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QUADERNI DELLA DECRESCITA n. 0/2 Periodico di ecologia, società e politica


QUADERNI DELLA DECRESCITA
Periodico di ecologia, società e politica
Anno 0 n° 0/2 - Gennaio/Aprile 2024, pp. 408.

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Pianeta e pace nelle mani sbagliate, di Paolo Cacciari

Siamo rimasti senza più parole per descrivere il dramma della condizione presente. Impietriti, atterriti da ciò che accade in Palestina. E in tante altre parti del mondo. Siamo senza più parole nel denunciare responsabilità, complicità nel genocidio, nell’ecocidio, nell’omnicidio. Eppure vorremmo tentare di rimanere lucidi. Pensiamo che vi sia un errore di fondo, una logica perversa che provoca l’allargamento della spirale di odio e di distruzione. La competizione, il capitalismo, il razzismo, il patriarcato. La decrescita tenta di sfidare e di rovesciare tutto ciò. Al collasso del clima e alla guerra contrapponiamo la cura del pianeta e la pace.

Inquadrare, procrastinare, incassare: il dispositivo delle COP e le alternative necessarie, di Marco Deriu

Si è da poco conclusa la 28 a Cop a Dubai, salutata dai principali commentatori come un passaggio storico grazie all’accordo finale che riconosce la necessità di allontanarsi dai combustibili fossili. Ma non tutti sono d’accordo sul bilancio di un documento che non prende impegni precisi e che lascia aperti molti margini temporali e interpretativi. Viceversa, è abbastanza chiaro cosa da questa COP hanno portato a casa i potentati politici ed economici. Dubai ha confermato il fatto che queste conferenze costituiscono un dispositivo per imporre un inquadramento alla discussione, per rallentare e procrastinare le scelte più difficili e per incassare un nulla osta agli investimenti per Gas, Nucleare e tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2. Ma davvero non ci sono alternative al sistema delle COP? O è venuto il tempo di spostare l’attenzione verso altri terreni e direzioni di lavoro?

Contro la retorica dell’emergenza, scegliere la libertà di movimento, di Chiara Marchetti

A partire da un recente discorso pronunciato da Giorgia Meloni sulla necessità (a suo parere) di contrastare l’insostenibile pressione migratoria a cui è sottoposta l’Italia, l’articolo si propone di smontare la retorica dell’emergenza e le spinte espulsive che circondano la gestione e la narrazione relativa ai flussi di migranti che cercano protezione in Europa, ricordando non solo la molteplicità di ragioni che spingono le persone a partire, ma anche la netta prevalenza tra i Paesi di destinazione di quelli in prossimità delle aree di crisi nel Sud globale. La consapevolezza che il cambiamento climatico è già un fattore moltiplicatore di crisi e conflitti e che ciò determinerà un rapido incremento (secondo alcuni autori esponenziale) delle migrazioni ambientali non deve tuttavia tradursi in una eccessiva enfasi sulle dimensioni soverchianti e incontrollabili di tali flussi, pena la riconferma della cornice emergenziale e la legittimazione di nuove politiche di chiusura. Per uscire dall’impasse della (mancata) protezione di queste migrazioni sempre più miste è invece necessario cambiare narrazione, cercando di sfuggire a un riduzionismo definitorio che assegna una priorità morale ai “veri” rifugiati a scapito degli altri e di trovare una nuova base per fondare una protezione coerente con le sfide del nostro tempo. Ciò sarà tanto più possibile nella misura in cui si avrà il coraggio di nominare anche le aspirazioni e lo spirito di rinnovamento che tali migrazioni portano nelle nostre decadenti società e di evocare la libertà di movimento anziché la vulnerabilità, la dimensione vittimale e il “bisogno” di protezione e assistenza.

Vent’anni di decrescita: un bilancio, di Serge Latouche

A vent’anni dal suo esordio il mondo della decrescita sembra soggetto a tensioni contrapposte.
Da un lato, come bene illustra Serge Latouche nel saggio che qui vi proponiamo, la narrazione della decrescita ha ottenuto un relativo successo nel comprendere nel medesimo orizzonte interpretativo diverse istanze critiche al modello dominante (ecologiche, socio-economiche, culturali, ecc.).
Dall’altro essa mostra da qualche tempo al suo interno approcci che sembrano procedere in direzioni diverse se non, per alcuni aspetti, contrapposte. L’antropologo David Graeber ritiene che le culture manifestino da sempre questa tensione alla “schismogenesi”, cioè a differenziarsi progressivamente da quelli che sono i tratti comuni che caratterizzano il mondo dei “padri” e dei propri immediati vicini. La diversità, si dirà, non è di per sé un male, a condizione però che questa diversità contribuisca, partendo da punti di vista diversi, ai diversi agenti di perseguire le medesime finalità. Altrimenti è facile che questa produca frammentazione che, nel tempo, possono tradursi in fratture e conflitti interni.

