Com’era verde la Vallesina
Per toccare con mano la spregiudicatezza del capitalismo estrattivista, non c’è bisogno di fare molta strada, o cambiare continente; basta semplicemente affacciarsi dalla finestra di casa. Lo si poteva già fare alla metà del secolo scorso, e questo ce lo testimonia il canto delle filandare ripreso nel titolo; attività manifatturiera che insieme ad altre, fece in quel tempo di Jesi la “piccola Milano delle Marche”. Una regione paradigmatica, di meno di un milione e mezzo di abitanti, in cui tra il 2020 e il 2021 oltre 16.000 under 35 se ne sono andati via per sempre (come se fosse scomparsa all’improvviso una città come Porto San Giorgio), e per la quale le proiezioni demografiche Istat prevedono una perdita dal 2024 al 2043 di circa 90.000 abitanti (equivalenti ad una città come Pesaro). Il paradigma lo si può vedere in particolare lungo la Vallesina: una fascia di territorio che viene tradizionalmente intesa tra Falconara Marittima, estuario dell’Esino, e che arriva fino a Serra S. Quirico, alle porte dell’Appennino. Dal punto di vista antropico, inizia con la raffineria API (la “piccola Ilva” marchigiana) e termina con le cave della Gola della Rossa che, almeno fino al 2048, continueranno a spolpare il Monte Murano. In mezzo a questi due poli, distanti tra loro meno di 45 km, c’è di tutto: zone artigianali ed industriali, gli allevamenti avicoli intensivi Fileni (che ha fatto ribattezzare la Vallesina in “valle dei polli”) di Monteroberto, Jesi e Falconara Marittima, un aeroporto, l’Interporto Marche, i 33 ettari abbandonati da bonificare dell’ex zuccherificio Sadam, la centrale di cogenerazione Turbogas Edison, realizzata all’inizio del secolo e oggi spenta; in più, tra meno di un anno aprirà il polo logistico Amazon, con tutti i problemi infrastrutturali e di traffico annessi. Non a caso, il territorio da Ancona a Jesi, è stato classificato da anni zona AERCA (Area ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale).
Edison, a volte ritornano
Come se tutto questo già non bastasse, nella primavera del 2023 è stato dato l’ok all’avvio del procedimento autorizzativo per la realizzazione a Jesi di un’altra bomba ecologica: “una piattaforma polifunzionale per il recupero ed il trattamento di rifiuti pericolosi e non pericolosi e per la produzione di End of Waste”. Sarà realizzato da Edison Next Recology srl con sede a Rivoli, come recita la determina n. 935 del 14/07/2023 della Provincia di Ancona. Per i non addetti ai lavori, “End of Waste”, si riferisce ad un procedimento per il quale un rifiuto, sottoposto ad un processo di recupero, perde tale qualifica per acquisire quella di prodotto. In particolare verranno realizzati, partendo da rifiuti pericolosi contaminati, prodotti da vendere sul mercato, o materia prima per gli inceneritori o discariche. Nello specifico questo impianto, che sarà il primo “End of waste” delle Marche, classificato come industria insalubre, verrà realizzato a Jesi, alla ZIPA, la zona industriale di Jesi in via dell’Industria n. 7, in un’area già idonea dal punto di vista urbanistico. Si collocherà accanto al punto unico di cottura della mensa scolastica centralizzata del Comune, e vicino alla sede di Intesa San Paolo. In un’area in cui quotidianamente, dalle 4 di mattina ogni giorno per il tempo lavorativo, “abitano” temporaneamente diverse migliaia di persone. Occuperà una superficie di 26.400 mq (quasi tre ettari). Sorgerà su quelle che sono le spoglie di siti industriali locali dismessi da tempo. La nuova piattaforma “End of waste” tratterà fino a 1000 tonnellate di rifiuti in ingresso al giorno. Che non arriveranno a Jesi di certo “a piedi” (e quindi ancora un aumento importante del traffico pesante).
