
Introduzione generale - Seconda parte
L'EPOCA COLONIALE
Il 1492, l'anno del contatto europeo con i Caraibi e le Americhe, segna un punto di svolta nella storia mondiale. Per i popoli e le culture indigene di America rappresenta una rottura fondamentale e persino la fine dei loro mondi. Dal punto di vista dei conquistatori europei emerge il cosiddetto "Nuovo Mondo", che alterò la visione medievale del mondo esistente. Per la prima volta emerge l'immaginazione
di un "mondo unico" globale. Allo stesso tempo, la conquista e la colonizzazione delle Americhe diventano il punto di partenza per la formazione di un sistema mondiale capitalista.
In questo modo il 1492 segna una pietra miliare nella storia ambientale. Si avvia uno scambio intercontinentale di biota che cambia fondamentalmente sia il "Vecchio" che il "Nuovo Mondo". Piante provenienti dall'America, come patate, pomodori o mais, lasciano la loro impronta nelle culture europee e diventano alimenti nazionali. Allo stesso tempo si fa strada in Europa lo zucchero di canna che fornisce le riserve energetiche per la successiva rivoluzione industriale. Le Americhe sono oggi difficili da immaginare senza il biota introdotto dai colonizzatori europei, da banane, agrumi e caffè, fino a galline, mucche, maiali, pecore e cavalli.
Nel 1492 inizia anche una trasformazione socio-ambientale su larga scala dei paesaggi caratterizzati dall'uso del suolo indigeno a paesaggi europeizzati. Da questo brusco cambiamento nasce l'accumulazione di capitale estrattivista. È importante riconoscere che, evidentemente, l'ambiente caraibico e americano non fu ampiamente modificato solo dagli europei ma già da prima, durante millenni, subì modifiche dalle numerose e diverse popolazioni indigene che abitavano entrambi i continenti, così come l'arcipelago caraibico. Il nostro argomento a favore del 1492 come punto di inflessione è su scala e intensificazione. Ovvero, con l'arrivo del contatto europeo si generalizzano pratiche specifiche di sfruttamento ed estrattivismo senza precedenti nel continente. Infatti, l'introduzione di nuove specie ha favorito la conquista delle popolazioni indigene, così come il dominio di vaste zone rurali del territorio americano.
Uno dei processi "antropogenici" della fase coloniale fu il rimboschimento massiccio verificatosi dopo i genocidi delle popolazioni indigene, come conseguenza degli agenti patogeni e della violenza europea. L'argomento degli scienziati naturalisti, che hanno modellato questo processo, sostiene che il disuso dello spazio agricolo liberato ha portato a una ricrescita su larga scala della copertura forestale, che è un enorme pozzo di CO2 e che ha raffreddato in modo tangibile il clima nel 1610. Questa ipotesi è conosciuta come l'ipotesi della spiga di Orbis, ed è stata anche suggerita come il principio
dell'Antropocene. Si tratta di un tema molto controverso nelle scienze del clima, dato che questo periodo è anche associato all'inizio della Piccola era glaciale, ma solleva importanti questioni sul rapporto tra le società umane e il sistema Terra. In ogni caso, la continuità del processo coloniale ha invertito questa dinamica ambientale, producendo un'estesa deforestazione.
Dall'altro lato, l'epoca coloniale ha lasciato come eredità lo sviluppo del sistema di piantagioni che alcuni studiosi hanno chiamato il "Plantationoceno". Nelle piantagioni si sono sviluppate tecniche sistemiche di sovrasfruttamento della natura, legate anche allo sfruttamento eccessivo della manodopera subalterna, cioè la schiavitù indigena e africana. La forza muscolare umana (africana o indigena) è stata sfruttata con violenza, come energia per alimentare queste "macchine da piantagione", collegandosi così alla storia energetica della formazione dell'Antropocene e al processo di costruzione della modernità europea a partire dai confini. Il sistema delle piantagioni divenne un epicentro della confluenza tra capitalismo primitivo e razzismo, entrando a far parte della genealogia dell'Antropocene. A partire dalla fine del XVIII secolo, questo processo di occupazione coloniale ha contribuito, nell'immaginario del capitalismo moderno, ad abolire i limiti naturali dell'economia dell'energia solare aprendo la strada a un'espansione sfrenata e illimitata delle frontiere dell'estrazione. Ciò ha reso il sovrasfruttamento della terra una caratteristica fondamentale non solo nelle Americhe e in Europa, ma nel sistema capitalistico globale.
