Proponiamo alcune pagine tratte da“Apropiación diferencial de recursos naturales, acaparamiento y conflictos sociales en América Latina”, una raccolta di contributi analitici sull’appropriazione delle risorse naturali da parte del capitale privato in America Latina, con saggi di 11 autrici e autori che ci introducono alla categorizzazione teorica del tema, descrivono e analizzano la violenza estrattiva, il ruolo dello Stato, i conflitti urbani e rurali, la costruzione di resistenze e di identità collettive.
Dal Capitolo 5, dal titolo "Los conflictos ambientales, expresión de los procesos de apropiación diferencial de los recursos e injusticia socio-ambiental. El caso de la actividad de extracción de áridos en la ciudad de Río Cuarto, Argentina", traiamo una interessante riflessione di Franco Gastón Lucero, tradotta in italiano da Marina Zenobio per Ecor.Network.
Le logiche del Capitale nella costruzione degli spazi urbani
Da alcuni decenni, in linea con quanto sta accadendo a livello globale, gli spazi urbani in Argentina hanno iniziato a subire profondi e vertiginosi processi di trasformazione territoriale guidati delle logiche economiche imprenditoriali del capitale. Il predominio delle logiche di gruppi di attori sociali di potere segnato da speculazione e redditività immobiliare si è trasformato, nella costruzione e nell'uso dei territori, non solo in una normalità e in un discorso attrattivo per “progresso” o “sviluppo”, ma anche in una “incapacità” di riflessione e trasformazione di quella “realtà” stabilita da determinati gruppi sociali e, cosa ancora più grave, in una sorta di intorpidimento della capacità di pensare ad altre modalità alternative di costruzione dei territori.
A riguardo, Aizcorbe et. al (2013), pensano che le possibilità di migliorare l'occupazione e di raccogliere capitale sono state e sono i principali argomenti egemonici o i migliori meccanismi di persuasione per legittimare un'idea di “sviluppo” attraverso il discorso del “progresso” e, di conseguenza, per giustificare l'installazione di logiche di mercato nella produzione del territorio. Una situazione che si rafforza ulteriormente se gli Stati locali si trovano in contesti di deficit di bilancio, il che garantisce un certo grado di cooperazione attraverso maggiori agevolazioni, riduzioni fiscali e regolamenti ambientali flessibili a favore di logiche imprenditoriali molto lontane dai presunti benefici per tutta la società locale. Da qui l'affermazione di Aizcorbe et al. (2013) di considerare lo Stato distante da un ruolo passivo ma, piuttosto, come un attore ossequioso, per azione o omissione, alle logiche del capitale che cercano di fare uso dei territori secondo i modelli dello “sviluppo” globale. In questo modo gli Stati, e più specificamente i governi locali, diventano un elemento chiave per le operazioni del capitale privato al fine di legittimare il supposto sviluppo locale, cercando di promuovere la coalizione di
forze tra entrambi i settori (pubblico e privato), utilizzando un discorso di efficienza territoriale e assolutamente guidato dalla razionalità strumentale imprenditoriale.
A questo proposito, Harvey (2007) afferma che questo complesso intreccio tra attori privati e amministrazioni pubbliche non solo favorisce un processo decisionale corporativista ma anche una relativa assenza di trasparenza nelle procedure che portano a tale processo decisionale. Nello stesso senso Silveira (2004) aggiunge che la complessità di tale ibridazione (tra azioni pubbliche e private) fondata sotto politiche corporativiste, disturba e persino allontana gli incontri e gli sforzi teorico-metodologici totalizzanti che cercano di capire la dinamica degli spazi urbani, ancor più quando la totalità urbana mostra forti processi di crescita e un'intensa moltiplicazione di problematiche, come quelle ambientali.
Quest'ultimo aspetto (la prospettiva totalizzante) risulta essere un elemento significativo poiché, secondo Silveira (2004), le città o gli spazi urbani non possono essere considerati solo come una somma di parti, né solo come un sistema di oggetti, ma devono essere intesi come insieme della base materiale e della vita che li anima. Vale a dire come un tutto in movimento permanente giacché “[...] la città è una totalità fatta di cose e persone, di oggetti e relazioni, di forme e azioni, in un movimento diseguale e combinato e in una dinamica di cooperazione e conflitto” (Silveira, 2004, p. 2).
