla perdita di biodiversità in un ambiente così fragile, è stato risposto con relazioni sbagliate o fuorvianti secondo le quali i quasi 6000 ettari di foresta pluviale litoranea che rischiano di essere disboscati nelle zone minerarie svanirebbero comunque entro vent'anni a causa dell' agricoltura del ‘taglia e brucia’ e dell'uso non sostenibile dei prodotti della foresta (Seagle, 2013, p. 1). Le pubblicazioni della compagnia e gli articoli scientifici (redatti da consulenti a pagamento di QMM) sull' impatto ambientale dell'operazione e sull'importanza delle sue attività di tutela riproducono una narrazione del degrado generalizzato (cfr Huff, 2012, 2017) che attribuisce la perdita di foreste, biodiversità e produttività agricola alla povertà, alla crescita della popolazione e alle pratiche irrazionali di sostentamento dei contadini delle zone rurali malgasce. Per esempio, secondo Rio Tinto (2014), "la regione di Anosy ha subito una significativa deforestazione, almeno a partire dagli anni '50, a causa della produzione di carbone di legna e della coltivazione non sostenibile taglia e brucia". Vincelette et al. (2007: 3) scrivono che "la maggior parte della popolazione rurale ... dipende dalle risorse della foresta durante i periodi di scarsità di cibo, ma anche tutto l'anno per la legna da ardere e da costruzione". Questo ha portato, negli ultimi 50 anni, alla distruzione di una parte sostanziale degli ecosistemi forestali del litorale"

Secondo Seagle (2013: 2),questo discorso storicamente prodotto di alterità colloca "gli utenti locali del territorio come "l'Altro ambientale" - ecologicamente distruttivo, intrappolato nel passato, isolato dai mercati e che necessita di essere formato (attraverso l'apparato di sviluppo di Rio Tinto/QMM) per essere più sostenibile". Questa letteratura suggerisce che i "tassi di fondo" di perdita di foreste e degrado generale eclissano l'impatto della miniera e possono, di fatto, essere rovesciati grazie al suo sistema di compensazione NPI. Oltre alle attività di tutela e ripristino nei siti minerari, QMM afferma di "investire nella compensazione della biodiversità in diversi siti forestali della regione, con l'obiettivo di ridurre gli alti tassi di deforestazione di fondo" (Rio Tinto, 2014).

I meccanismi di realizzazione dell'NPI sono spesso controversi anche tra i sostenitori della protezione ambientale finanziata dal mercato per il rischio che inneschino problemi sociali, etici e tecnici, (Bull, Lloyd, & Strange, 2017; Gardner et al., 2013). I metodi NPI spesso prevedono una combinazione di strategie di compensazione risarcitoria e di tutela in modalità "riparazione” (Huff & Brock, 2017). Nei siti di attività estrattive, i metodi NPI possono prevedere la creazione di aree protette in un luogo per compensare, con la sostituzione, la biodiversità che è stata distrutta in un sito minerario diverso. Questo avviene attraverso una forma di commercializzazione in cui le aree bersaglio sono sottoposte a un processo quantificato di astrazione per creare unità standardizzate che possono essere 'sostituite' nel tempo e nello spazio sui bilanci (Bakker, 2005). La resa della sostituibilità è combinata con metodi che "dimostrano" la prevenzione di "perdite future", di solito attraverso una combinazione, come in questo caso, di sgombero dei residenti e di limitazione dell’accesso alle risorse, e programmi PES (Payments for Ecosystem Services) che retribuiscono i membri delle comunità locali che rinunciano all'uso di particolari risorse, o per svolgere particolari attività di tutela e/o recupero. La compensazione spaziale, attraverso l'apparente prevenzione della presunta perdita futura in un'area a un tasso calcolato che supera la distruzione in un'altra area oltre una "linea di base" cumulativa stabilita, permette a un'azienda di affermare che le sue attività migliorano la biodiversità o altri servizi ecosistemici - ottenendo così un "impatto netto positivo" - indipendentemente dall'effettiva distruzione operata nel sito minerario (Anstee, 2008; WBCSD, 2015).

