DIRITTO, NON CRIMINE. Per la Madre Terra e la giustizia sociale, ecologica e climatica
Rete in Difesa Di e Osservatorio Repressione
Con il contributo di: Ludovico Basili, Francesco Martone, Michel Forst, Controsservatorio ValSusa, Osservatorio Repressione, Rete In Difesa Di, Amnesty International, Legal Team Italia, Paola Bevere, Alessandro Gariglio, Alessandro Giannì (Greenpeace Italia), Fridays For Future, Extinction Rebellion, Ultima Generazione, Case Italia [Coalition Against SLAPPs in Europe], Osservatorio dei Balcani Transeuropa, Andrea di Pietro, Livio Pepino [Controsservatorio Valsusa]
Rapporto, Luglio 2024 - 114 pp.
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SOMMARIO:
- IN DIFESA DELLA MADRE TERRA E DEL CLIMA - FRANCESCO MARTONE
- MOVIMENTO NOTAV - LIVIO PEPINO
- L’EGEMONIA DELLA SICUREZZA - OSSERVATORIO REPRESSIONE
- ILDIRITTO DI PROTESTA PACIFICA IN EUROPA, L’ANALISI DI AMNESTY INTERNATIONAL - [A CURA DI] MARIAPAOLA BOSELLI
- PER MOTIVI DI PARTICOLARE VALORE MORALE E SOCIALE - [A CURA DI] LEGAL TEAM ITALIA
- LE CONSEGUENZE PENALI PER GLI ATTIVISTI E NON SOLO - AVV. PAOLA BEVERE
- LA LUNGA MARCIA DELLA REPRESSIONE - AVV.ALESSANDRO GARIGLIO, ALESSANDRO GIANNÌ
- EXTINCTION REBELLION - [A CURA DI] EXTINCTION REBELLION
- ULTIMA GENERAZIONE - [A CURA DI] ULTIMA GENERAZIONE
- FRIDAYS FOR FUTURE - [A CURA DI] FRIDAYS FOR FUTURE
- MOVIMENTO NOTAP. IL CONTRASTO AL GASDOTTO TAP IN SALENTO - AVV. ELENA PAPADIA
- IL CASO ITALIA - LIVIO PEPINO
- RACCOMANDAZIONI
- COSA SONO LE SLAPPs? - [A CURA DI] OSSERVATORIO DEI BALCANI TRANSEUROPA PER CASE [COALITION AGAINST SLAPPs IN EUROPE]
- COVA CONTRO - AVV. ANDREA DI PIETRO
Questo rapporto è il risultato di un lavoro collettivo coordinato dalla Rete In Difesa di e da Osservatorio Repressione. È il prodotto di un gruppo di lavoro informale promosso dalla Rete all’indomani della visita accademica di Michel Forst, Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i difensori dell’ambiente nell’ambito della Convenzione di Aarhus Michel Forst in Italia nell’aprile dello scorso anno.
Da allora, legali, avvocati di movimenti quali No TAP e No TAV, rappresentanti di organizzazioni tra le quali Greenpeace Italia, Amnesty International Italia, Yaku, A Sud, Extinction Rebellion, Fridays for Future, Ultima Generazione, Osservatorio Repressione, Per il Clima, fuori dal Fossile, Legal Team Italia e CASE Italia si sono incontrati periodicamente per scambiare esperienze e pratiche di supporto legale ad attivisti ed attiviste per l’ambiente e la giustizia climatica. Nel corso degli incontri sono state confermate le preoccupazioni già espresse dalle varie organizzazioni e dalla comunità internazionale riguardo leggi, provvedimenti e processi contro attivisti ed attiviste che praticano la disobbedienza civile e l’azione diretta nonviolenta, spesso etichettati come criminali, eco-vandali o nemici dell’ordine pubblico. La torsione repressiva vissuta da queste realtà in Italia è il riflesso di un fenomeno che da tempo persiste e si aggrava a livello internazionale e negli ultimi anni in Europa, in modo particolare. Nel caso dell’Italia, disposizioni normative adottate ad-hoc per contrastare, reprimere o dissuadere associazioni e movimenti dal praticare il loro legittimo diritto a difendere l’ambiente ed il clima, risultano in gravi restrizioni – se non violazioni – degli impegni internazionali riguardo il rispetto delle libertà civili, di espressione, associazione, manifestazione e la tutela ed il rispetto dell’operato di chi difende dei difensori dei i diritti umani e dell’ambiente. Negli ultimi mesi, infatti, il paese ha vissuto un’impennata di azioni legali e amministrative contro individui e gruppi che si sono spesi per la giustizia climatica, inclusi arresti, multe e misure preventive – come fogli di via e DASPO.