Lasciarsi lo sviluppo alle spalle: il caso decrescita, di Federico Demaria e Erik Gómez-Baggethum

Crescita, sviluppo e progresso - variamente addolciti da aggettivi come sostenibile, inclusivo, smart… - sono considerati sinonimi e costituiscono le basi ideologiche e ontologiche del sistema socio-economico dominante. Ma sono emerse molte evidenze empiriche che contraddicono e sfatano questo assioma. Da tempo, varie scuole di pensiero critico e, più recentemente, anche movimenti sociali, indigeni ed ecologisti, ritengono che sia necessario superare l’idea della crescita come precondizione per la soluzione di ogni tipo di problema. Si sono così sviluppate le ricerche che immaginano e ipotizzano un post-sviluppo e una decrescita. La sfida è dimostrare che si può gestire una società sostenibile, equa e prospera al di fuori dell’economia della crescita. Alcune proposte concrete e realistiche sono già state avanzate.

La conferenza internazionale di Zagabria. Tra lo scientifico e l’artistico, tra il personale e il politico, con qualche monito a cui prestare attenzione, di Silvio Cristiano

Qualche appunto dalla nona conferenza sulla decrescita, tenutasi in Croazia, con sessioni accademiche, artistiche e politiche, con un’atmosfera conviviale e all’interno di una rassegna culturale in tutta la città di Zagabria. Lungi dall’essere un resoconto scientifico, sono qui presentati alcuni aspetti positivi e alcuni esempi su cui sarebbe forse bene non abbassare la guardia quando si parla di sostenibilità ecologica, di equità sociale e di “cambiamento”.

I movimenti climatici si incontrano. Il primo World Congress for Climate Justice, di Niccolò Bertuzzi e Alice Dal Gobbo

Dal 12 al 15 ottobre scorsi si è tenuta a Milano la “Prima Internazionale per la Giustizia Climatica”: un evento importante che ha avuto l’ambizione di creare un momento di confronto per i movimenti anticapitalisti globali che portano avanti una lotta comune per la giustizia climatica. Questo contributo contestualizza l’evento all’interno della storia e dello stato presente del movimento, rilevandone in particolare l’originalità rispetto a tutte le precedenti occasioni di incontro internazionale, che sono avvenute come “contro-summit” rispetto a eventi istituzionali (prime fra tutti le COP). Nei quattro giorni del congresso si sono discusse le basi teoriche del movimento, e – anche se in misura minore – strategie per la lotta e la costituzione di una piattaforma climatica globale, dove la decrescita ha trovato spazi significativi di visibilità.

Ci rimane tempo? Scuola, lavoro, vita, di Renata Puleo

La sindemia (R.Horton) da Covid19 ha chiuso spazi e tempi della vita, ha contratto le fasi dell’educazione delle creature piccole intorno al luogo della macchina e della sua funzionalità lavorativa. Le tecniche, i dispositivi per la comunicazione, per il lavoro, per la quotidianità, hanno avuto un nuovo ruolo, assai più invasivo rispetto al passato. È cambiato il nostro modo di vivere, di parlare, di compiere azioni corporee. L’impatto culturale, sociale, in termini di cura della vita e della casa comune è esponenziale.

La percezione sensoriale nella società dell’informazione, di Renato Galeotti

Per millenni la vita degli esseri umani ha avuto radicamenti profondi in territori specifici e, per millenni, i sensi sono stati la porta della conoscenza: gran parte dei giudizi da cui dipendevano opinioni e comportamenti di ogni persona si fondavano su informazioni che gli organi di senso attingevano dall’ambiente circostante. Poi il modello globalista e sviluppista si è imposto allontanandoci progressivamente da ambienti tangibili per consegnarci a uno scenario translocale. Una delle conseguenze di questo mutamento di prospettiva è stata proprio la marginalizzazione del ruolo dei sensi e la consegna di spazi sempre più estesi della nostra esistenza a confezionatori di informazioni. La riconquista dei sensi sembra essere un presupposto irrinunciabile per interrompere la dipendenza delle periferie dal centro e per costruire il riscatto di ogni territorio.

