“La propaganda del gas” è un’inchiesta di Vittoria Torsello, Teresa Di Mauro e Lorenzo Urzia, finalista alla dodicesima edizione del premio Roberto Morrione per il giornalismo investigativo. Il documentario è un viaggio lungo il percorso del Trans Adriatic Pipeline (TAP) – che porta sulle coste salentine il gas azero – partendo dal Salento fino alla Grecia e all’Albania, e rendendo la parola alle persone che vivono nelle “zone di sacrificio” solcate dal passaggio del gasdotto.
Al centro dell’inchiesta il tema di come la multinazionale TAP si è rapportata ai territori, attraverso la “cattura” delle istituzioni politiche e amministrative e la distribuzione di spiccioli come compensazione dell’impatto ambientale e sociale della “grande opera”. Una cattura che passa attraverso la connivenza non solo della politica ma anche dell’amministrazione pubblica a vari livelli: dagli uffici preposti alla analisi della Valutazione di impatto ambientale, a quelli che “sveltiscono” le pratiche. Attivisti greci raccontano di come i consigli comunali dei loro paesi – dopo una iniziale opposizione – abbiano dato l’assenso al progetto in cambio della donazione di un’ambulanza o della sistemazione di una scuola, tradendo il mandato conferitogli dai propri cittadini. Perline colorate e specchietti in cambio dei territori, come ai tempi delle invasioni coloniali.
Contadini albanesi osservano addolorati la terra che gli è stata espropriata senza che abbiano neanche ricevuto alcun risarcimento, perché la proprietà della terra non sempre è dimostrabile, data l’arretratezza del sistema amministrativo. Sono stati sacrificati in nome del tentativo delle loro autorità di accreditarsi - tramite l’accondiscendenza verso il gasdotto - presso la Commissione Europea per far entrare più facilmente l’Albania nell’U.E. (per ora con scarsi risultati), nonostante che il paese del gasdotto non abbia davvero bisogno, visto che basa il suo fabbisogno energetico quasi interamente sull’idroelettrico.
In Grecia come in Albania vengono denunciate intimidazioni, finanche minacce di morte per chi si oppone alla “grande opera”. Le testimonianze si alternano alle immagini delle mobilitazioni di massa contro il TAP in Salento, e della violenza poliziesca, a cui han fatto seguito le conseguenze amministrative e penali contro un centinaio di compagn*, di cui molt* al momento stanno affrontando il secondo grado di giudizio. Molto più lentamente procede presso il Tribunale di Lecce il processo contro la multinazionale TAP per la costruzione di opere senza autorizzazione in zone soggette a vincolo paesaggistico, per l’inquinamento delle falde acquifere con cromo esavalente e gli espianti degli ulivi. Ed è qui che ritorna attuale il tema delle compensazioni, come denunciato dal Collettivo No TAP durante la prima proiezione del documentario a Melendugno (LE):
“Da un decennio ormai, sulla questione TAP, leggiamo di offerte al ribasso per l’acquisto del territorio e del silenzio.
A carico di TAP e dei suoi appaltatori, presso il tribunale penale di Lecce è in corso un processo. Le accuse sono gravissime e molto ben documentate. Il primo capo d’imputazione ipotizza che l’opera sia stata costruita senza permessi validi. Nel processo a carico di TAP, nella prima udienza, il Giudice Silvia Saracino ha nominato responsabili civili TAP e SAIPEM . Le richieste danni delle parti civili , tra cui 8 comuni attraversati dal gasdotto, ammontano a circa 800 milioni di euro.
TAP cerca di confondere le “compensazioni ambientali”, dovute per legge, con i risarcimenti dovuti per le responsabilità penali.
Nell’ultimo anno e mezzo più forte si è fatta la pressione della multinazionale per chiudere i tavoli delle “compensazioni” chiedendo come contro partita il ritiro delle costituzioni di parte civile nel processo a suo carico.
Con le offerte snocciolate come caramelle su alcuni giornali, TAP ritiene di poter cancellare 10 anni di danni ambientali e sociali !”
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