Questo lavoro, mentre esamina le ragioni del nuovo interesse per il principio dei "beni comuni" nel discorso politico radicale contemporaneo, sostiene la necessità di una prospettiva femminista sulla questione.
Il femminismo in questo contesto significa una posizione plasmata dalla lotta che le donne hanno sempre condotto per opporsi alla privatizzazione della nostra ricchezza comune (terre, foreste, acque costiere) e per produrre forme collettive di riproduzione. Dopo aver fornito vari esempi di beni comuni riproduttivi, che vanno dagli orti urbani di New York alle "ollas comunes" dell'America Latina, questo articolo chiede l'estensione del principio dei beni comuni alla riorganizzazione del lavoro domestico e della casa.
Il Femminismo e la politica dei beni comuni
di Silvia Federici
da: Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile, 20: 63-77, 2012 - 15 pp.
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* Proponiamo il testo di recensione di Gabriella Paulì tratto da: Intensive Program «I saperi delle donne» (Università del Salento, Lecce, 2014)
Silvia Federici sollecita la costruzione di ponti concettuali tra teoria femminista e teoria e politica dei beni comuni. Il concetto di politica del/i bene/i comune/i consente, nell’interpretazione dell’autrice, il superamento della dicotomia stato/mercato intorno a cui si è incardinato storicamente il discorso sulle forme e l’organizzazione della vita economica e sociale e quindi sul modo di produzione.
Il paradigma dei beni comuni e la lotta politica per i beni comuni devono essere compresi al di là delle versioni deboli e mistificate
proposte sia dagli organismi internazionali (Banca Mondiale e Nazioni Unite in primis), che dalla necessità del capitale di integrare e quindi depotenziare una qualche prospettiva sui beni comuni, come l’autrice sottolinea nel suo testo quando sostiene che “il capitale sta imparando le virtù del bene”. Tale paradigma quindi, nella sua significazione radicale, compatibile con la formazione marxista dell’autrice, non sembra essere estraneo alla esperienza delle donne, nei diversi contesti geografici (nello spazio globale tracciato dal capitalismo contemporaneo), tanto nel passato, quanto nel presente.
Una prospettiva femminista nel discorso sulla politica dei beni comuni sembra essere per Silvia Federici sia una esperienza storica delle donne che la nuova frontiera della resistenza delle donne al paradigma economico dominante e al progetto neoliberale che attualmente lo sostiene. L’autrice abbraccia e adotta come punto di partenza una visione: la lotta per i beni comuni e le esperienze di messa in comune delle risorse per garantire la sussistenza, come la creazione degli orti metropolitani per la sussistenza, la creazione del comune sono la strategia di resistenza al capitalismo che consente di pensare a forme organizzate alternative al capitalismo stesso. Allo stesso tempo, la rifondazione di una economia basata sul principio del comune consente/richiede un ripensamento concettuale ed organizzativo del lavoro domestico e di cura.
La lettura femminista dei beni comuni proposta dall’autrice invita ad una presa di coscienza che i processi di privatizzazione hanno avuto nella storia (dall’accumulazione primaria sino all’oggi) un impatto di genere diverso per uomini e donne perché le donne, in quanto soggetti del lavoro riproduttivo hanno sempre avuto un maggior rapporto di dipendenza rispetto agli uomini dall’accesso alle risorse naturali comuni. Attraverso numerosi riferimenti alla storia, l’autrice sembra allora richiamare l’attenzione sulla necessità della memoria dei movimenti delle donne e delle esperienze, delle pratiche delle donne contro l’espropriazione delle risorse naturali, così facendo, tessendo una genealogia di resistenza che dal passato arriva all’oggi (dalle ollas comunes del Perù, alle tontines nel contesto africano, alle pratiche dell’agricoltura di sussistenza praticata essenzialmente da donne).
Il comunalismo delle donne del popolo, per l’autrice vogliono incarnare l’alterità ed la creazione delle donne che si configura come contropotere all’interno della casa e della comunità, una strategia che le donne agiscono e praticano per superare la stretta del capitalismo (con le sue crisi e contraddizioni cicliche). Lungo questa cornice interpretativa, Silvia Federici suggerisce la riappropriazione ed il ri-accomunamento dei mezzi di produzione come pratica capace di opporsi alla «solidarietà astratta» interna ai movimenti, richiamando, ancora una volta, al significato dell’agire sociale e delle pratiche, centrali nella riflessione femminista. Le pratiche di riaccomunamento rispondono al principio di responsabilità ed al principio dei superamento della condizione di oblio che induce a dimenticare le condizioni di sfruttamento e di oppressione delle donne e degli uomini nel sistema capitalistico. Principio di responsabilità, rimozione dell’oblio, pratiche di accomunamento diventano allora per l’autrice tre snodi fondamentali del discorso femminista sulla politica dei beni comuni.
La proposta dell’autrice di una socializzazione, accomunamento del lavoro di cura per distruggere l’isolamento della vita domestica ed accrescere il potere delle donne nei confronti delle classi dominanti e degli uomini, consente allora di ripensare al lavoro domestico al di là della invisibilità storica che il paradigma dell’economia dominante basata sulla separazione tra pubblico e privato gli ha storicamente assegnato. Se, come sottolineato dalla Federici, l’accumulazione capitalistica è strutturalmente dipendente dall’appropriazione di immense quantità di mano d’opera e risorse che devono apparire esterne all’economia di mercato (come il lavoro domestico che le donne hanno fornito per la riproduzione della forza lavoro), ri-concettualizzare il lavoro domestico in termini di bene comune e riorganizzarlo come bene comune diventa l’escamotage simbolico e una pratica per una sua valorizzazione e riconoscimento che può agire come trasformazione del mondo.
Il saggio offre pertanto prospettive teoriche che integrano riflessione femminista e politica dei beni comuni, sebbene lasciano aperto un problema di cui la stessa autrice sembra intravederne la rilevanza: l’autrice rileva nel suo saggio come la sinistra, ad eccezione dei lavori di Toni Negri citati nel testo, non si sia posta il problema di come unificare le numerose iniziative collettive che si stanno sviluppando e di pensarle come un tutto unico alternativo al paradigma capitalista. E’ una domanda che interroga, ad avviso di chi scrive, anche il movimento femminista internazionale: come pensare e connettere le diverse esperienze, come metterle in rete, condividerle in modo che possano sprigionare tutta la loro capacità trasformativa?