Il progetto EastMed prevede (nelle intenzioni) la costruzione di un gasdotto lungo 1900 chilometri, di cui un terzo su terraferma e il resto in mare, per importare in Europa – con approdo ad Otranto - 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno dai giacimenti sottomarini di Cipro e Palestina/Israele.
Il progetto, che sta incontrando varie difficoltà per il ritiro degli USA dai suoi sostenitori e il possibile defilarsi della Grecia, presenta un costo stimato attorno ai 5 miliardi di euro e coinvolge, fra gli altri, Eni, Total e Chevron.
Se andrà in porto devasterà territori - come ogni gasdotto - e ci legherà per decenni all’uso di combustibili fossili climalteranti, inserendosi inoltre in un’area dagli equilibri precari per il conflitto turco cipriota, rafforzando l’apartheid israeliane, il furto di risorse e l’oppressione coloniale sulla Palestina.
Re:Common gli ha dedicato il documentario “Cipro, il gas della discordia”, che rilanciamo accanto alle voci dei leaders della società civile palestinese contro l’adesione della Autorità Palestinese al progetto, e contro lo sfruttamento da parte di Israele del gas estratto al largo della Striscia di Gaza.
EastMed, una bomba a orologeria nel Mediterraneo orientale
di Luca Manes (RE:Common)
Se ne parla da anni, ma chissà se l’ennesimo gasdotto europeo vedrà mai la luce. Si chiama Eastmed, partirebbe da Cipro e, come con il TAP, prevede un segmento finale destinato ad approdare in Italia. Sempre in Puglia, ma questa volta nella perla di Otranto. Lo scorso dicembre Consiglio e Parlamento europeo hanno confermato la presenza di Eastmed nel regolamento TEN-E, che segnala i progetti strategici da finanziare per il settore energetico. Insomma, nonostante le promesse di uno stop ai nuovi progetti fossili, dei gasdotti (nel TEN-E c’è anche il Melita, che collegherebbe Gela in Sicilia a Malta) non si vuole proprio fare a meno.
Per il momento l’opera rimane sulla carta, e il recentissimo scetticismo degli Usa – che hanno scaricato l’opera – di certo non aiuta la causa dei sostenitori del gas. Però le esplorazioni in mare aperto, dove sono stati individuati ricchi giacimenti di gas, continuano. Con tutto quello che ciò comporta in un angolo di mondo dove gli equilibri geopolitici sono a dir poco precari.
Spesso associamo Cipro alla Grecia per le sue
bellezze naturali da cartolina. Troppo spesso ci dimentichiamo della sua storia recente così travagliata e della sua posizione strategica in un’area molto calda: il Mediterraneo orientale, incastonata in mezzo al mare tra Egitto, Israele, Grecia e soprattutto Turchia.
Esiste una frattura apparentemente insanabile tra Turchia e Cipro che è plasticamente rappresentata dalla divisione dell’isola i due entità distinte tra loro dal 1974. L’anno del tentativo di enosis, di unificazione con la Grecia attraverso un colpo di stato degli estremisti di destra filo-ellenici in combutta con la giunta ateniese dei Colonnelli, a cui il governo turco rispose con l’invasione militare del nord del Paese. Da allora Cipro e la sua capitale Nicosia sono divise: la parte greca è entrata nell’Unione europea nel maggio del 2004, ma nel frattempo è diventato il paradiso fiscale d’elezione dei russi, quella turca non è invece riconosciuta da nessun Paese, fatta eccezione ovviamente per Ankara. A far da camera di compensazione tra le due fazioni una buffer zone dove ancor oggi sono acquartierati alcune centinaia di caschi blu delle Nazioni Unite.
Le relazioni tra il governo cipriota e quello turco si sono ulteriormente deteriorate dopo una serie di prove di forza esercitate dal governo di Ankara fra il 2018 e il 2020. Ovvero quando a più riprese ha spedito imbarcazioni per l’esplorazione dei fondali, accompagnate da navi della marina turca, nelle acque dei giacimenti ciprioti. A essere interessate da queste operazioni, vista dall’Unione europea come una vera e propria provocazione, tanto da portare all’imposizione di sanzioni alla Turchia nel 2019, sono anche blocchi d’esplorazione dove è presente la più importante multinazionale italiana, l’Eni
Insieme a Nicosia, spaccata in due e divisa dai muri come la Berlino del secolo scorso, uno dei simboli di un Paese spaccato in due è la ghost town di Varosha, l’esteso quartiere turistico di Famagosta, uno dei centri nevralgici della Repubblica Turca di Cipro del Nord. Nei prossimi mesi capiremo se l’ennesimo gasdotto contribuirà a rendere ancora più instabile un contesto già molto problematico.