DALLA METÀ DEL XIX SECOLO
Nel corso del XIX secolo si è consolidato il modello industriale che ha avuto origine nel XVIII secolo europeo. Sebbene i paesi latinoamericani che stavano diventando indipendenti cercassero strade proprie per realizzare trasformazioni sociali, politiche ed economiche, queste si sono iscritte nelle lotte globali e internazionali di un imperialismo e di un nazionalismo accelerati. I cambiamenti politici ed economici hanno portato trasformazioni sociali nelle forme di produzione, nella gestione delle risorse naturali e nelle dimensioni dello sfruttamento che si sono accelerate verso la fine del XIX secolo. Sebbene la rottura con il modello coloniale sia stata graduale, con le indipendenze latinoamericane le oligarchie hanno acquisito un potere maggiore, frazionando e distribuendo il capitale insieme ai territori di produzione e alla complicità dei proprietari terrieri.
Il nazionalismo, rappresentato nelle forme di sviluppo, ha anche frammentato i territori e gli usi delle risorse naturali. L'inizio del XIX secolo è stato segnato da nuove esplorazioni geografiche e naturalistiche, e una nuova conquista dell'ambiente. Questo secolo è considerato anche l'epoca della seconda globalizzazione, che implica il consolidamento dello scambio ecologico ineguale. Si parla di un secondo scambio colombiano collegato a una frattura metabolica globale. Sulla base di questa logica si sono consolidate le reti di scambio non solo di materie prime per i beni industrializzati, ma anche di beni di lunga o impossibile sostituzione, come l'energia, i nutrienti del suolo e la biodiversità, e per beni di rapida sostituzione, come i beni industriali.
Il periodo tra il 1860 e la crisi economica mondiale del 1929 è servito come una fase delle trasformazioni di liberalizzazione e modernizzazione economiche, associate a una nuova integrazione della regione nelle strutture capitaliste mondiali, con un forte rafforzamento dei settori economici estrattivisti. Nel quadro dei Manuali può essere intesa come una fase di intensificazione e accelerazione dell'Antropocene, paragonabile solo alla rottura metabolica della Conquista. Il modello predominante in agricoltura, ad eccezione di alcune regioni, è stato lo sfruttamento di grandi fattorie e piantagioni. Inoltre, questo periodo è caratterizzato da un processo di colonizzazione interna e accaparramento di terre in regioni periferiche, definito da alcuni storici come la "seconda conquista". L'estrazione di materie prime come la gomma, l'henequén e l'erba mate ha dato origine a nuovi latifondi, ad élite orientate all'esportazione, alla creazione di forme feudalizzate di sfruttamento della manodopera e alla rapida distruzione dei paesaggi naturali.
La formazione dello Stato ha svolto un ruolo cruciale nella struttura del XIX secolo, segnando la definizione di nuove forme di uso della terra e delineando economie di enclave in diverse regioni dell'America Latina. Questo processo è stato rafforzato dalle nuove tecnologie come il vapore, l'elettricità e i moderni mezzi di trasporto derivanti da queste innovazioni tecnologiche. Nella trasformazione economica dei paesi latinoamericani indipendenti, gli investimenti di capitali stranieri hanno svolto un ruolo chiave sia nello sfruttamento delle terre agricole che nell'estrazione mineraria. Società a capitale straniero provenienti da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania accelerarono le trasformazioni economiche e politiche che incisero direttamente sullo sfruttamento della terra.