Le rivendicazioni di QMM rispetto a NPI sono estremamente problematiche. Non solo i siti di compensazione coinvolgono tipi di foresta diversi da quelli distrutti dalla miniera (compensazione "fuori natura"), ma traggono conclusioni sui "tassi di fondo" di deforestazione sulla base di una metodologia inadeguata che tratta i tassi di cambiamento della copertura forestale come uniformi o costanti nel tempo e nello spazio quando in realtà i "tassi" di cambiamento della copertura forestale sono molto specifici sia nel tempo sia nello spazio. Per stessa ammissione di Rio Tinto, il complesso forestale di Tsitongambarika (l'area principale che comprende tre sezioni forestali chiamate TGK I, TGK II e TGK III):

... non subisce le stesse pressioni delle altre foreste del Madagascar; la produzione di carbone di legna è quasi inesistente e lo sfruttamento del legname è scarso (almeno nella parte orientale). In generale, la legna da ardere viene raccolta intorno ai villaggi e il carbone di legna viene prodotto principalmente dalle foreste secche e dalle piantagioni. Di conseguenza, c'è poco degrado - la foresta o è incontaminata, o è stata interamente disboscata a causa della coltivazione "taglia e brucia".
(Olsen, Bishop, & Antsee, 2011, p. 9)

I calcoli "di base" elevati per il TGK presentati da QMM sono generalizzazioni basate su medie dei tassi di deforestazione valutati in luoghi diversi, in periodi di tempo diversi e in una regione molto ampia e differenziata in termini di fattori trainanti effettivi e quantità di cambiamento della copertura forestale (Olsen et al., 2011). Purtroppo, l'area di compensazione della biodiversità di Bemangidy (TGK III) di cui si parlerà più avanti è stata descritta in un rapporto degli stessi ricercatori di QMM (Olsen et al., 2011, p. 5) come in "ottime condizioni", con pochi segni di interferenza antropica ad eccezione di piccole aree di disboscamento lungo i bordi," al tempo in cui l'area protetta è stata istituita. Questo significa che, al momento della valutazione, le persone che dipendevano da essa per il cibo e altri prodotti della foresta non rischiavano di deforestare.

Malgrado le dichiarazioni dell'azienda circa il rispetto dell'equità, la consultazione e la ricerca di mezzi di sostentamento alternativi adeguati a livello locale, l'attuazione del programma di compensazione della biodiversità della QMM è caratterizzata da massicci fallimenti e ha esacerbato la sofferenza delle popolazioni colpite che vivono lontano dalle attività estrattive da compensare. Questi fallimenti sono legati in modo particolare, al modo in cui il conseguimento dell'NPI è stato affrontato nella strategia di compensazione della biodiversità di QMM, che è stata attuata con il supporto di Asity, una ONG locale che opera come filiale di Birdlife International.

Gli abitanti dei villaggi di Antsotso, ad esempio, che hanno subito l'impatto della compensazione della biodiversità a Bemangidy, nel complesso forestale di Tsitongambarika (TGK III), riferiscono che QMM non ha spiegato loro che erano coinvolti in un programma di compensazione aziendale quando è stato chiesto loro di partecipare alla piantumazione di alberi e sono stati esclusi dall'accesso alla foresta, misure queste intese a mitigare la perdita di biodiversità dove Rio Tinto sta attivamente dragando per l'ilmenite (Kill & Franchi, 2016). L'accesso limitato alle risorse a causa delle misure di compensazione della biodiversità ha gravemente compromesso la sicurezza alimentare degli abitanti di Antsotso, costringendoli ad abbandonare i ricchi campi vicino alle aree forestali e a coltivare invece la manioca in un terreno sabbioso di scarsa qualità vicino al mare, molto lontano dal loro villaggio.