Le nuove tecniche di modificazione genetica: rischi e problemi, di Gianni Tamino

Gli OGM attualmente sul mercato sono il risultato di una visione riduzionista e determinista dei processi biologici e, grazie alla loro brevettabilità, favoriscono la privatizzazione degli organismi viventi da parte di alcune multinazionali. Tuttavia la loro diffusione negli ultimi tempi non è cresciuta e ovunque si è sviluppata una netta opposizione al loro utilizzo e consumo. Per queste ragioni da vari anni si discute di nuove tecnologie di modificazione genetica che, a differenza degli attuali OGM, non utilizzino metodi di transgenesi, cioè il trasferimento con la tecnica del DNA ricombinante (o ingegneria genetica) di geni provenienti da un qualunque organismo nel DNA di una pianta di interesse agricolo. In particolare l’attenzione delle multinazionali e dei biotecnologi è rivolta a tecniche chiamate cisgenesi e genome editing.Lo scorso maggio le Commissioni Agricoltura e Ambiente del Senato hanno approvato un emendamento al Decreto Siccità, che prevede la possibilità di sperimentare in agricoltura queste nuove biotecnologie, identificate con il termine italiano TEA (tecnologie di evoluzione assistita) o con l’inglese NBT (New breeding techniques). Più recentemente, in luglio, la Commissione Europea ha presentato una proposta che tende ad esentare la maggior parte delle NBT dall’attuale regolamentazione sugli OGM. Un tentativo che ha visto la protesta del mondo ambientalista e di quello legato all’agricoltura biologica.

Faust fermato a Napoli. Ad Uso Civico e Collettivo, un percorso di co-progettazione, di Gaetano Quattromani

Ad Uso Civico e Collettivo è stato un percorso di co-progettazione avviato per immaginare l’impiego di un finanziamento complessivo per ventitré milioni e mezzo di euro, destinato per interventi riguardanti le strutture gestite dalle comunità di Scugnizzo Liberato ed Ex-OPG Je so’ pazzo, in due quartieri popolari del centro storico di Napoli. Tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023, attivisti e attiviste delle due comunità, abitanti, figure esperte di vari ambiti disciplinari, La Scuola Open Source e il Comune di Napoli hanno realizzato incontri e ricerche per analizzare i bisogni del territorio e le potenzialità delle due strutture. Un processo di immaginazione collettivo che sovverte i consueti andamenti “faustiani” della decisionalità neoliberale: i beni comuni napoletani ispirano nuovi indirizzi per politiche realmente progressive.

Calabria dolente e resistente. Il lungomare Laqualunque e altri ecocidi, di Aldo Femia

Qui si raccontano storie poco edificanti di cementificazione della spiaggia, di malagestione dei rifiuti, di pale eoliche selvagge. Si celebrano anche – rubando loro le parole che descrivono problemi e battaglie – alcune realtà che resistono a consumo di suolo, scempio del territorio, esproprio di naturalità e di bellezza ai danni di chi vive nelle periferie dell’impero capitalistico e a beneficio di consumi inutili e alienanti. Queste storie e realtà sono accidentalmente ambientate in Calabria, regione particolarmente martoriata da cemento e malaffare, ma la lotta contro un’idea insostenibile di sviluppo, che ha sfregiato e compromesso gran parte dei territori dell’Italia meridionale, è azione locale che parla all’intero paese e oltre

Arte e decrescita, dal lato estetico al senso etico, di Serena De Dominicis

Nell’alveo dell’urgente e attualissimo dibattito sulla sostenibilità ambientale e sociale, si colloca un particolare approccio dell’arte contemporanea che rivela inaspettate tangenze con le posizioni degli “obiettori di crescita”. Quella del rapporto tra arte e pensiero decrescente è evidentemente un’area poco visibile e ancora meno esplorata, che pure accoglie convergenze significative per radicalità e originalità sia a livello tematico sia metodologico. Una mappatura sintetica delle mostre sul tema apparse in Europa dal 2009 introduce all’incursione nel particolare del lavoro di otto artisti internazionali.

Laudato Si’. Un addendum, di Daniela Padoan

L’esortazione apostolica sulla crisi climatica Laudate Deum pubblicata da papa Francesco a otto anni di distanza dall’enciclica Laudato si’ torna a rivolgersi a credenti e non credenti, più precisamente a «tutte le persone di buona volontà», per dire che senza la percezione di essere parte di una comunità con la natura e il vivente, non potremo articolare un’efficace risposta all’erosione climatica e ambientale che minaccia la nostra sopravvivenza sul pianeta; e per ricordarci che, per quanto importanti possano essere gli sforzi della diplomazia e delle istituzioni globali, è necessario costruire un «multilateralismo dal basso» per controllare e indirizzare il potere politico.

Qualche nota sull’ecologia profonda, di Guido Dalla Casa

Breve presentazione del movimento di pensiero noto come ecologia profonda che offre una visione sistemica-olistica della Terra, considera il valore “in sé” di tutte le entità naturali e l’uomo in natura come specie animale, parte di un tutto. Una visione che richiede l’uscita dall’antropocentrismo, dal materialismo, e l’abolizione completa di ogni crescita economica e demografica.