Tratto da: www.recommon.org
VIDEO
Cipro, il gas della discordia 
Un nuovo gasdotto, Eastmed, potrebbe complicare ancor di più gli equilibri geopolitici del Mediterraneo dell'Est, a partire da Cipro. Un Paese diviso e che non sembra ancora pronto a fare i conti con un recente passato molto ingombrante.
Credits:
Scritto da Stefano Vergine
Fotografia: Daniele Zendroni
Editing: Christian Mantuano
Prodotto da ReCommon - www.recommon.org
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I leaders della società civile palestinese: l'Autorità Palestinese deve ritirarsi immediatamente dal "Forum sul gas del Mediterraneo Orientale" - Comunicato stampa del 29/4/2021
Al-Bireh -- Dopo aver esaminato da vicino gli accordi dell'East Mediterranean Gas Forum (EMGF) firmati dall'Autorità Palestinese (AP), i rappresentanti della società civile palestinese hanno tenuto una conferenza stampa martedì 27 aprile condannando il ruolo di “foglia di fico” dell’Autorità Palestinese all’interno di un forum che consente a Israele di perpetrare il saccheggio delle risorse di gas palestinesi.
Gli oratori hanno chiesto una pressione popolare sull'AP per soddisfare le seguenti richieste:
- Ritirarsi immediato dall'EMGF.
- Smascherare il saccheggio israeliano del gas naturale palestinese e insistere su mappe accurate della Zona Economica Esclusiva Palestinese (ZEE).
- Invitare tutti gli Stati, in particolare l'UE, a rispettare la ZEE palestinese e a porre fine agli accordi sul gas con Israele finché non smetterà di saccheggiare il gas palestinese e riconoscerà il diritto dei palestinesi alla sovranità sulle loro risorse naturali.
- Avvertire le società coinvolte nei progetti del gas israeliani che potrebbero contribuire al crimine di saccheggio e, in quanto tali, potrebbero essere perseguite penalmente.
“La partecipazione dell'AP con Israele all'EMGF fornisce una foglia di fico palestinese che copre l'occupazione israeliana e il furto delle risorse naturali palestinesi, negando al nostro popolo i diritti su queste risorse. L'appartenenza dell'AP all'EMGF ha fornito copertura per una crescente normalizzazione e persino alleanze militari tra gli Stati europei, alcuni regimi arabi dispotici come gli Emirati Arabi Uniti, e il regime di occupazione, colonialismo e apartheid di Israele.
Sosteniamo inoltre fermamente la giustizia climatica e lo sviluppo di alternative energetiche prive di fossili.
L'Autorità Palestinese non ha condotto alcuna campagna diplomatica, mediatica o legale per impedire o per problematizzare i progetti di Israele nel settore del gas nella regione, a partire dai suoi accordi strategici di esportazione con Giordania ed Egitto e dalla sua ambizione di esportare gas nell'UE.
Inoltre, non è riuscita a smascherare le false mappe israeliane, che limitano la ZEE palestinese a una forma triangolare, rubando e annettendo di fatto 3.600 km2 di quest'area alla ZEE israeliana.
Dobbiamo aumentare la pressione popolare per fare in modo che l'AP metta fine a questa farsa in una volta.
Chevron ed Energean, le due società internazionali che estraggono il gas contestato, devono ritirarsi immediatamente. Chiediamo pressioni su Cipro e Grecia, entrambi Stati membri dell'UE, affinché annullino i loro accordi sul gas con Israele in attesa della risoluzione della controversia sulla ZEE".
Mahmoud Nawajaa, Coordinatore Generale della Palestinian BDS National Committee (BNC)*
“L'AP deve ritirarsi immediatamente dall'EMGF per proteggere le risorse naturali della nostra gente e per ostacolare le ambizioni dell'occupazione di diventare un attore energetico chiave nella regione, il che favorirebbe il suo dominio dell'apartheid.
L'Autorità Palestinese e l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), l'unico legittimo rappresentante del popolo palestinese, devono emettere una posizione ufficiale ritenendo Israele responsabile del furto delle nostre risorse naturali, in particolare del gas.