Questi cambiamenti hanno ridotto la capacità produttiva dei locali a un livello insufficiente a sostenersi, e la gente soffre la fame. In un incontro pubblico convocato dall'Ufficio Nazionale dell'Ambiente (ONE) nel villaggio nel 2017,4 ONE ha detto ai residenti preoccupati che non potevano aspettarsi alcun risarcimento per le loro perdite perché la compensazione faceva parte di un programma nazionale di salvaguardia, un'iniziativa guidata dallo stato in cui QMM era solo un partner. In altre parole, la posizione espressa da ONE (riecheggiata nelle conversazioni con i dipendenti della QMM a metà del 2018) era che le richieste di risarcimento dei residenti non avevano alcun fondamento perché in primo luogo le loro attività di sostentamento erano illegali, e in più, a prescindere dalle azioni dell'azienda o dai profitti derivanti dalla compensazione, QMM non aveva alcuna responsabilità o colpa della situazione.

Allo stesso tempo, la ONE, scindendo le sue responsabilità di tutela dagli impatti del programma di compensazione, ha detto agli abitanti dei villaggi che avrebbero dovuto parlare con la QMM dei loro problemi, indirizzandoli verso la cooperazione con la compagnia e allontanandoli dalla contestazione dei diritti sulla terra e sulla foresta. Approfittando della confusione giurisdizionale del partenariato pubblico-privato, la QMM è stata così in grado di portare avanti progetti per i residenti alle proprie condizioni, come l'apicoltura e la coltivazione del pepe, che non sostituiscono adeguatamente le perdite di sussistenza della comunità, mentre le effettive richieste di assistenza degli abitanti del villaggio alla QMM (presentate formalmente alla QMM nel gennaio 2018) (ALT-UK, 2018) sono state ignorate.

5.3. Spazi di sviluppo pacificati: I "doni” per lo sviluppo" di Rio Tinto

Con la promessa di "doni per lo sviluppo", la QMM ha conquistato e mantenuto un livello estremamente alto di controllo politico ad Anosy, nonostante la resistenza. Secondo QMM, la compagnia conduce un attento processo di consultazione con il coinvolgimento dei membri delle popolazioni locali, e punta a costruire quella che chiamano "proprietà della comunità" in base all'idea che "i benefici e i risultati tangibili incideranno in modo più significativo sul rapporto di fiducia tra QMM e le comunità che la ospitano" (Rio Tinto, 2016, p. 26). In questo senso, QMM sostiene di aver operato per combattere la povertà nella regione dell'Anosy attraverso la promozione di una pesca sostenibile, la distribuzione di sementi e la promozione della produzione locale di riso, manioca, ignami, bestiame e artigianato. L'azienda sostiene che lo sviluppo locale può essere migliorato attraverso il perfezionamento delle infrastrutture e la collaborazione con le organizzazioni della società civile su progetti incentrati sulla creazione di posti di lavoro e su programmi sanitari per la comunità.

Il Programma di coinvolgimento sociale prevede anche interventi educativi, tra cui l' avvio del Rio Tinto Scholarship Program for Education (RISE) in collaborazione con l'ONG Pact Madagascar, lo sviluppo di 'corsi di sostegno' in collaborazione con le scuole locali e un programma di formazione alla leadership per i giovani (Centre for Social Responsibility in Mining, 2015). Le collaborazioni con altri fornitori di servizi, come il servizio sanitario del Distretto (SDD), WaterAid Madagascar, ASOS e diverse agenzie delle Nazioni Unite, tra cui UNICEF, UNFPA, OMS, hanno permesso di organizzare corsi di formazione in materia di salute e igiene (Mining Health Initiative, 2013). QMM sostiene di aver impartito corsi di formazione sui principi umanitari internazionali e sui diritti umani alla polizia e ai militari malgasci insieme all'Alto Commissariato per i Diritti Umani (Rio Tinto, 2018). Inoltre, rivendica il successo e la correttezza del reinsediamento delle famiglie e la sostituzione dei mezzi di sussistenza inevitabilmente compromessi dalle attività connesse alle attività estrattive (Rio Tinto, 2016).

Diverse organizzazioni internazionali di ricerca e sviluppo e ambientaliste supportano l'approccio di compensazione della biodiversità di QMM. Tra gli altri partner vi sono università malgasce e internazionali, istituti di ricerca, organizzazioni della società civile e organizzazioni di alto profilo come Bird Life International, la Wildlife Conservation Society (WCS), Conservation International (CI), Flora and Fauna International, Kew Botanical Gardens, Missouri Botanical Gardens e USAID (Kill & Franchi, 2016; Rio Tinto, 2016). Le organizzazioni partner di Rio Tinto elogiano l'approccio scientifico dell'azienda alla compensazione della biodiversità e la descrivono come una società mineraria etica e "modello" che supera i vincoli legali per risolvere i problemi sociali e ambientali(Seagle, 2009, p. 15).

