Il crocevia delle Galapagos

di Marcos Colón

Il libro "Lo sguardo imperiale sulle Galapagos" cerca di comprendere queste isole oltre una visione umana. Il giornalista e accademico brasiliano Marcos Colón recensisce l'opera esplorando le difficoltà affrontate da uno degli ecosistemi più fragili del mondo.


Prima di diventare oggetto di ricerca scientifica, confine di stato, meta turistica o enclave geopolitica, le Galapagos sono state, per secoli, teatro di un silenzioso equilibrio. Tartarughe giganti, leoni marini, uccelli incapaci di volare e iguane marine esistevano in una rete di vita che non aveva bisogno di parole umane. Lì, come se fossero state poste dalla mano di un dio primordiale, le tartarughe hanno portato sul dorso non solo i loro gusci, ma anche una traccia vivente di tempi remoti.

È da questa tensione, tra la memoria biologica degli antichi abitanti e le imposizioni umane che trasformano l'arcipelago, che il libro ci invita a leggere le Galapagos come un territorio al crocevia, dove non è in gioco solo la vita delle isole, ma anche la possibilità di immaginare altri futuri per il pianeta.
 

Dei diversi significati della vita alle Galapagos

Se qualcosa si rivela leggendo "Lo sguardo imperiale sulle Galapagos", è l'incessante processo di trasformazione del significato della vita nelle isole e dell'abitarle. Nel corso della storia, diversi esseri – tartarughe, uccelli, iguane, leoni marini, piante, insetti – hanno dato a questo arcipelago un significato unico, che ha guidato i loro modi di vivere e convivere in quel territorio.

Per millenni, queste isole sono state sede e rifugio di innumerevoli forme di vita che ancora persistono, nonostante le alterazioni introdotte dalla presenza umana. Ciò accade, forse, perché per ogni comunità di esseri viventi, le Galapagos non sono un solo luogo, ma piuttosto una pluralità di mondi possibili: per le tartarughe, lo spazio del ritorno e della continuità; per gli uccelli migratori, una sosta effimera; per le specie endemiche, l'unico orizzonte; per i leoni marini, una superficie aperta al gioco e al riposo; per le iguane marine, una rupe che si tuffa nel cibo. Ogni specie, a modo suo, stabilisce una geografia del significato.

Riconoscere questa molteplicità è essenziale per comprendere l'attuale crocevia delle Galapagos. Ciò implica abbandonare la prospettiva esclusivamente umana – quella di scienziati, funzionari pubblici, imprenditori o strateghi del potere geopolitico – e porre al centro coloro che, senza discorsi o mappe, hanno territorializzato le isole per millenni: gli esseri non umani che vi hanno costruito e condiviso la loro vita. In questo gesto, si apre la possibilità di comprendere le Galapagos non solo come patrimonio naturale, ma come una costellazione di mondi interconnessi la cui voce influenza ancora il corso della vita sul pianeta.
 

Primo crocevia: desacralizzazione–sacralizzazione delle Galapagos

Ciò che potrebbe sembrare un "nonsenso" – attribuire un significato sacro a comunità non umane – acquisisce tuttavia piena validità nel dibattito attuale. Lo dimostra la biologa ecuadoriana Anamaría Varea, biologa che è stata guida naturalista nelle Galapagos. Nel descrivere la vita delle specie che studia sulle isole, ci ricorda un peccato originale della scienza moderna: essere nata come atto di desacralizzazione della natura.

A partire da Francis Bacon, la scienza ha posto come presupposto la radicale separazione tra soggetto e oggetto, tra osservatore e mondo osservato. Questo distanziamento ha portato all'oggettivazione della vita e all'espulsione di qualsiasi dimensione simbolica, relegata al paradiso, all'inferno o, nel migliore dei casi, alla "metafisica". Secondo questa logica, il sacro è rimasto escluso da ogni sforzo scientifico.

Con questo spirito, Charles Darwin arrivò alle Galapagos nel settembre del 1935. Il suo approccio era orientato all'osservazione, alla classificazione e alla conclusione, ovvero, alla comprensione della vita come un processo di adattamento e trasformazione corporea di fronte a condizioni ambientali oggettive. Da ciò emerse la famosa idea della "sopravvivenza del più adatto", che sarebbe stata poi facilmente trasferita al campo delle società umane. Da questa prospettiva, le isole apparivano come uno scenario ideale: un territorio "vuoto" di significato umano, dove la vita poteva essere osservata senza interferenze "sacre".

Ma la condizione simbolica di un luogo non è mai irrilevante. Per qualsiasi società, dichiarare sacro uno spazio, esprime un sentire-pensare collettivo che lo incorpora al tessuto della sua territorializzazione. Quella dimensione, negata dalla scienza moderna, emerse nell'esperienza personale di Varea: dopo anni di ricerca e di vita come guida sulle isole, percepì un'energia inspiegabile, visibile nel fluire delle comunità non umane. Una forza che gli rivelavano le Galapagos come un santuario: un luogo venerabile, che ispira rispetto e devozione.