Per quanto riguarda la proprietà fondiaria, la trasformazione delle proprietà ha contribuito allo sfollamento di comunità indigene e alla cooptazione di altre che erano state sfruttate in condizioni di semi-schiavitù nel sistema delle piantagioni. Questo fenomeno è stato osservato in diverse regioni del Messico, delle Ande e nelle zone del Cono Sud. Nei paesi dei Caraibi, le indipendenze sono arrivate tardi e hanno portato a nuove dittature all'inizio del XX secolo. La crescita demografica è andata fuori controllo in alcune regioni, il che ha portato a una separazione e persino alla segregazione tra mondo rurale e mondo urbano. Lo slogan di "Progresso e Ordine" regolò la vita quotidiana e imprenditoriale del XIX secolo. Questo includeva misure igieniche e di controllo che hanno favorito nuove forme di segregazione e disuguaglianza, che a loro volta hanno avuto un impatto negativo sia sulle comunità indigene che sulle popolazioni sempre più urbanizzate. Va notato che alla fine del XIX secolo sono emerse le prime reazioni per mitigare gli effetti antropogenici. Con la creazione di aree e zone naturali protette in vari paesi si è andato consolidando il conservatorismo. Si cominciò a controllare il flusso biotico, anche se sotto una concezione riduzionista degli spazi di conservazione, sia come aree intoccabili e inalterate intese come incontaminate, sia come serbatoi di risorse da sfruttare in futuro.
DAL 1950 AD OGGI
Il periodo che va dalla metà del XX secolo ad oggi è noto, da una prospettiva antropogenica, come la Grande Accelerazione. Si tratta di un periodo caratterizzato da un'accelerazione del consumo di risorse naturali che solleva seri interrogativi sulla sostenibilità del sistema
Terra. Questo fenomeno è il risultato di importanti trasformazioni nel sistema economico globale, tra cui la crescita esponenziale del prodotto interno lordo (PIL), la crescita demografica, l'urbanizzazione crescente, la produzione e il consumo di energia e l'uso di fertilizzanti di origine fossile, tra le altre variabili.
Tutte queste trasformazioni socio-economiche su larga scala hanno effetti drastici sui componenti del sistema planetario, molto al di là delle variazioni naturali previste. Nel contesto latinoamericano, questi cambiamenti si riflettono nella modifica del ciclo del fosforo e dell'azoto, che ha portato all'eutrofizzazione dei fiumi e al degrado del suolo a causa dell'agricoltura industriale. E' stata inoltre osservata un'alterazione del ciclo del carbonio, con la perdita dei pozzi naturali di assorbimento dovuta alla deforestazione, e un pericoloso aumento delle emissioni di anidride carbonica e metano di origine agricola e zootecnica. Si sono verificati anche cambiamenti nel ciclo idrologico, con una maggiore frequenza di eventi estremi come siccità, inondazioni e maggiori impatti dovuti alla vulnerabilità dei sistemi produttivi e degli habitat urbani. E' inoltre aumentata la domanda di bacini idrici per l'irrigazione e l'energia idroelettrica. Un altro impatto rilevante è la semplificazione degli ecosistemi e degli agro-ecosistemi, che ha portato a una perdita generalizzata di biodiversità.
Dalla metà del XX secolo, i governi e le aristocrazie latinoamericane hanno assunto ruoli diversi nel guidare i modelli e gli schemi di sviluppo delle loro nazioni. In una prima fase, coincidente con la teoria sviluppista, la produzione e il consumo sono stati orientati verso il “catch up” o la teoria del “recupero” rapido del progresso e del benessere delle società euro-atlantiche. In questo periodo, le élite e i governi locali hanno adottato una visione pianificatoria del futuro, con un aumento programmato della scala e del ritmo di produzione. È stato implementato il modello di sostituzione delle importazioni, che ha permesso ad alcuni paesi della regione di soddisfare il mercato interno e di industrializzarsi moderatamente: Brasile, Argentina e Messico sono i più importanti. Nel 1948 fu creata la Commissione Economica per l'America Latina (CEPAL) e sviluppata la teoria della dipendenza, che permise di spiegare la situazione di emarginazione della regione da una prospettiva strutturalista.