La decrescita come lotta di classe, di Lorenzo Velotti

Il primo World Congress for Climate Justice, svoltosi a Milano l’ottobre scorso, ha visto la partecipazione di centinaia di giovani attivisti dei movimenti ecologisti, provenienti anche da paesi non europei, assieme a ricercatori universitari e di istituti scientifici come Research & Degrowth di Barcellona. Assieme è possibile costruire una grande convergenza di lotte sociali e ambientali per uscire dalla società dominata dall’imperativo della crescita economica.

Sufficienza energetica. Per una transizione energetica equa e (quindi) efficace, di Osman Arrobbio

In questo articolo si affronta il concetto di sufficienza energetica e la necessità di ridurre il consumo di servizi energetici in modo equo, considerando i limiti ecologici. Si esaminano le disuguaglianze nelle emissioni di gas a effetto serra e si sottolinea la priorità di ridurre i consumi delle fasce di popolazione che contribuiscono in modo più significativo alle emissioni. La strategia della sufficienza energetica deve essere parte integrante di piani a lungo termine, insieme a efficienza energetica e rinnovabili, per affrontare le sfide ambientali e climatiche. Il movimento della decrescita può contribuire a promuovere la sufficienza energetica come strategia prioritaria per la transizione energetica.
 

Neutralità climatica ed equità: il potenziale inesplorato della sufficienza. Riflessioni dal progetto CLEVER, di Fabien Baudelet, Stephane Bourgeois, Yves Marignac - Association négaWatt

Nonostante gli sforzi, l’Unione Europea non è ancora sulla strada giusta per stare entro la sua equa quota del risicato budget di carbonio a disposizione per limitare il riscaldamento climatico a 1,5 °C. Attualmente, le strategie dell’Unione Europea per la riduzione delle emissioni di gas serra si concentrano sull’efficienza e sulle energie rinnovabili. È giunto il momento di sbloccare il potenziale della sufficienza energetica, che riguarda il cambiamento della natura e del livello di consumo di servizi energetici. Secondo le stime dello scenario CLEVER (Collaborative Low Energy Vision for the European Region), è possibile ridurre del 55% il consumo di energia finale nella UE nel 2050 rispetto al 2019 ed è possibile raggiungere la neutralità climatica nel 2045. A patto che la sufficienza diventi parte integrante e di prim’ordine della politica energetica e climatica della UE.

Le comunità energetiche rinnovabili come nuove forme di prosumerismo tra modernizzazione ecologica e decrescita, di Natalia Magnani e Ivano Scotti

Le comunità energetiche rinnovabili (CER) configurano una forma particolare di prosumerismo che può promuovere la partecipazione democratica, il controllo dal basso e la consapevolezza del nesso tra crisi climatica ed energia. Tali esperienze presentano quindi svariati punti di contatto con la riflessione sulla decrescita. Il presente contributo intende chiarire le possibili connessioni tra decrescita e comunità energetiche partendo da sei rilevanti dimensioni analitiche presenti nella letteratura internazionale e confrontandole criticamente con l’esperienza empirica delle CER in Italia. Tale analisi evidenzia come le CER possano configurarsi sia come esperienze concrete di decrescita che come strumento di consolidamento di una società della crescita verde suggerendo alcuni nodi problematici da affrontare per definire l’esito di queste esperienze.

Promuovere dal basso la transizione energetica: il modello di ènostra, di Marianna Usuelli

Una transizione energetica democratica e partecipata si può attuare anche grazie alle cooperative che producono e rivendono ai propri soci energia da fonti rinnovabili. L’esperienza di ènostra dimostra non solo che è possibile finanziare dal basso impianti di produzione collettivi e favorire la creazione di Comunità energetiche rinnovabili, ma anche favorire quella sobrietà energetica necessaria per la riduzione dei consumi.

Rinnovabili selvagge e profitti per pochi, o tutela del paesaggio e diritti per tutti?, di Domenico Finiguerra

Chi opera in difesa del territorio e del paesaggio da alcuni anni deve fronteggiare nuovi ed insidiosi avversari: i promotori delle energie rinnovabili, i loro immensi campi fotovoltaici su suoli agricoli e colline bene esposte al sole e i loro filari di torri alte 200 metri. Forti della narrazione green e del vento favorevole, gli speculatori del kWh mietono profitti ai danni della bellezza e del paesaggio. Ma la nostra Costituzione serve a qualcosa?

Civitavecchia, l’eolico off-shore di un vasto fronte sociale, di Mario Agostinelli

Il progetto di riconversione della centrale a carbone di Civitavecchia da carbone a fonti rinnovabili è il frutto dell’opposizione di un vasto fronte sociale alla reiterazione del modello fossile sul territorio e costituisce una risposta democratica e partecipata alle questioni che riguardano l’impiego di energia. Grazie a una presa di coscienza larga e determinata della popolazione, è stato possibile presentare un piano di produzione di energie rinnovabili alternativo e credibile che ha trovato un investitore e sta per essere attuato.