All'interno delle distinte gerarchie urbane, le città intermedie sono quelle che, negli ultimi tempi, hanno sperimentato un grande dinamismo demografico e funzionale, con una maggiore capacità di integrazione al contesto mondiale. Le loro alterazioni nell'ordine spaziale e le conseguenti nuove tendenze nella dinamica urbana sono un prodotto del quadro esteso della globalizzazione. In tal senso le città intermedie sono quelle che si sono trasformate nelle aree più attrattive per la localizzazione e lo sviluppo di nuove attività economiche, in accordo con le richieste imposte dagli attuali mercati (Pulido, 2006). La valorizzazione di questa categoria urbana è stata favorita non solo a scapito delle centralità, insalubrità e diseconomie dei grandi centri urbani, ma anche della fornitura e offerta di nuove strutture e servizi agli investimenti produttivi e finanziari, conformi agli interessi e alle necessità delle logiche egemoniche del capitale. Questo scenario permette a Silveira (2007) di affermare che esiste un vero e proprio processo di privatizzazione e di uso corporativo del territorio, in cui le logiche delle grandi imprese finiscono per subordinare le forme di azione del potere pubblico, fino a trascinare nel mercato tutta la vita economica, sociale e territoriale. In questo modo, basandosi sul discorso dell'attrazione dei capitali come garanzia di “sviluppo”, di ricchezza e occupazione, si creano le condizioni ideali perché le logiche di mercato acquisiscano sia l'accettazione, sia la legittimità in ambito locale, sia un rigore importante nella regolamentazione dei territori.
Appropriazione differenziale delle risorse e ingiustizia socio-ambientale. Conflitti ambientali e l'ecologia politica
Ciò che si evidenzia dietro i discorsi egemonici e le forme di interazione tra società e natura nel quadro di un modello politico-economico specifico, è la disputa sull'accesso, l'uso e l'appropriazione delle risorse. A questo proposito, Martín e Rojas (2011) affermano che:
[…] La storia dell'uso delle risorse naturali è anche la storia dei gruppi egemonici che di queste risorse si appropriano, attraverso dispositivi materiali e simbolici, installando determinate logiche nelle forme di produzione e nella legittimazione dei valori culturali (p. 1).
In questo senso, la maggiore capacità di accesso alle risorse naturali da parte di alcuni gruppi di attori sociali permette di vedere non solo le diseguali relazioni sociali di potere nella costruzione dei territori, che possono essere intese come processi di appropriazione differenziale delle risorse, ma anche come costruzione di territori sempre più diseguali, marginalizzati e impoveriti, con significativi costi ambientali negativi per alcuni settori che si traducono in processi reali di ingiustizia socio-ambientale (Acselrad, 2010) e una molteplicità di conflitti ambientali.
Così, per comprendere gli usi e le forme di costruzione dei territori nella produzione di spazi urbani, come risultato di processi di appropriazione differenziale delle risorse, è necessario svelare e interpretare la coesistenza delle diverse logiche che danno vita ai sistemi di azioni e che formano la totalità della dinamica urbana. Lo studio dei conflitti ambientali è un interessante punto di partenza in quanto, come afferma Merlinsky (2013), sono il volto più visibile di alcune manifestazioni che esprimono una crescente conflittualità in relazione all'accesso, la disponibilità, l'appropriazione, la distribuzione e la gestione delle risorse naturali. Tutte categorie di analisi rilevanti che sono anche la preoccupazione dell'Ecologia Politica, un campo critico interdisciplinare in costruzione che mira a recuperare i discorsi messi a tacere dalle logiche egemoniche dominanti e a pensare ad altre logiche alternative nella produzione dei territori.