Verso la fine degli anni '90, con l'ondata di politiche neoliberiste in tutta l'America Latina, si è consolidato il ruolo dello Stato come facilitatore e intermediario del capitale privato e transnazionale. Sotto questo schema di controllo politico assistenzialista, le imprese hanno avuto libero accesso alle risorse naturali e ai territori attraverso meccanismi come i partenariati pubblico-privati. Allo stesso tempo, l'integrazione selettiva nel mercato globale basata sullo sfruttamento delle risorse naturali ha incoraggiato l'agroindustria e l'estrattivismo
minerario, agroforestale e ittico. Con il nuovo millennio si sono diffusi nella regione i cosiddetti governi progressisti o neosviluppisti che, pur assumendo maggiori ruoli di controllo e pianificazione statale, hanno facilitato l'arrivo del capitale globale orientato principalmente alla produzione e all'esportazione di materie prime, associato al boom delle commodities, con l'obiettivo di aumentare il bilancio pubblico destinato alle politiche sociali. Nonostante le differenze, tutti questi modelli hanno avuto in comune l'obiettivo primario della crescita economica come asse organizzativo dell'economia, nonché politiche pubbliche volte a rafforzare le basi economiche della Grande Accelerazione.
In questo periodo si è assistito a un aumento del tasso di estrazione delle risorse naturali per il mercato globale, dando vita ai cosiddetti vecchi e nuovi estrattivismi, che comprendono i settori minerario, agricolo, forestale, ittico e urbano. Inoltre, si è sperimentata una nuova Rivoluzione Verde, caratterizzata dall'uso di monocolture geneticamente modificate, dall'uso massiccio di prodotti agrochimici nocivi e dal consumo intensivo di acqua. Vaste aree della regione sono state disboscate per favorire l'espansione della frontiera agricola, con conseguente perdita significativa di biodiversità.
Un altro aspetto cruciale evidenziato durante la Grande Accelerazione è stata la necessità di aumentare la generazione e la diversificazione delle fonti energetiche. In America Latina, l'utilizzo dell'energia idroelettrica è stato precoce, generando forti impatti ambientali, sia sui flussi fluviali che sulla produzione di gas serra che hanno contribuito al riscaldamento globale. Sono stati favoriti processi di elettrificazione rurale e urbana generalizzati. Tuttavia, anche l'estrazione di idrocarburi ha svolto un ruolo importante. Le nuove frontiere dello sfruttamento petrolifero off-shore (sulla costa brasiliana e nel Golfo del Messico) e nella foresta amazzonica, in particolare in Perù ed Ecuador, hanno contribuito ad aumentare l'offerta di combustibili fossili sul mercato globale e a ritardare la transizione energetica internazionale. Infatti, l'accelerata integrazione nei mercati globali ha comportato l'avanzamento delle frontiere produttive verso aree non antropizzate, generando impatti significativi sugli ecosistemi naturali e sulle comunità locali. Inoltre, si è registrata una crescente presenza di capitale finanziario e di economie ombra, caratterizzate da cicli di crisi finanziarie. In questo periodo le migrazioni interne, regionali e internazionali, hanno assunto una nuova dimensione in termini di quantità e qualità. In particolare, le migrazioni regionali si sono intensificate a causa dell'aumento degli ostacoli agli spostamenti verso i paesi del Nord, sebbene ancora si registrino flussi migratori verso queste regioni. D'altra parte, la gestione dell'acqua è stata orientata verso l'estrazione intensiva, sia in ambito industriale che agricolo, generando un significativo inquinamento dei principali bacini idrografici della regione.