Tutto ciò stride con l’urgenza dimostrata dai fatti e dall’aggravarsi dell’emergenza climatica che sottende una più ampia crisi di sistema, nella quale l’avanzamento della frontiera estrattiva fossile, il degrado progressivo degli indicatori di salute del pianeta, l’aumento delle diseguaglianze sociali, va di pari passo con la restrizione progressiva degli spazi di agibilità civica, di protesta e di mobilitazione. I dati parlano chiaro. Senza una netta e radicale inversione di tendenza il Pianeta e l’umanità tutta soffriranno sempre più le conseguenze della crescita delle temperature su scala globale. Nonostante l’evidenza scientifica, però, gli impegni presi dagli stati risultano inefficaci, limitati se non contraddittori e dannosi. Secondo recenti stime piuttosto che diminuire l’estrazione di combustibili fossili aumenterà entro il 2030 rendendo così impossibile il perseguimento degli obiettivi di contenimento dell’aumento della temperatura globale sottoscritti nella conferenza delle Nazioni Unite ONU sul clima di Parigi nel 2015. In questo contesto, l’operato di chi si impegna per mobilitare l’opinione pubblica, denunciare ritardi ed incongruenze del paese nelle azioni di mitigazione e adattamento e compensazione degli effetti dei cambiamenti climatici risulta di importanza vitale come anche riconosciuto in vari consessi internazionali.
Inoltre, va ribadito come l’Italia sia tenuta a rispettare e tutelare le attività di chi difende i diritti umani anche al suo interno. E difensori dei diritti umani, secondo la definizione contenuta nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani (che lo scorso anno ha celebrato il suo 25esimo anniversario), sono coloro che, a titolo individuale o collettivo, si impegnano per il rispetto dei diritti dell’ambiente attraverso pratiche nonviolente. Pertanto, oggi gli attivisti e le attiviste, spesso descritti dai media, da taluna stampa e dai decisori politici come eco-vandali o ecoterroristi (addirittura è stato approvato un disegno di legge ad hoc che inasprisce le pene pecuniarie e di detenzione per attivisti ed attiviste che svolgono azioni dirette nonviolente in musei, o monumenti), stanno operando assolutamente in linea con gli standard internazionalmente riconosciuti riguardo la tutela e promozione dei diritti umani. Giova ricordare, al riguardo, come i procedimenti giudiziari intrapresi verso chi esercita il proprio diritto a manifestare trovano sempre il loro input in segnalazioni degli organismi di polizia, e sembrano rispondere più a direttive e decisioni di carattere squisitamente politico che a necessità di tutela dell'ordine pubblico o di repressione dei reati. Prova ne è che, se in molti casi le procure e poi i giudicanti hanno acriticamente fatto proprie le ricostruzioni degli organi di polizia, in molti altri, in specie a fronte di condotte non violente e/o di ipotesi di reato piuttosto “fantasiose”, le accuse sono cadute in dibattimento (se non già davanti al P.M., con richiesta di archiviazione).
La gran mole di precedimenti aperti e lo spropositato numero di persone sotto indagine (insieme all'introduzione di reati e di circostanze aggravanti specificamente modellati sulle proteste ambientaliste e ai reiterati aumenti delle pene previste per blocco stradale, da ultimo anche nel “Decreto Sicurezza” al vaglio del Parlamento che prevede il carcere per chi effettua blocchi stradali) hanno comunque prodotto, indipendentemente dall'esito dei procedimenti, quello che viene definito chilling effect ossia un disincentivo ad agire. Ulteriormente aggravato da sanzioni pecuniarie spropositate che di fatto, assieme alle alte spese legali, mirano ad azzoppare la capacità di iniziativa delle associazioni e movimenti, di fatto pregiudicando il diritto alla libertà associazione. Nel corso del nostro lavoro di analisi e elaborazione collettiva abbiamo potuto trovare ulteriore conferma del fatto che sotto un profilo strettamente giuridico, negli ultimi anni si sia in primo luogo assistito a un irrigidimento della normativa sanzionatoria, con l'innalzamento delle pene e l'introduzione di nuove fattispecie penali e/o di circostanze aggravanti che introducono trattamenti sanzionatori irragionevoli rispetto alle condotte concretamente tenute. Queste modifiche hanno, di fatto, costruito un diritto penale speciale per gli attivisti, e per gli attivisti ambientali in particolare, che contrasta sia con il principio di generalità ed astrattezza delle norme penali sia con i principi in materia di libertà di manifestazione del pensiero e di diritto di protesta sancite dalla Costituzione e dal diritto internazionale.
