I mari profondi (cioè quelli con profondità superiore ai 200 metri) ricoprono il 66% del pianeta ed hanno un’importanza fondamentale per il suo equilibrio. Nei mari profondi il fitoplancton produce circa l'80% dell'ossigeno mondiale. I mari profondi svolgono un ruolo chiave nel sequestro del carbonio e, di conseguenza, nella regolazione del clima. Gli oceani forniscono 200 milioni di tonnellate di pesce e frutti di mare ogni anno, nutrendo circa il 20% della popolazione mondiale e creando 60 milioni di posti di lavoro. Dalle loro acque provengono migliaia di composti chimici usati per la cura dell’HIV, del cancro, del Covid 19, con proprietà antibatteriche e antimicotiche.
Questo mondo sommerso così importante per le nostre vite è sempre più a rischio, sempre più minacciato dalle attività di ricerca di idrocarburi, dall’estrazione petrolifera e gasiera (vedi qui), e dalla prospettiva di un’espansione sottomarina dell’attività mineraria.
Recentemente Greenpeace ha lanciato un allarme sull’estrazione mineraria in acque profonde:
“I fondali marini sono l’ultima frontiera delle multinazionali assetate di metalli. Le compagnie minerarie come The Metals Company stanno facendo pressioni sui governi per ottenere il permesso di estrarre metalli come cobalto, manganese e nichel dai fondali dei mari incluso il Circolo Polare Artico, e anche alcune aziende italiane come SAIPEM e Fincantieri hanno già mostrato interesse riguardo a queste estrazioni. Se non li fermeremo, enormi cingolati e altri macchinari verranno calati sul fondo dell’Oceano per saccheggiare ecosistemi già fragili e per ora incontaminati”.
Oltre che fragili e incontaminati, questi ecosistemi sono in gran parte sconosciuti.
Una ricerca pubblicata su Science Advances ci aiuta a capire quanto poco sappiamo sulle profondità marine, e quali disastrose e imprevedibili conseguenze potrebbe avere lo sconvolgimento del più grande ecosistema del pianeta. Quello che segue è la recensione di questa ricerca da parte di Climate & Capitalism.
How little we’ve seen: A visual coverage estimate of the Deep Seafloor
Katherine L. C. Bell, Kristen N. Johannes, Brian R. C. Kennedy e Susan E. Poulton
Science Advances, Vol.11 issue 19, 7 May 2025.
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Non scavare nell'ignoto
Una nuova ricerca dimostra perché l'estrazione mineraria in acque profonde è una pessima idea.
In uno studio rivoluzionario pubblicato su Science Advances, i ricercatori della Ocean Discovery League rivelano che solo una minuscola frazione del fondale marino profondo è stata fotografata. Nonostante copra il 66% della superficie terrestre, l'oceano profondo rimane in gran parte inesplorato.
Lo studio, "How Little We've Seen: A Visual Coverage Estimate of the Deep Seafloor", è il primo a documentare come, in decenni di esplorazione delle profondità marine, gli esseri umani abbiano osservato meno dello 0,001% dei fondali marini profondi. Questa area totale è all'incirca della dimensione del Rhode Island o un decimo della dimensione del Belgio.
L'oceano profondo, definito come quello oltre i 200 metri di profondità, sostiene diversi ecosistemi e fornisce servizi essenziali, tra cui la produzione di ossigeno, la regolazione del clima e scoperte farmaceutiche cruciali, e svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento della salute del nostro pianeta. Eppure, nonostante la sua importanza, la ricerca su questo immenso ecosistema è fortemente limitata, con indagini visive concentrate principalmente su poche regioni e paesi. L'imaging visivo è uno dei metodi più critici per studiare i fondali marini profondi ed è uno dei tre pilastri chiave dell'esplorazione oceanica, insieme alla mappatura e al campionamento.
"Mentre affrontiamo l’accelerazione delle minacce all'oceano profondo, dal cambiamento climatico al potenziale sfruttamento minerario e delle risorse, questa esplorazione limitata di una regione così vasta diventa un problema critico sia per la scienza che per la politica", ha detto la dottoressa Katy Croff Bell, autrice principale dello studio. "Abbiamo bisogno di una comprensione molto migliore degli ecosistemi e dei processi dell'oceano profondo per prendere decisioni informate sulla gestione e la conservazione delle risorse".
Utilizzando i dati di circa 44.000 immersioni in acque profonde con osservazioni condotte dal 1958 nelle acque di 120 paesi diversi, lo studio è la stima globale più completa delle osservazioni bentoniche in acque profonde fino ad oggi e mette in evidenza la disparità negli sforzi di esplorazione globale. Dato che non tutte le registrazioni delle immersioni sono pubbliche, i ricercatori affermano che anche se queste stime sforassero di un intero ordine di grandezza, meno di un centesimo dell'1% del fondale marino disporrebbe di registrazioni visive. Inoltre, quasi il 30% delle osservazioni visive documentate sono state condotte prima del 1980 e spesso hanno prodotto solo immagini fisse in bianco e nero, a bassa risoluzione.
Sorprendentemente, la maggior parte delle osservazioni visive è stata effettuata entro 200 miglia nautiche da soli tre paesi: Stati Uniti, Giappone e Nuova Zelanda. A causa dell'alto costo dell'esplorazione oceanica, solo una manciata di nazioni domina l'esplorazione delle profondità marine, con cinque paesi - Stati Uniti, Giappone, Nuova Zelanda, Francia e Germania - responsabili del 97% di tutte le osservazioni di immersione in acque profonde. Questa distorsione nella copertura geografica e nella rappresentazione degli operatori ha portato la comunità oceanografica a basare gran parte della sua caratterizzazione dell'ecosistema oceanico profondo su questo campione incredibilmente piccolo e non rappresentativo.
Lo studio evidenzia anche il divario di conoscenze riguardo agli habitat dei fondali marini. Alcune caratteristiche geomorfologiche, come canyon e creste, sono state al centro di ricerche significative, mentre vaste aree, tra cui pianure abissali e montagne sottomarine, rimangono poco esplorate.
Questi risultati sottolineano l'urgente necessità di uno sforzo più completo e globale per esplorare l'oceano profondo, garantendo che la ricerca scientifica e gli sforzi di conservazione riflettano accuratamente la reale estensione del fondale marino. Come osservato nello studio, se la comunità scientifica dovesse fondare tutte le ipotesi sugli ecosistemi terrestri sull’osservazione di solo lo 0,001% della superficie totale [delle terre emerse], baserebbe le valutazioni di tutta la vita terrestre sulla Terra su un'area all'incirca delle dimensioni di Houston, in Texas.
Per affrontare queste difficoltà, i ricercatori chiedono di espandere gli sforzi di esplorazione e di utilizzare le tecnologie emergenti per aumentare l'accesso all'oceano profondo. Grazie ai progressi negli strumenti per le acque profonde, più piccoli e più convenienti, c'è l'opportunità di ampliare la portata della comunità scientifica, comprese le nazioni a basso e medio reddito, nell'esplorazione e nella ricerca oceanica.
Questo studio rappresenta un passo cruciale nella comprensione delle lacune nell'esplorazione oceanica e della necessità di strategie globali complete per garantire la protezione e la gestione sostenibile dell'oceano profondo. Gli autori sperano che questi risultati incoraggino una maggiore collaborazione scientifica, portando ad una comprensione più profonda dell'ecosistema più vitale del nostro pianeta.
--> Tratto da Climate & Capitalism. Originale in inglese
Qui
*Traduzione di Ecor.Network