Anche il cambiamento climatico antropogenico e la variabilità climatica naturale sono fenomeni di primo piano durante la Grande Accelerazione. La regione latinoamericana è uno dei maggiori pozzi di carbonio terrestri, in parte grazie all'esistenza di biomi con minore trasformazione antropica, come l'Amazzonia, la Selva Maya e la Patagonia. Tuttavia, le emissioni di gas serra non sono rimaste al di sotto dei pozzi. Allo stesso tempo, l'aumento in scala dell'imprenditoria agroindustriale e urbana ha portato a un costante incremento della produzione di rifiuti e dell'inquinamento. Durante la Grande Accelerazione, in America Latina si è osservato un aumento della disuguaglianza economica e sociale che ha fatto sì che diversi gruppi sociali avessero livelli diversi di capacità distruttiva. Un cambiamento importante è stata la relativa perdita del monopolio dell'uso della forza da parte dello Stato, che ha portato all'emergere di gruppi di criminalità organizzata coinvolti nei processi di produzione e depredazione dell'ambiente, che controllano i territori sia nelle aree rurali che in quelle urbane. Allo stesso tempo, l'America Latina è stata testimone dell'emergere di movimenti di resistenza e di proposte di alternative locali, in particolare intorno al femminismo e all'ambientalismo.
I cambiamenti tecnologici e le trasformazioni nelle comunicazioni sono stati profondi ed estesi durante questo periodo. I satelliti e la fibra ottica hanno rivoluzionato i media, consentendo una diversità di messaggi e una maggiore appropriazione dei media da parte di movimenti e organizzazioni subalterne. Tuttavia, si è verificata anche una concentrazione nella distribuzione dei messaggi culturali che pone delle sfide in termini di democratizzazione dell'informazione e della cultura.
In conclusione, la Grande Accelerazione è stata un periodo di intensi cambiamenti socio-economici e ambientali in America Latina. Il consumo accelerato di risorse naturali, i modelli di sviluppo orientati alla crescita economica, all'estrattivismo, alla gestione delle risorse idriche, al cambiamento climatico antropogenico, alle disuguaglianze e alle migrazioni, sono solo alcuni degli aspetti chiave che definiscono questa fase. L'America Latina deve affrontare sfide importanti per raggiungere uno sviluppo sostenibile che garantisca la conservazione delle risorse naturali e il benessere delle generazioni future.
REGIONI DELL'ANTROPOCENE IN AMERICA LATINA
In termini di spazio, i Manuali combinano la prospettiva dei confini planetari con un approccio regionale che tiene conto della specificità locale e regionale di climi, ecosistemi e relazioni socio-ambientali. L'operatività di questo approccio regionale per il progetto dei Manuali rappresenta un compito complicato. In termini macro-regionali, i Manuali si limitano a quella che oggi corrisponde all'America Latina, che comprende Sud America, America Centrale, Messico e Caraibi. Tuttavia, data la grande varietà di climi ed ecosistemi di questa vasta regione, nella presente serie di Manuali ci siamo proposti di definire aree più piccole e talvolta anche più grandi. Con questo obiettivo non vogliamo basarci esclusivamente sulle unità geopolitiche degli Stati nazione - entità importanti per la regolazione politica dell'ambiente -, poiché queste divisioni territoriali spesso ignorano i confini naturali, mentre allo stesso tempo gli estremi climatici spesso ignorano i confini nazionali creati dall'uomo. Infine, in un'ottica euristica, abbiamo scelto di definire cinque aree che riteniamo corrispondano a ciò che vogliamo mostrare nei sei Manuali e che, secondo il nostro approccio, sono caratterizzate da una certa coerenza ecologica e culturale, senza frontiere nazionali. Da sud a nord, queste regioni sono: il Cono Sud, le Ande, l'Amazzonia, la Mesoamerica e i Caraibi.
(2. Continua)
* Traduzione Marina Zenobio per Ecor.Network
El Antropoceno como crisis múltiple. Perspectivas desde América Latina
Volumen I - Uso de la tierra
Olaf Kaltmeier, María Fernanda López Sandoval, José Augusto Pádua, Adrián Gustavo Zarrilli
CALAS - CLACSO, Buenos Aires, 2024 - 624 pp.
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