Le conclusioni del nostro lavoro di indagine e ricerca sono chiare: l’Italia, il governo, il Parlamento attraverso le loro iniziative, le narrazioni, le leggi mirate a contrastare, delegittimare, criminalizzare, denigrare chi protegge la Madre Terra e il clima violano o pregiudicano sistematicamente gli impegni presi a livello internazionale per quanto concerne i diritti umani, la difesa dei diritti umani e dell’ambiente, il diritto alla libertà di espressione e di associazione.
COSA CHIEDIAMO
1) Contrastare le narrazioni che dipingono i difensori dell’ambiente e i loro movimenti come criminali, riconoscendo pubblicamente l’importante ruolo svolto dai difensori e dalle difensore dell’ambiente e del clima e promuovere la tutela delle loro libertà di espressione, riunione pacifica e associazione astenendosi da qualsiasi forma di stigmatizzazione delegittimazione, denigrazione o criminalizzazione verso gli stessi.
2] L’uso ricorrente di pratiche di disobbedienza civile da parte di movimenti ambientalisti e per la giustizia climatica non deve costituire il pretesto per limitare lo spazio civico e l’esercizio delle libertà fondamentali.
3) Qualsiasi misura o pratica quali il ricorso a misure di contrasto al terrorismo o alla criminalità organizzata che risultino in un effetto dissuasivo sull’attivismo ambientale e climatico andrà prontamente abbandonata.
4) Andrà garantito che l’operato del settore giudiziario ed eventuali sentenze comminate riguardo i casi di protesta ambientale e per la giustizia climatica che comportino effetti dirompenti per l’ordine pubblico non contribuiscano alla restrizione degli spazi di agibilità civica o alla violazione dei diritti civili ed ambientali sottoscritti dall’Italia.
COMUNICATO STAMPA
“DIRITTO, NON CRIMINE”: PRESENTATO SULLA ARCTIC SUNRISE DI GREENPEACE
L PRIMO RAPPORTO ITALIANO SULLA REPRESSIONE DEGLI ATTIVISTI PER IL CLIMA
GENOVA, 04.07.24 – È stato presentato a bordo della nave MV Arctic Sunrise di Greenpeace ormeggiata al Porto Antico, il primo rapporto italiano sull’ondata repressiva che sta investendo chi manifesta pacificamente per la protezione dei territori e per la giustizia climatica. Il report, dal titolo “Diritto, non crimine. Per la Madre Terra, la giustizia sociale, ambientale e climatica”, è il primo documento redatto in Europa sul fenomeno ed è il risultato di un lavoro collettivo coordinato dalla Rete In Difesa Di e da Osservatorio Repressione. Alla presentazione, inserita tra le iniziative in programma della spedizione di Greenpeace Italia “C’è di mezzo il mare”, hanno preso parte Francesco Martone, portavoce di IDD, Ludovico Basili, giornalista e attivista, e Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia.
Il report è scaturito da un gruppo di lavoro promosso all’indomani della visita accademica nell’aprile 2023 in Italia di Michel Forst, relatore speciale delle Nazioni Unite per i difensori dell’ambiente, nell’ambito della Convenzione di Aarhus. Da allora, legali, avvocati di movimenti quali No TAP e No TAV, rappresentanti della rete In Difesa Di, organizzazioni tra cui Greenpeace Italia, Amnesty International Italia, Yaku, A Sud, Extinction Rebellion XR! Italia, Fridays for Future, Ultima Generazione, Osservatorio Repressione, Per il Clima fuori dal Fossile, Controsservatorio Valsusa e CASE Italia si sono incontrati periodicamente per scambiare esperienze e pratiche di repressione e difesa legale.
Nel rapporto si denuncia la crescente criminalizzazione della protesta pacifica per il clima, attuata attraverso leggi, provvedimenti e processi contro attivisti e attiviste che praticano la disobbedienza civile e l’azione diretta nonviolenta, spesso etichettati come “criminali”, “eco-vandali” o “nemici dell’ordine pubblico”. La torsione repressiva vissuta da queste realtà in Italia è il riflesso di un fenomeno che da tempo persiste e si aggrava a livello internazionale e in Europa, in modo particolare, negli ultimi anni.