Se si parte dall'idea che l'ambiente è la qualità risultante dall'interazione società-natura, Merlinsky (2013) pensa sia importante capire che non esiste un insieme di fenomeni che possano definirsi a priori come problematiche ambientali. Per questo motivo l'autrice considera che le sfide ambientali di ogni società si stabiliranno in funzione del modo in cui gli attori sociali si vincolino al circostante, per costruire il loro habitat e generare il loro processo produttivo e riproduttivo.
Quindi, per Martín e Rojas (2011), lo studio delle articolazioni tra società e natura è un campo di riflessione privilegiato, poiché permette di rendere conto delle strutture di significato che giustificano le forme di appropriazione della natura e, di fatto, le forme di produzione sociale.
In tal senso, la questione ambientale ha acquisito una complessità che richiede di indagare oltre i processi economici, demografici, tecnologici ed altri. Ci obbliga altresì a pensare
[…] le forme di appropriazione sociale della natura, le differenze di potere nell'accesso alle risorse naturali, i sistemi istituzionali che regolano la disponibilità, l'approvvigionamento e la conservazione delle stesse, il problema della governabilità delle regioni […] la crescente politicizzazione della questione ambientale considerata come questione pubblica, tra tanti altri temi (Merlinsky, 2009, p.2)
Tutte situazioni che, in generale, possono convergere in conflitti socio-ambientali, la cui comprensione ci permette da un lato di pensare alla problematizzazione della questione ambientale e, dall'altro, di incorporarla come elemento di analisi per indagare sugli aspetti più significativi del processo di formazione e trasformazione sociale. Pertanto la conflittualità può essere considerata come l'essenza nella costruzione del territorio e come un componente che ci permette di analizzare le relazioni sociali e la comprensione simbolica e materiale della questione ambientale.
Sebbene esista una grande quantità di autori che, in generale, affrontano il tema dei conflitti socio-ambientali1, la concezione della loro nozione tra le diverse prospettive è relativamente simile, essendo il confronto degli attori sociali su interessi antagonisti come denominatore comune. La differenza e la particolarità tra loro sta, fondamentalmente,
nella prospettiva di analisi e nel tipo di conflitto in atto. In questo caso è il conflitto ambientale ad essere al centro dell'interesse. Secondo Acselrad (2004), il conflitto ambientale nasce quando un gruppo sociale sente che l'uso, l'appropriazione o il significato che dà al territorio è minacciato dagli impatti generati dalle pratiche di un altro gruppo. In forma più specifica, Sabatini (1997) completa l'idea affermando che i conflitti ambientali sono
[...]in sostanza conflitti territoriali distributivi e politici che generano tensioni nelle linee di sviluppo storico di ogni comunità o regione e mettono in discussione i meccanismi di espropriazione e appropriazione delle risorse naturali. In questi conflitti non sono in gioco solo gli impatti ambientali ma anche quelli economici, sociali e culturali. Ragion per cui queste lotte generano una forte collisione tra spazio economico e spazio vitale (citato da Merlinsky, 2009, p. 4).
Pertanto, i conflitti ambientali si spiegano dal modo in cui i diversi attori costruiscono i territori, principalmente quegli attori che esercitano il potere e controllano il territorio (López Toledo, 2011).
In sintesi, i conflitti ambientali sono una forma di espressione individuale e collettiva la cui pratica pubblica si basa sulla modalità di scontro per il disaccordo su una determinata situazione. Questi conflitti emergono da una forma di produzione del territorio che si scatena in un disaccordo e in una eterogenea quantità di attori sociali che non solo chiedono ma rendono la situazione più complessa, condizionando l'azione prodotto delle situazioni sociali, politiche, economiche, culturali ecc., di cui fanno parte.