Colonialismo e giustizia energetica in Sardegna, di Cristiano Sabino

Questo articolo esamina criticamente il fenomeno della “colonizzazione energetica” nella regione Sardegna, concentrandosi sulla narrazione che sta alla base dell’attuale processo di “conquista” della terra sarda da parte delle multinazionali del sole e del vento. Un focus particolare è riservato alla sperequazione tra gli obiettivi di fonti rinnovabili assegnati alle regioni del Sud e delle isole da una parte e alle regioni del Nord dall’altra. L’articolo si conclude con una decostruzione dell’ideologia di “Sardegna hub energetico del continente” e sulla necessità di lavorare ad un modello di giustizia energetica, praticando la democrazia, la compatibilità con i territori e la sovranità, attraverso modelli che siano sotto il controllo diretto delle comunità e che rappresentino per esse una scelta consapevole, all’interno della messa in discussione dell’attuale modello di sviluppo.

Il (difficile) cammino verso la decarbonizzazione, di Luciano Celi, Luca Pardi, Stefano Tiribuzi

Usando un modello sviluppato da uno degli autori (ST) si indaga la possibilità di coprire il fabbisogno energetico italiano dell’anno 2019 con sole fonti elettriche e rinnovabili. L’analisi mostra le potenzialità e le difficoltà della transizione evidenziando la necessità di una riflessione profonda sulla struttura produttiva, energetica, e in ultima analisi politica e sociale del paese.

Tagliare un bosco fornisce energia rinnovabile?  di Jacopo Simonetta

In un quadro mondiale di rapido peggioramento delle condizioni ambientali, l’Europa poteva vantare il notevole successo di un sostanziale raddoppio della propria superficie boscata, caso unico al mondo. Purtroppo, in un disperato tentativo di rilanciare una crescita economica che ormai sta impattando contro limiti invalicabili, i governi europei hanno deciso, fra l’altro, di sacrificare anche le proprie foreste. La maggior parte dei boschi italiani ed europei potrebbero benissimo sopportare operazioni di taglio e perfino avvantaggiarsene, a condizione però di pianificarli e gestirli sulla base di criteri molto diversi da quelli oggi adottati. Al di là delle dichiarazioni, l’attuale impostazione selvicolturale, non tiene infatti alcun conto delle difficoltà ambientali odierne, prima fra tutte il veloce peggioramento del clima. Il risultato è un rapidissimo degrado del patrimonio arboreo costruito nei 70 anni scorsi e, continuando così le cose, fra non molti anni le conseguenze negative cominceranno a farsi evidenti non solo in materia di patrimonio arboreo, ma anche di erosione dei suoli montani e di dissesto idrogeologico in pianura.

Scenari di decarbonizzazione per il continente africano, di Gianni Silvestrini

Il continente africano ha visto una progressiva attenzione nei confronti dei suoi giacimenti di gas e petrolio, e più recentemente verso le materie prime necessarie per la transizione energetica. Del tutto marginali invece gli investimenti nel solare e nell’eolico, malgrado l’enorme potenziale del continente. I vari programmi, come Desertec, lanciati per la produzione di grandi quantità di elettricità verde da utilizzare in loco ed esportare in parte in Europa sono naufragati, anche per l’irruzione delle primavere arabe. L’interesse dei paesi europei per l’idrogeno sta però recentemente facendo decollare una serie di progetti in Africa per la sua produzione grazie al sole e al vento. Le rinnovabili potranno inoltre facilitare l’accesso all’elettricità ai 600 milioni di abitanti che ne sono ancora privi. Più in generale, gli scenari di decarbonizzazione dei prossimi decenni comporteranno la riduzione dell’estrazione di combustibili fossili e favoriranno la produzione di idrogeno.

CCS, perchè l’industria fossile ci guadagna quattro volte, di Federico M. Butera

l futuro del sistema energetico italiano, come è prefigurato nel PNIEC 2030, si caratterizza per un ancora significativo ricorso alle fonti fossili, le cui emissioni di CO2 non verrebbero immesse in atmosfera ma sotterrate mediante una tecnologia rischiosa, costosa e non provata, frenando lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Da questo approccio, unito alla promozione dei biocarburanti e al progetto di fare dell’Italia non solo un hub europeo del gas fossile ma anche un hub mediterraneo per lo stoccaggio della CO 2 nei giacimenti esausti dell’Adriatico, avrebbe il massimo beneficio l’ENI. Altre scelte contenute nel PNIEC mostrano di favorire alcune potenti lobby industriali e dell’agricoltura, principalmente sacrificando l’attuazione dell’economia circolare, perché i principi su cui si fonda ribaltano il modello economico e culturale attuale, che invece si vuole mantenere.