«Nel caso dell’Italia, disposizioni normative adottate ad hoc per contrastare, reprimere o dissuadere associazioni e movimenti dal praticare il loro legittimo diritto a difendere l’ambiente e il clima risultano in gravi restrizioni – se non violazioni – degli impegni presi dal nostro Paese sul rispetto delle libertà civili, di espressione, associazione, manifestazione e sulla tutela e il rispetto dell’operato di chi difende i diritti umani e dell’ambiente», ha dichiarato Francesco Martone, portavoce della Rete in Difesa Di.
«Gli impatti sempre più evidenti della crisi climatica investono anche il nostro Paese, da Nord a Sud, così come evidenziano le cronache recenti e i dati da noi registrati», osserva Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia. «Anziché continuare a reprimere il dissenso nonviolento e alimentare una narrazione “anti-ambientalista” che non giova alla causa, politica, aziende e finanza dovrebbero comprendere che stiamo correndo un serio pericolo e ascoltare finalmente la voce di chi protesta per attuare misure concrete e mitigare gli effetti del surriscaldamento globale: è in gioco il futuro di tutte e tutti noi».
Negli ultimi mesi, l’Italia ha vissuto un’impennata di azioni legali e amministrative contro individui e gruppi impegnati per la giustizia climatica, inclusi arresti, multe e misure preventive, come fogli di via e DASPO. La gran mole di procedimenti aperti e lo spropositato numero di persone sotto indagine, insieme all’introduzione di reati e circostanze aggravanti specificamente modellati sulle proteste ambientaliste e ai reiterati aumenti delle pene previste per blocco stradale (da ultimo anche nella bozza di “Pacchetto Sicurezza” al vaglio del Parlamento), hanno comunque prodotto un disincentivo ad agire, indipendentemente dall'esito dei procedimenti. Un quadro ulteriormente aggravato da sanzioni pecuniarie spropositate che, insieme alle alte spese legali, mirano ad azzoppare la capacità di iniziativa di organizzazioni e movimenti, di fatto pregiudicando il diritto alla libertà di associazione.
«Le nostre richieste a governo e Parlamento sono chiare e fondate sul diritto internazionale», spiega Ludovico Basili di Osservatorio Repressione. «Anzitutto, contrastare le narrazioni che dipingono i difensori dell’ambiente e i loro movimenti come criminali e promuovere la tutela delle loro libertà di espressione, riunione pacifica e associazione. Garantire il diritto al ricorso a pratiche di disobbedienza civile senza limitare lo spazio civico e l’esercizio delle libertà fondamentali. Abbandonare ogni misura o pratica che risulti in un effetto dissuasivo sull’attivismo ambientale e climatico. L’operato del settore giudiziario ed eventuali sentenze riguardo i casi di protesta ambientale e per la giustizia climatica dovranno essere in linea con gli impegni internazionali sui diritti civili e ambientali sottoscritti dall’Italia», conclude Basili.
La presentazione è stato il primo appuntamento della due giorni promossa da Greenpeace Italia a Genova nell’ambito della spedizione “C’è di mezzo il mare” in difesa del Mediterraneo. Venerdì 5 luglio, è stata la volta del convegno “Obiettivo 30x30 - Proteggere il 30 per cento dei mari italiani entro il 2030”: all’incontro, moderato da Sara Del Dot, giornalista di E-Planet (Italia1), ha preso parte Giuseppe Onufrio e Giuseppe Ungherese, rispettivamente direttore esecutivo e responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia; Leonardo Tunesi di ISPRA; Giulia Bernardi di Blue Marine Foundation; il direttore Mauro Giorgio Mariotti, Lorenzo Merotti e Valentina Cappanera dell’Area Marina Protetta di Portofino; Ilaria Lavarello dell’Area Marina Protetta delle Cinque Terre; Pietro Cimmino, del DISTAV dell’Università degli Studi di Genova, che ha presentato il nuovo rapporto “Mare Caldo”, risultato dei monitoraggi effettuati dal DISTAV insieme a Greenpeace sugli impatti dei cambiamenti climatici nel Mediterraneo.
A bordo della storica nave dell’organizzazione ambientalista è salita la street artist Laika, che ha realizzato un’opera ispirata alla campagna di Greenpeace per la protezione degli oceani: l’artista si è quindi esibita in una performance live per terminare ed esporre il proprio lavoro.