Riguardo l'Ecologia Politica, come già detto, è una prospettiva interdisciplinare critica molto interessante, il cui approccio specifico cerca di capire e fornire risposte ai suddetti processi conflittuali che emergono dalle attuali forme di produzione del territorio. Come espresso da Martin e Rojas (2011), questo campo risulta significativo perché ci permette di dar conto dei costi occulti dei processi economici e di contribuire così alla comprensione dei successi, dei fallimenti e degli avanzamenti dei progetti di sviluppo, le logiche che li hanno motivati e delle problematiche socio-
ambientali che perdurano ancora oggi. D'accordo con Alimonda (2005), l'Ecologia Politica non è considerata una nuova scienza bensì una nuova prospettiva in cui dialogano differenti scienze già esistenti. Nelle parole di Palacio (2006), citato da Martin e Rojas (2011), questa corrente ideologica può essere intesa come “un campo di discussione inter e transdisciplinare che riflette e discute le relazioni di potere riguardo la natura, in termini della sua costruzione sociale, dell'appropriazione e del controllo di essa o parti di essa, da parte di distinti agenti sociopolitici” (p.11).
Pertanto, in questo caso, la visione dell'Ecologia Politica risulta significativa come prospettiva di approccio nel processo di comprensione degli usi del territorio e, più specificamente, degli usi contraddittori dai quali derivano una molteplicità di conflitti ambientali. Come afferma Delgado Ramos (2013), l'Ecologia Politica è uno strumento normativo di analisi delle implicazioni, dei conflitti e delle relazioni di potere asimmetriche a livello delle dinamiche dei flussi di energia e materiali in entrata e uscita del processo produttivo e riproduttivo della società, così come degli impatti generati dalle tecnologie impiegate in detto processo. Leff (2003) aggiunge che l'Ecologia Politica non solo ci permette di esplorare e agire nel campo del potere all'interno del conflitto di interesse per l'appropriazione della natura, ma anche di ripensare la politica da un punto di vista delle relazioni con la natura, la cultura e la tecnologia.
NOTE:
1) Come: Orman (2003); Amorós et al. (2000); Mançano Fernandes (2005); López Toledo (2011); tra gli altri.
Apropiación diferencial de recursos naturales, acaparamiento y conflictos sociales en América Latina
Gabriela Inés Maldonado y Martina Neuburger (a cura di)
UniRío editora. Universidad Nacional de Río Cuarto, Argentina, 2019 - 238 pp.
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Questo testo si presenta come un lavoro accademico interistituzionale e interdisciplinare. Vengono qui raccolti, da un lato, alcuni dei paper presentati al 56° Congresso Internazionale degli Americanisti e, dall'altro, i contributi di tre gruppi di ricerca appartenenti ai Dipartimenti o Istituti di Geografia dell'Università di Amburgo (Germania), il Università di Innsbruck (Austria) e Università Nazionale di Río Cuarto (Argentina).
Il testo propone di discutere sulle forme di appropriazione delle risorse naturali, sulla base dei casi analizzati di Argentina. Brasile, Colombia, Perù ed Ecuador. In America Latina, l'80% dei conflitti sociali è legato alle forme di appropriazione e utilizzo delle risorse naturali. Pur essendo un problema con una lunga storia, l'accelerazione e l'intensità dei cambiamenti dell'economia neoliberista, hanno portato a nuove forme di accaparramento delle più diverse risorse naturali, caratterizzate da una forte incidenza di capitale finanziario, questione che motiva gli studi qui presentati.

La presente propuesta se presenta como un trabajo académico interinstitucional e interdisciplinario. Aquí se compilan, por un lado, algunos de los trabajos presentados en el 56.º Congreso Internacional de Americanistas y, por otro, aportes de tres grupos de investigación pertenecientes a los Departamentos o Institutos de Geografía de la Universidad de Hamburgo (Alemania), la Universidad Innsbruck (Austria) y la Universidad Nacional de Río Cuarto (Argentina).
Apropiación diferencial de recursos naturales, acaparamiento y conflictos sociales en América Latina se propone debatir sobre las formas de apropiación de recursos naturales, a partir de casos estudiados de Argentina. Brasil, Colombia, Perú y Ecuador. En América Latina, el 80 % de la conflictividad social se encuentra vinculada con las formas de apropiación y uso de los recursos naturales. Pese a ser una problemática de trayectoria, la aceleración e intensidad de los cambios de la economía neoliberal han hecho que se evidencien nuevas formas de acaparamiento de los más diversos recursos naturales, caracterizadas por una fuerte incidencia del capital financiero, cuestión que motiva los estudios aquí presentados.