Fissione, fusione, scorie nucleari e limiti fisici, di Angelo Tartaglia

Vengono descritti i processi nucleari corrispondenti sia alla fissione che alla fusione e si illustrano le caratteristiche dei reattori a fissione evidenziando i problemi connessi con la produzione delle scorie. Vengono altresì analizzate e criticate alcune delle rappresentazioni ingiustificatamente ottimiste diffuse dai propugnatori della soluzione nucleare al problema dell’energia e del collasso climatico imminente. Si conclude evidenziando la strutturale insostenibilità dell’economia corrente che non può essere curata con mitiche soluzioni tecnologiche capaci di violare le stesse leggi della fisica.

Lettera dalla Francia: l’Italia deve tornare al nucleare?, di Stéphane Lhomme

Mentre i conflitti sembrano moltiplicarsi, in particolare se si considerano quelli in Ucraina e in Palestina, i prezzi energetici sono estremamente volatili e possono talvolta arrivare a livelli letteralmente inconcepibili, al punto che alcune fasce di popolazione, in particolare quelle più povere, non riescono più a scaldarsi. Di fronte a questa situazione assai difficile, l’industria nucleare dichiara di avere in mano la soluzione: basta costruire dei reattori e tutto finirà per sistemarsi, o quasi.

Dieci ragioni per cui il regolamento sulle materie prime critiche proposto dalla Commissione europea non è sostenibile - e come risolverlo, di Somo (Alejandro González)

L’approvvigionamento delle materie prime critiche e strategiche è un tassello fondamentale della transizione energetica, ma anche uno dei suoi snodi più controversi. La proposta di regolamento in discussione a Bruxelles, troppo sbilanciata a favore di imprese e investitori, non affronta il consumo insostenibile di questi materiali nell’UE, prevede la sospensione degli standard ambientali, ignora la partecipazione della società civile ai progetti, non considera i rischi per i diritti umani. Undici raccomandazioni al legislatore europeo.

Dimensioni psicoculturali della transizione energetica,di Bruno Mazzara

Il tema della transizione energetica è stato molto approfondito sul versante tecnico e su quello socio-politico, ai quali però va necessariamente aggiunto il versante psicoculturale, spesso trascurato in nome della giusta enfasi che nell’ambito del pensiero critico si dà alla dimensione economica e strutturale. Molta ricerca è già disponibile relativamente agli aspetti psicologici e culturali legati all’uso dell’energia nella vita quotidiana. Oltre a ciò, è però necessario considerare anche gli effetti della più ampia cultura del consumo, su cui in definitiva si fonda il modello di sviluppo fondato sulla crescita e sulla presunta separatezza e superiorità degli esseri umani rispetto alla natura. La transizione energetica non può quindi realizzarsi se non in associazione con una transizione psicoculturale.

Decrescita come forma di immaginazione politica. Il contributo degli immaginari sociotecnici, di Stefano Magariello

Il concetto di immaginario sociotecnico (sociotechnical imaginary) è usato nei Science and Technology Studies per indicare visioni di futuro considerate desiderabili da un qualche tipo di collettività ed è stato utilizzato proficuamente in studi sociali sugli attuali processi di transizione energetica e decarbonizzazione. Il concetto è intrinsecamente politico e si presta sia all’analisi di visioni dominanti che di visioni alternative. L’articolo passa in rassegna la storia del concetto per fare il punto su come possa essere utilizzato per contestualizzare alternative ai discorsi dominanti sulla sostenibilità come la decrescita.

Decarbonizzare l’immaginario culturale: verso molteplici dichiarazioni d’interdipendenza, di Mauro Van Aken

Il fossile non è solo il combustibile dello “sviluppo” e della modernità, ma è stato il combustibile di un apparato simbolico, di un modello cosmologico e di una specifica idea di umano: un modo di immaginare il mondo come “natura”, un campo separato “là fuori”, a disposizione, e la rimozione delle relazioni e interdipendenze con nonumani. Non saper leggere più la nostra dipendenza e limiti nei contesti ecologici rende impensabile la crisi climatica, proprio perché sembra di non trovare significati condivisi, e quindi anche pratiche di cambiamento, in un mondo che cambia a partire dagli attori del vivente. È un grande ribaltamento di prospettiva rispetto alle culture del fossile che ben denota la trasmutazione di valori e il senso di disorientamento: uno spaesamento che si presenta socialmente traumatico con i processi di diniego annessi. Ma nell’emergenza climatica, emerge anche qualcosa di vitale: scopriamo, dopo la sbornia e onnipotenza del fossile, di essere interdipendenti a legami di co-fragilità e co-dipendenza nel vivente.