Questa posizione deve invitare esplicitamente tutti gli Stati e le aziende a rispettare i propri obblighi ai sensi del diritto internazionale ponendo fine a tutte le transazioni commerciali con Israele nel campo dell'energia fino a quando non cesserà il suo saccheggio di gas naturale palestinese e riconoscerà il diritto del nostro popolo alle sue risorse naturali in conformità con legge internazionale”
Abbas Zaki, membro del Comitato Centrale di Fatah
“I rappresentanti della società civile palestinese hanno avuto diversi incontri al riguardo con il Primo Ministro palestinese e il Ministero degli Affari Esteri e abbiamo esaminato i documenti di adesione all'EMGF. Sebbene apprezziamo gli sforzi ammirevoli del team tecnico del ministero, ora ci è molto chiaro che questo forum non riconosce né protegge il diritto del popolo palestinese alle sue risorse naturali. L'attuale mappa della ZEE depositata dall'Autorità Palestinese presso le Nazioni Unite e mai rilasciata ai media, deve essere aggiornata per essere più accurata e deve essere utilizzata negli sforzi diplomatici, mediatici e legali".
Mamdouh Al-Aker, delegato della Commissione Indipendente per i Diritti Umani
“Riferendosi alle leggi e ai regolamenti dell'UE, nonché al diritto internazionale, i palestinesi hanno abbastanza spazio di manovra per interrompere l'EMGF e far valere i diritti del nostro popolo.
La partecipazione dell'Autorità Palestinese a questo forum ha indebolito gli sforzi sul fronte legale, in particolare quelli rivolti alle holding che sono implicate nel saccheggio da parte di Israele delle risorse energetiche palestinesi e nelle colonie.
Qualsiasi memorandum d'intesa deve condannare chiaramente gli insediamenti, l'occupazione e le gravi violazioni del diritto internazionale di Israele; in caso contrario, non dobbiamo firmare alcun accordo".
Shawan Jabbarin, Direttore Generale di Al-Haq
“Ogni volta che i partner BDS in Europa fanno pressione sull'UE affinché escluda Israele dagli accordi sul gas naturale, sulla base delle gravi violazioni israeliane del diritto internazionale e degli obblighi e della politica dell'UE nella regione, l'UE si nasconde dietro la 'partenariato' dell'AP con Israele nell'EMGF per respingere le nostre richieste.
Inoltre, l'UE ci dice che non hanno mai ricevuto alcuna denuncia ufficiale palestinese contro Israele per quanto riguarda il crimine di saccheggio.
Il BNC rifiuta anche i piani israelo-qatarini per un gasdotto israeliano verso la Striscia di Gaza assediata. Crediamo che tali piani rafforzino la subordinazione economica palestinese all'occupazione.
Pertanto, chiediamo al governo de facto di Gaza di non portare a termine tali piani direttamente o indirettamente”.
Majida Al-Masri, membro del Segretariato BNC
“Il mandato di firmare accordi sulle fonti energetiche palestinesi spetta all'Autorità palestinese per l'energia e le risorse naturali, che secondo la legge palestinese fa parte del governo.
Le violazioni in tal senso sono iniziate quando il governo ha ceduto la responsabilità del portafoglio di gas al Fondo per gli investimenti palestinesi (PIF), che non risponde né al governo né al Consiglio legislativo palestinese. Il PIF non opera in base ad alcuna legge palestinese ed è stato registrato come una società giuridicamente vaga e discutibile. Tali situazioni oscure sono terreno fertile per la corruzione.
Questo accordo EMGF costituisce un'alleanza militare, in particolare da quando hanno aderito gli Emirati Arabi Uniti.
Secondo il portale israeliano Walla, la compagnia energetica israeliana Delek venderà una parte del suo giacimento di gas Tamar a una società di proprietà del governo di Abu Dhabi per un miliardo di dollari. Mettiamo in guardia l'Autorità Palestinese dal partecipare a questa grande cospirazione per riorganizzare la regione al servizio degli interessi di Israele, in particolare la sua ambizione di diventare un attore centrale nel gas, con una copertura palestinese e la partecipazione degli Stati arabi".
Dr. Azmi Shuaibi, Ex Commissario di "AMAN"
Tratto da: bdsmovement.net
Traduzione dall’inglese di Ecor.Network
* Il Palestinian BDS National Committee è una larga coalizione di organizzazione delle società civile palestinese, che ha un ruolo trainante nel movimento internazionale BDS (Boycott, Divestment and Sanctions) contro l’apartheid israeliana.