La pretesa di QMM di avere una "licenza sociale ad operare”, ottenuta grazie a una diligente consultazione locale, ai benefici dello sviluppo locale, all'empowerment delle popolazioni locali e al miglioramento ecologico, raccontata ai media o in opuscoli patinati, sembra provenire e riecheggiare principalmente da persone esterne, poco familiari con il contesto locale e con scarsa comprensione o attenzione alle prospettive locali, alle storie, ai desideri, alle esperienze e alla vita politica. Il programma di impegno sociale di QMM ha dimostrato di non essere in buona fede, come emerge dal fatto che i meccanismi di consultazione e di compensazione sono deplorevolmente insufficienti rispetto alle perdite di mezzi di sussistenza e di accesso alle risorse. La comunicazione è stata "difettosa" (anche per ammissione dell'azienda stessa), 5 e l'azienda, al momento di prendere decisioni strategiche di carattere sociale e tecnico, non ha incluso i membri emarginati della popolazione locale o quelli con interessi specifici al proprio sostentamento (ad esempio, i pescatori costieri) (Andrew Lees Trust & PANOS, 2009; Kraemer, 2012; Seagle, 2012; Smith, Shepherd, & Dorward, 2012).

Prima della concessione dei permessi di sfruttamento minerario, le promesse di posti di lavoro locali e di maggiori opportunità economiche hanno tenuto a bada le opposizioni, ma le promesse iniziali di formazione e di occupazione locale non sono state mantenute, e la maggior parte dei posti di lavoro sono andati a persone istruite e già qualificate provenienti dalla capitale o ad appaltatori stranieri. La diffusa percezione di scorrettezza nelle pratiche di assunzione della QMM ha portato i lavoratori di Antanosy ad aderire ad una campagna contro Rio Tinto con un movimento sindacale internazionale (Industriall, 2015). Inoltre, nella capitale della regione, Fort Dauphin, il costo della vita è aumentato dalla fase di avvio nel 2005, e i prezzi del cibo e dell'affitto delle case sono saliti con l'arrivo dei lavoratori delle miniere di altre regioni e dall' estero (Harbinson, 2007a). La mancata fornitura di un'occupazione locale promessa e a lungo termine nel decennio successivo, unita all'aumento del costo della vita, ha generato un sentimento di profonda frustrazione e delusione. È stata, inoltre, motivo di ripetute proteste e reclami e ha causato un forte risentimento nei confronti della QMM e una perdita della fiducia che avevano all'inizio nell'azienda.

Nel luglio del 2018, un funzionario di alto livello della QMM è stato sentito in pubblico da una delle coautrici di questo articolo respingere le lamentele locali nei confronti dell'azienda lamentando che la gente di Antanosy "semplicemente non vuole i doni dello sviluppo che possiamo offrire". Ma i "doni" per lo sviluppo di QMM alla regione vanno a vantaggio dell'azienda. Ad esempio, le borse di studio del programma RISE hanno fornito contributi per 800 studenti, ma hanno portato alla chiusura di un importante centro di formazione di base, il Centre Ecologique Libanona, gestito da accademici e amministratori malgasci per oltre due decenni per offrire opportunità di istruzione superiore e programmi universitari accreditati nella regione. Il centro aveva delle associazioni storiche con gruppi internazionali e ricercatori che avevano contestato la miniera e la sua scomparsa. La sua fine riflette una più ampia soppressione dei simboli locali, dei collegamenti o delle reti di inchiesta indipendente e di resistenza.