Consisterà in un primo capannone dove sarà collocata la linea di decontaminazione con processo soil washing dell’amianto. Un secondo capannone dove saranno installati parte della linea di soil washing, la linea di trattamento chimico-fisico batch, la linea di neutralizzazione batch e la linea di evaporazione sottovuoto. Inoltre, verranno effettuate operazioni di deposito di rifiuti liquidi in serbatoi, scaffalature e deposito di prodotti chimici. Infine, verranno effettuate operazioni di travaso di rifiuti liquidi in un’apposita cabina predisposta e successiva bonifica dei contenitori. Nel terzo capannone verranno effettuate operazioni di stoccaggio, riduzione volumetrica, cernita e miscelazione di rifiuti solidi. In questa zona verranno effettuate le operazioni di trattamenti preliminari di grigliatura, dissabbiatura e filtrazione dei rifiuti liquidi prima di essere inviati alle successive sezioni di deposito o trattamento. Ci saranno anche uffici amministrativi, un edificio centrale termica a servizio degli impianti di trattamento, un edificio spogliatoio con servizi per i dipendenti, un laboratorio chimico, una centrale termica a servizio degli uffici e un edifico pesa. Molte le misure di mitigazione ambientale previste, sia in fase di cantiere che in fase di esercizio. Sono infatti diversi gli aspetti di alto impatto ambientale, toccati dalle relazioni tecniche di Arpa Marche, AST, Comune di Jesi, Vigili del Fuoco, che riguardano questo impianto: dall’aria, sia per gli aspetti odorigeni che volatili, al suolo e alle acque sotterranee, al rumore.
Economia circolare o greenwashing?
Questo tipo di impianto viene proposto come esempio di economia circolare. Non poteva essere diversamente, quando proprio la home page del sito di Edison si apre con il banner cliccabile “Il nostro impegno per il clima”. “Edison applica i principi dell’economia circolare”, si legge dentro il sito, e “Edison Next, nell’ambito della propria missione di servizi ambientali, è impegnata anche nella gestione dei rifiuti e propone soluzioni in grado di massimizzare gli indici di recupero e la valorizzazione dei rifiuti stessi”. Nel navigare dentro il sito di Edison, sembra di stare dentro un portale di un’organizzazione ambientalista, anziché in quello di una multinazionale, che è il secondo operatore italiano nel settore idrocarburi, e uno dei principali produttori di energia elettrica in Italia; che possiede un parco produttivo che comprende impianti a ciclo combinato a gas, idroelettrici, eolici, solari e a biomasse.
Con una presenza internazionale in Europa (Italia, Grecia, Regno Unito, Svizzera, Norvegia, Croazia, Bulgaria, Belgio e Turchia), Africa (Algeria e Egitto), Israele e Sud Est Asiatico. Ma è anche impegnata nella costruzione di principali infrastrutture di importazione del gas per l'Europa e l'Italia: il gasdotto “Algeria Sardegna Italia” (GALSI) e “Turchia Grecia Italia” (ITGI), insieme al già realizzato rigassificatore al largo di Rovigo. Ma Edison è molto presente anche nel settore del mecenatismo sportivo, culturale e istituzionale: sponsor della Federazione Italiana Vela, del FAI, della Biennale di Archittura di Venezia, fino alla partecipazione alla 40° assemblea annuale dell’Associazione dei Comuni Italiani (ANCI); solo per fare qualche esempio.
“Zitti, …cheti, … zitti, …cheti,
attenti all’opra”
(Rigoletto, opera)
L’impianto che Edison vuole realizzare a Jesi rappresenta, come sempre, ancor prima che una questione ambientale, un problema democratico. Non è dato sapere quando e se ci sono state interlocuzioni informali tra l’azienda e le istituzioni, ma grave è di per se il silenzio che c’è stato in città dai primi di giugno 2023, in cui il Comune di Jesi ha iniziato ad interloquire formalmente con la Provincia di Ancona nel merito, fino all’aprile 2024, quando la notizia della realizzazione dell’impianto è stata data per la prima volta su un articolo del settimanale diocesano “Voce della Vallesina”. Un articolo che, ancor prima di quella ecologica, ha subito prodotto in città gli effetti di una bomba politica, che è deflagrata subito con tanti “non sapevamo niente”, sparsi come i pezzi delle bombe a grappolo, da parte del governo cittadino di centrosinistra, e con accuse violente da parte delle forze politiche di opposizione e di alcuni movimenti e associazioni locali, come il centro sociale autogestito TNT. Quest’ultimo, l’unico soggetto organizzato della città ad aver promosso un incontro pubblico conoscitivo il 16 luglio con l’esperto Augusto De Sanctis; un incontro dalla partecipazione record, oltre 250 persone. Mentre l’Amministrazione Comunale se l’è cavata in “zona Cesarini”, con un consiglio comunale aperto il 18 luglio, affollato di cittadini, convocato solo a seguito di una formale richiesta dei gruppi consiliari di minoranza. Una bagarre politica che dura da mesi, molto triste da osservare esternamente per la verità; tra le prese di posizione, quella più scandalosa, ma non è certo una sorpresa, è quella di Legambiente Marche: “L’impianto proposto dalla società Edison Next Recology serve l’economia circolare – scrivono in un comunicato - e quindi ha un’interessante prospettiva anche sul fronte occupazionale. La questione cruciale nella realizzazione di questi impianti sarà la loro corretta realizzazione sul territorio; basta con la politica del terrore e del Nimby”. Una posizione che non sorprende, considerato che Edison e Legambiente nazionale già dal 2015 promuovono progetti di sostenibilità ambientale nelle scuole italiane. Anche la posizione del WWF è stata alquanto prudenziale: “Necessario ma con molte criticità, si valutino soluzioni alternative”. Si capisce, perchè la Riserva Regionale Naturale Ripa Bianca WWF, si trova molto vicina in linea d’aria al sito del nuovo impianto Edison. Quale sarà l’esito delle azioni della politica e delle istituzioni chiamate a decidere, è difficile prevederlo; certo è che Edison si muove in un quadro certo di norme che le consentono di fare quell’impianto, tanto da aver replicato con perentorietà alle critiche politiche: “I criteri di localizzazione degli impianti di gestione rifiuti sono stabiliti dalle leggi nazionali e locali, nella fattispecie dal Piano regionale e da quello provinciale per la gestione dei rifiuti che individuano i fattori escludenti e i fattori premianti. L’area non presenta fattori escludenti e soddisfa i principali criteri premianti definiti dal Piano regionale, tra i quali proprio la localizzazione in ’area industriale’. È inoltre compatibile con il Prg del Comune". In questa storia la colpa imperdonabile della politica locale di governo, una sorta di laico peccato di omissione, è l’aver taciuto per un anno. Specie quando la partecipazione democratica rappresenta la priorità dell’agenda politica.
E questo lungo silenzio ha rotto il rapporto di fiducia tra città e istituzione, con scarse possibilità di rimetterne assieme i cocci. Il “non sapevamo niente”, in una questione come questa, è una balla che non si può raccontare, con la pretesa che venga creduta, neanche al più sempliciotto tra gli avventori di un bar. Questo ha portato al più classico dei capolavori al contrario della politica: mettere insieme in città e nel territorio un variegato “campo largo” del No che va dagli anarchici e antagonisti, fino a Confindustria. Anche se non si può non osservare che l’attuale presidente di Confindustria Ancona, Pierluigi Bocchini, tra i più attivi nel fronte del No, ha l’impresa di famiglia, la CLABO s.p.a., un importante gruppo internazionale nel settore dell’arredamento per la ristorazione, attaccata al sito dove sorgerà l’impianto Edison.
“In prigione, in prigione,
e che vi serva da lezione”
(E. Bennato)
Ma il meglio, per ora, di questa storia, è arrivato a cavallo di Ferragosto, quando si è venuti a sapere dell’accesso agli atti fatto da Edison presso la Segreteria del Comune di Jesi. Nei giorni torridi dell’estate più calda di sempre, con la stagione balneare compromessa dalle mucillaggini e l’acqua dell’Adriatico a 30°C, e con la regione in conclamata crisi idrica, si è sparsa sulla stampa e in città la notizia di accesso agli atti che ha fatto Edison, riguardante la richiesta di “informazioni sui richiedenti affissione dei manifesti negli spazi pubblici dedicati”, il cui contenuto è ritenuto da Edison “fuorviante e lesivo nei loro confronti”. A darne comunicazione il committente del manifesto, il comitato di quartiere “Smia-Zona Industriale”, soggetto partecipativo municipale eletto qualche mese prima direttamente dai cittadini. Va messo subito come punto fermo che il contenuto del manifesto che era stato affisso qualche giorno prima, non ha niente di fuorviante e lesivo; anzi il testo è veramente del tutto privo di ogni carattere diffamatorio. Ma Edison vuole sapere chi sono fisicamente gli autori di tale iniziativa. Vuole i nomi. Per fare che cosa poi, querelare un comitato di persone? Non credo proprio che il loro ufficio legale abbia tempo da perdere in inutili querele. Edison ha voluto solo lanciare un messaggio “a nuora perché suocera intenda”; un’azione solamente tesa a scoraggiare una mobilitazione delle persone.
Istituzionale la reazione del sindaco di Jesi Lorenzo Fiordelmondo: “Voglio tranquillizzare rispetto alla libertà di esprimere le proprie posizioni da parte dei Comitati di Quartiere, che tra l’altro sono stati istituiti e voluti fortemente proprio da questa amministrazione; nessuna vicenda potrà mai privare i cittadini, liberi o associati di esprimersi”. Anche la Edison, dopo che alcune forze politiche hanno fortemente stigmatizzato la richiesta di accesso agli atti per il manifesto, il 21 agosto in un comunicato spiega le ragioni dell’azione intrapresa: “a fronte dell’affissione di manifesti sul suolo pubblico che mettono in dubbio la salubrità dell’impianto, ha chiesto l’accesso agli atti per conoscerne in maniera certa i mittenti e affrontare così il tema in maniera costruttiva, volendo rassicurare la popolazione con argomentazioni specifiche per evitare allarmismi non motivati”.
