Nel corso del 2020 si è allungata la lista delle uccisioni dei difensor* dell'ambiente e della terra.
Global Witness ne ha contate 227, la maggior parte in Colombia, Messico, Filippine, Brasile, Honduras, Repubblica Democratica del Congo.
Quasi il 30% degli attacchi è correlato allo sfruttamento delle risorse (disboscamento, estrazione mineraria e agroindustria su larga scala), alla costruzione di centrali idroelettriche e ad altre infrastrutture.
L'opposizione alla deforestazione ha rappresentato il contesto del maggior numero di omicidi.
In Brasile e in Perù quasi tre quarti degli attacchi registrati sono avvenuti nelle rispettive regioni amazzoniche.
Il 2020 è stato l'anno peggiore per le persone che difendono dall' aggressione estrattivista le loro case, i loro mezzi di sussistenza e gli ecosistemi vitali per la biodiversità e il clima, e non è un caso che questo record di morti abbia coinciso con l'anno della pandemia.
La violenza selettiva contro militanti è stata favorita dal coprifuoco generalizzato e dalla militarizzazione dei territori disposta con il pretesto del covid-19.
Nello stesso tempo le imprese estrattive - escluse dalle restrizioni dei lockdown - hanno avuto campo libero, aumentando il grado di aggressività contro la Natura e le comunità.
Il rapporto di Global Witness ricostruisce il quadro generale di questa violenza e le responsabilità dei governi e delle imprese, con approfondimenti sulla Colombia, Messico, Filippine, e testimonianze dal Sud Africa alla Cambogia.
Last line of defence
Global Witness
Settembre 2021, pp. 36.
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