QMM rivendica di aver migliorato i servizi sanitari regionali, di aver promosso la consapevolezza dell'HIV/AIDS e di aver promosso il rispetto dei diritti umani e dei bambini. Tuttavia, non ha mai chiarito se i finanziamenti per questi corsi di formazione siano stati effettivamente forniti da QMM o dalle agenzie coinvolte (sebbene i servizi "volontari" piuttosto che i finanziamenti diretti siano stati a lungo un approccio preferito da QMM). L'azienda rivendica l'elettrificazione, il miglioramento delle infrastrutture, l'acqua e i servizi igienico-sanitari e la riqualificazione urbana, ma gran parte del costo di tutto questo è stato sostenuto dai finanziamenti governativi per lo sviluppo del programma della Banca Mondiale "Integrated Growth Poles". Inoltre, questi servizi e miglioramenti infrastrutturali sono accessibili su larga scala solo all'interno della piccola città di Fort Dauphin. La città stessa è diventata una sorta di enclave internazionale per lo sviluppo, ricca di programmi educativi, club sociali, servizi e lussi di cui godono le élite sociali, i dipendenti del governo, gli operatori umanitari, gli imprenditori, i volontari delle ONG internazionali e i turisti stranieri, ma poco ricorda la regione circostante o la maggior parte del paese.

* L'articolo è stato pubblicato dalla rivista Political Geography, Volume 81, ed è scaricabile da www.sciencedirect.com. La traduzione all'italiano è di Lodovica Mutarelli.

(2. Continua)

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

NOTE:

1  I secoli dal sedicesimo al diciannovesimo includono un periodo di trasformazione culturale, politica ed economica in Madagascar, poiché le autorità dell’isola si contendono il territorio, il controllo delle risorse e il commercio con gli interessi di inglesi, francesi, arabi, olandesi e portoghesi. In Madagascar la formazione dello Stato può essere ricondotta a un periodo di circa cinquant'anni tra il 1780 e il 1830, quando la compagine politica dell'Imerina nella regione centrale degli altipiani (l'attuale provincia di Antananrivo) si è trasformata da entità relativamente piccole e governate da un unico lignaggio fino a essere centralizzata sotto un unico casato dominante che controllava un esercito formale, il commercio, la produzione agricola e le istituzioni che regolavano la coscrizione dei lavoratori su ampie zone dell'isola. Questi particolari sviluppi storici sono strettamente legati alla concorrenza imperialista, specialmente fra inglesi e francesi, e all' abilità dei privilegiati burocrati della Merina di manipolare a loro vantaggio sia la politica estera sia i simboli e le istituzioni politiche locali.

2  Anche se la data dell'insediamento antropico permanente in Madagascar rimane controversa da parte dei ricercatori, il Madagascar è considerato da tempo come una tra le ultime grandi masse terrestri ad essere stata colonizzata in modo permanente dalle popolazioni (Hansford et al., 2018).

3  Questa vasta raccolta di testimonianze orali di persone direttamente e indirettamente danneggiate dalla realizzazione della miniera QMM, dalla miniera stessa o dalla perdita di accesso alla terra o alla foresta, è intitolata Madagascar Voices of Change:(le voci del cambiamento in Madagascar) Oral testimony of the Antanosy people (Testimonianze orali del popolo Antanosy) (pubblicato da Andrew Lees Trust & PANOS London, 2009). È gratuito e disponibile per il download all'indirizzo: http://andrewleestrust.org/Reports/Voices%20of%20Change.pdf.

4  Dalle trascrizioni di un incontro tra ONE e alcuni componenti della comunità di Antsotso il 6 ottobre 2017, registrato dalla ONG locale Trano Aro Zo (TAZ) su richiesta dei residenti di Antsotso. Per ulteriori informazioni, vedere http://www.andrewleestrust.org/blog/?p=530.

5  Un dirigente di Rio Tinto lo ha ammesso nel 2012 nel corso di una discussione sulle comunicazioni di QMM in una delle riunioni con il Comitato di collegamento delle ONG 2011-2013 di Rio Tinto, Regno Unito.


Resource warfare, pacification and the spectacle of ‘green’ development: Logics of violence in engineering extraction in southern Madagascar
Amber Huff, Yvonne Orengo,
Political Geography, Volume 81, August 2020 - 15 pp.

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09 maggio 2021 (pubblicato qui il 05 agosto 2021)