Rappresentazioni sociali e comunicazione dell’energia sostenibile, di Mirella de Falco, Mauro Sarrica

La transizione energetica è un fenomeno che, per la sua complessità, interessa le scienze sociali su più livelli. Le istituzioni, la comunità scientifica, e le comunità locali esprimono la propria voce attraverso strumenti la cui risonanza sembra premiare una visione tecnocentrica della transizione; questa visione non è, però, l’unica diffusa presso questi gruppi. A monte dei processi psicosociali che ne guidano discorsi e pratiche, infatti, sussistono almeno quattro diverse rappresentazioni dell’energia: l’energia come merce; l’energia come bene strategico; l’energia come risorsa ecologica; l’energia come questione sociale. Queste rappresentazioni vengono illustrate e collegate ad un’ulteriore visione dell’energia e della transizione, che consiste nel paradigma della decrescita.

Quanta energia?, di Mario Sassi, Nello De Padova, Giovanni Piazzo

La crisi ecologica, sempre più grave e innegabile, di cui il cambiamento climatico è solo la manifestazione più evidente, è causata dall’impatto delle attività umane sulla biosfera: la relazione tra crescita economica e disgregazione ecologica è ormai ben dimostrata a livello empirico. Data l’impossibilità di un vero disaccoppiamento, occorre una drastica riduzione pianificata del consumo di energia e risorse – cioè, la decrescita. Secondo i nostri calcoli, l’Italia dovrebbe ridurre i propri consumi (materiali ed energetici) di circa il 75%, cioè tornare ai consumi degli anni ‘70. In questo articolo proviamo a dimostrare che questa riduzione è necessaria (per non peggiorare la crisi ecologica), è giusta (perché permetterebbe una buona vita a tutti) ed è anche l’unica strategia percorribile.

Energia e iniquità in Ivan Illich, di Francesco Zevio

Sostengo che, al di là di un certo livello critico di consumo energetico pro capite, il sistema politico e il contesto culturale di una società non possono che degradarsi. Una volta oltrepassato il quantum critico di energia pro capite, è ineluttabile che le garanzie giuridiche dell’iniziativa personale e concreta vengano soppiantate dall’educazione agli astratti obiettivi di una tecnocrazia. Questo quantum segna il limite in cui l’ordine legale e l’organizzazione politica devono collassare, il limite in cui la struttura tecnica dei modi di produzione fa violenza alla struttura sociale. (Ivan Illich, Energia e equità)

La decrescita dell’ego, di Federico Calò Carducci
La Terra è un unico organismo. L’essere umano non è altro dalla natura, l’essere umano è natura, noi siamo natura. La natura è il nostro corpo e il nostro corpo è la natura. Il nostro corpo non finisce con la pelle

I rifugi antispecisti e la peste suina africana, di Susanna Panini, Marco Reggio
Dopo aver richiamato gli eventi che hanno portato allo sgombero del presidio al rifugio Cuori Liberi di Sairano (Pavia) con l’uccisione dei maiali lo scorso 20 settembre, ricostruiamo brevemente il contesto degli interessi economici e politici in cui sono maturati i fatti. Successivamente, esaminiamo alcuni punti significativi delle successive mobilitazioni animaliste e antispeciste, per approfondire infine le caratteristiche principali e il ruolo dei rifugi per animali cosiddetti “da reddito” nel movimento di liberazione animale italiano e nelle lotte per i diritti animali.

Le Assemblee Climatiche in Europa: opportunità, limiti e questioni aperte, di Marco Deriu

Negli ultimi anni, in Europa, si sono registrate 11 casi di assemblee per il clima a livello nazionale, senza contare le esperienze regionali o cittadine: in Irlanda, Francia, Regno Unito, Danimarca, Scozia, Isola di Jersey, Finlandia, Germania, Spagna, Austria, Lussemburgo. Pur con evidenti limiti legati agli scopi preconfigurati di queste assisi e alla difficoltà di integrare effettivamente i risultati nelle politiche dei rispettivi governi nazionali, queste esperienze dimostrano che c’è un ampio spazio per ampliare le forme e le modalità di partecipazione democratica; e che i/le cittadine, se messi nelle condizioni di approfondire e discutere a fondo i problemi, possono compiere scelte e delineare prospettive di lavoro più avanzate di quelle messe in campo dalle istituzioni tradizionali.

Una Giusta Causa contro l’ENI, di Luca Manes
Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadine e cittadini italiani hanno intentato una causa civile nei confronti di ENI per i danni già subiti e per quelli futuri derivanti dai cambiamenti climatici, a cui la più potente multinazionale italiana ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone consapevole.