Al contrario, la vicenda accaduta a Jesi è molto grave sul piano politico e civile, almeno per la storia della città e del territorio.
Una vicenda, nella sua provincialità, anch’essa paradigmatica di un fenomeno molto più vasto, a livello nazionale ed internazionale. Quello che è accaduto a Jesi sotto Ferragosto, segna un “salto di specie” rispetto alla storia industriale del territorio e un punto di non ritorno. Sta alla politica, se ne avrà volontà e capacità, e ai movimenti sociali della città, dare una risposta adeguata, capace di ristabilire nettamente alcuni confini. Il paradigma è quello della violenza e dell’arroganza delle multinazionali del fossile, dell’energia e dell’agroalimentare, nel comportarsi come padroni dei territori, nella volontà di perseguire ed raggiungere i loro scopi, che si possono sintetizzare in due parole: estrattivismo e profitto. Quello che succede da anni in tutto il mondo e che ha toccato anche la piccola provincia, come a Jesi, è l’espressione della ferocia del capitalismo, che trova da anni leggi e norme perfettamente tolleranti, fatte “su misura”, e la politica che, abbandonato da tempo, se mai l’ha praticato, il valore del conflitto, è solo capace di ripiegare sulla logica della mediazione e delle compensazioni. Ed infatti, è evidente che queste multinazionali non considerano più la politica il pericolo, il nemico o l’ostacolo ai loro obiettivi; con la politica poi, lo sanno bene, si raggiunge sempre il compromesso.
Riprendersi il proprio potere, si può fare
Quello che invece in tutto il mondo spaventa e terrorizza questi soggetti industriali e finanziari, sono le persone, i cittadini, e la loro volontà di riprendersi il proprio potere, che la politica a cui l’avevano delegato, non sa più far pesare e valere. Questo ce lo raccontano le tante esperienze quotidiane dei movimenti mondiali per la giustizia climatica e sociale, le loro lotte di disobbedienza civile nonviolenta, in cui la politica, anziché farsi carico delle loro richieste, scende a patti con il capitalismo più arrogante, e risponde alle persone che chiedono diritti, con la repressione poliziesca a militare. Questo in Europa senza spargimento per ora di sangue e con tanti arresti e carcere (basti pensare alla condanna recente di Roger Hallam, cofondatore di Extinction Rebellion), mentre nel sud del mondo, come in America Latina, la politica lascia fare alla strategia omicida dei sicari pagati dalle multinazionali per assassinare gli attivisti ambientali. La capacità di impedire nuovi soprusi ambientali, è quindi solo ormai in mano alla volontà delle persone di organizzarsi, mobilitarsi, lottare anche mettendoci il proprio corpo, consapevoli che il conflitto che va aperto non è più tra loro e la politica, che va lasciata a se stessa, agonizzante come lo sono le democrazie occidentali, ma tra loro e le multinazionali dell’estrattivismo. Uno scontro diretto, consapevoli che la politica, nella migliore delle ipotesi, sceglierà di non schierarsi direttamente con i soggetti industriali.
In questo a Jesi la società civile ha una grande opportunità di riscatto, dopo che per troppi anni tra Falconara Marittima e Fabriano ha lasciato fare di tutto. Basti pensare all’atteggiamento che tutte le forze politiche hanno avuto verso Fileni, che ha colonizzato con i polli la valle, con gravi problemi ambientali, con la quasi totalità degli abitanti che sono rimasti zitti a respirare ammoniaca e altre schifezze. Sull’impianto Edison per ora sono state raccolte, in pochi giorni, oltre duemila firme e sicuramente ne verranno raccolte altre. Ma se diventeranno solo dei fogli sopra un tavolo istituzionale, non avranno alcun senso e peso. La sfida per la città è di far diventare ogni firma un corpo disposto a mettersi in gioco, assumendosi la responsabilità dell’azione. E l’ipotesi di qualche migliaio di cittadini che portano il proprio corpo in strada, per molti è il peggiore degli incubi possibili. Anni fa la città ne avrebbe avuto la forza e il coraggio, come alcune cronache ricordano. Oggi è tutto da vedere, ma su questo ci aggiorneremo.