Fuori le aziende del fossile dalle Università, di End Fossil Roma

Per quindici giorni, dal 26 maggio al 7 giugno del 2023, il prato di fronte all’edificio del dipartimento di Geologia all’Università La Sapienza di Roma si è tinto di tende e slogan ecologisti. La contestazione rispondeva alla chiamata internazionale di End Fossil - May We Occupy: una campagna che, in tutta Europa e non solo, ha coordinato momenti di mobilitazione e occupazione, in luoghi di formazione o siti istituzionali, contro l’economia fossile.

Gli scienziati del clima non credono alla crescita verde, di redazione

Gli scienziati del clima sono scettici sulla crescita verde. Non sono convinti che la crescita economica continua possa essere compatibile con gli obiettivi di sostenibilità: il decoupling tra aumento del PIL e la pressione sull’ambiente, in particolare l’emissione dei gas climalteranti, sembra loro una chimera. È il risultato di un sondaggio1, effettuato tra 789 ricercatori di 73 paesi che si occupano in varie discipline di politiche di mitigazione del cambiamento climatico

Nascondere la plastica sotto il tappeto, di redazione

Dopo il colossale inganno dei crediti di carbonio, fallace tentativo di affidare a meccanismi di mercato la riduzione delle emissioni climalteranti, arrivano i crediti di plastica, con corollario di impronta plastica, compensazione della plastica e neutralità plastica. Identico copione, medesimo bluff.

La decrescita si organizza, è nato l’International Degrowth Network, di Lee Manduzzi

l 28 agosto 2023, in un centro sociale nel cuore di Zagabria (in Croazia), è stato uno di quei giorni che cambieranno un movimento per sempre. Diversi attori, gruppi e organizzazioni, autoriconosciuti come parte del movimento decrescentista, si sono riuniti per darsi una struttura formale.

Il lavoro in una prospettiva di decrescita. Materiali di un convegno dell’Associazione per la Decrescita e COBAS

Nell’ambito delle celebrazioni del ventennale del Forum Sociale Europeo si sono svolte a Firenze, nel novembre del 2022, varie iniziative e seminari di approfondimento sui temi della crisi della globalizzazione neoliberale, tra questi un incontro sul tema del lavoro in una prospettiva di decrescita, organizzato dalle due associazioni italiane per la decrescita (Movimento per la Decrescita Felice e Associazione per la decrescita), dalla Società della Cura e dai Cobas del lavoro privato. Su invito e per iniziativa soprattutto dei Cobas della Telecom, impegnati in una importante vertenza contro la progressiva privatizzazione e lo scorporo dell’azienda, è stata fornita una Traccia di discussione con cui si sono confrontati vari invitati. Pubblichiamo qui di seguito alcuni degli interventi rielaborati dagli autori/trici. Nell’ordine: Eliana Caramelli (Cobas), Guido Viale (Associazione Laudato si’ Milano), Alessandro Pullara (delegato Rsu Cobas TIM), Francesco Gesualdi (Centro Nuovo Modello di sviluppo), Gennaro Ferrillo (Rete beni comuni e Società della Cura), Nello De Padova (Movimento per la Decrescita Felice), Stefania Grillo, Antonio Zotti (Cobas Tim Bari), Paolo Cacciari (Associazione per la decrescita).

Altri contributi, recensioni/segnalazioni

-Comunità e decrescita, A cura del gruppo di lavoro omonimo dell’Associazione per la Decrescita – Italia
-In marcia contro le opere ecocide, di Sollevamenti della terra in marcia
-La scomparsa di Alberto Magnaghi, un grande vuoto per la cultura territorialista, di Sergio De La Pierre
-Due ricordi per Massimo Scalia, di Elio Pagani, Mario Agostinelli
-Timothée Parrique, Ralentir ou périr. L’économie de la décroissance, recensione di Letizia Molinari
-Paola Imperatore e Emanuele Leonardi, L’era della giustizia climatica. Prospettive politiche per una trasformazione ecologica dal basso. Intervista a Emanuele Leonardi di Paolo Cacciari
-Onofrio Romano, Go Waste. Depensamento e decrescita, recensione di Alvise Marin
-Charles Eisenstein, Clima. Una nuova storia, recensione di Paolo Cacciari

-Marino Ruzzenenti e Giordano Mancini, Ecologia e autarchia. Cento anni di genio italiano per la transizione ecologica. Intervista a Mario Ruzzenenti di Maria Elena Bertoli
-Jonathan Crary, Terra bruciata. Oltre l’era digitale verso un mondo postcapitalista, recensione di Alvise Marin
-Vaclav Smil, Crescita. Dai microrganismi alle megacity, recensione di e.d.

Call for paper

Quaderni della decrescita, n. 4 Marxismo e decrescita. Un dialogo difficile, ma necessario
Quaderni della decrescita, n. 5 Decrescere per ben crescere. La questione pedagogica nell’ottica della decrescita


 

03 agosto 2024 (pubblicato qui il 06 agosto 2024)