E qui sta la contraddizione. Da Darwin a oggi, la scienza e la tecnoscienza occidentali hanno mantenuto la premessa di escludere qualsiasi attribuzione di sacralità alle Galapagos, considerandole un residuo "non scientifico", proprio dell'immaginazione o del mito. Tuttavia, l'esperienza di vita di chi abita o studia a fondo l'arcipelago, restituisce alla superficie un'altra comprensione: quella di uno spazio che esprime, nei termini di Humberto Maturana e Francisco Varela, l'autopoiesi di un pianeta vivo, autonomamente capace di generare e rigenerare la vita. Con questo concetto, i biologi cileni si riferiscono alla capacità dei sistemi vivi di produrre e riprodurre i propri elementi e processi, ovvero di sostenere la vita dall'interno senza dipendere da un controllo esterno.

Questo è, quindi, il primo grande crocevia delle Galapagos: tra il gesto moderno che le ha convertite in un laboratorio scientifico oggettivo e l'esperienza profonda che le riconosce come santuario, un luogo sacro della vita sulla Terra.
 

Secondo crocevia: l'utilità territoriale delle Galapagos

Un secondo momento storico ridefinisce il significato delle Galapagos, distinto da quello sostenuto per millenni dalle comunità non umane che ancora persistono sulle isole, resistendo e ri-esistendo nonostante le trasformazioni imposte dall'uomo. Questo nuovo significato emerse con la formazione delle repubbliche latinoamericane dopo l'indipendenza dalla Spagna, nel processo di delimitazione dei confini nazionali. Nel caso dell'Ecuador, le isole diventano parte della definizione dei suoi confini territoriali, una logica in cui le memorie viventi di tartarughe, leoni marini, uccelli e iguane non contano, sebbene siano loro ad aver tessuto la memoria più lunga dell'arcipelago.

In seguito, la figura delle "piattaforme continentali" sarebbe stata aggiunta ai confini repubblicani, estendendo la sovranità al mare e al sottosuolo. Ogni isola o promontorio diventa così un punto di espansione: la sua stessa esistenza genera un perimetro di dominio marittimo di circa 22,5 chilometri verso l'esterno e verso il basso, che accresce l'estensione dello Stato. In questo modo, le Galapagos acquisiscono un'utilità strategica che trascende il biologico o il simbolico: diventano uno strumento di espansione sovrana.

A questa utilità si aggiunge l'orgoglio creolo nel presentare le isole come la culla di una delle grandi teorie scientifiche europee sull'origine delle specie, o come fonte di ispirazione letteraria per figure come Herman Melville. Tuttavia, al di là di queste risonanze culturali, il fattore decisivo è che le Isole Galapagos giungono ad avere un valore d'uso nella logica repubblicana: sono un territorio utile e capitalizzabile, incorporato al dominio dello Stato.

È qui che emerge il secondo grande crocevia delle Isole Galapagos: sono concepite non come un arcipelago vivo e autonomo, ma come un oggetto di sovranità, un bene la cui funzione è quella di generare profitto materiale per la repubblica che lo amministra. Ciò esprime un altro dei fondamenti della scienza moderna di Bacon: la conoscenza deve produrre utilità. Pertanto, il valore delle isole si riduce alla loro produttività e redditività, prolungando l'oggettivazione e la desacralizzazione della natura.
 

Terzo crocevia: La mercificazione del santuario

Per secoli, le tartarughe hanno vagato per le isole, certe di essere accolte solo dai saluti degli albatros in cielo, dei gabbiani sulla riva, dei pinguini sugli scogli e dal rauco muggito dei leoni marini. La loro andatura lenta non era dovuta al peso del guscio, come spesso pensano gli umani, ma a un segreto condiviso: camminano seguendo il silenzioso pulsare della terra. Pertanto, ogni viaggio si converte in memoria.

Fino a non molto tempo fa, per le tartarughe, gli umani erano visitatori rari, passeggeri occasionali nella solitudine dell'arcipelago. Ma un giorno, quasi senza capirne il motivo, li videro moltiplicarsi: non arrivavano più solo in barca, ma con aerei sempre più frequenti, il cui ruggito spaventa gli uccelli, assorda i leoni marini, innervosisce i pinguini e turba la calma di tutte le specie che avevano tessuto la vita in queste isole silenziose.

Lo storico e antropologo ecuadoriano Pablo Ospina Peralta lo sottolinea chiaramente: la crescita demografica dell'arcipelago non è dovuta a un aumento naturale delle nascite, ma all'immigrazione dalla terraferma, spinta da un turismo traboccante che richiede più lavoratori, più materiali, più servizi. A sua volta, questo turismo rende le isole dipendenti da fonti energetiche e materiali esterne, aumentando voli e trasporti che in ultima analisi colpiscono le loro comunità non umane, la cui unicità, un tempo riconosciuta come valore ecologico, viene ridotta a una mera attrazione commerciale.

In questo modo, la conservazione stessa delle Galapagos è stata subordinata alla logica del mercato turistico. Ed è qui che si colloca il terzo grande crocevia: il santuario diventa una merce. La crescita economica che garantisce l'"utilità" dell'arcipelago comporta simultaneamente una profonda alterazione del suo spazio vitale e una crescente minaccia per le specie endemiche, antiche e vulnerabili che lo hanno abitato.

Quarto crocevia: geopolitica e distruzione della vita nelle Galapagos

Al di sopra di tutti i crocevia menzionati, non solo per il tipo di accordi firmati e le loro implicazioni politiche e territoriali, ma soprattutto per il potere distruttivo che la loro attuazione comporta, si colloca quello che inserisce le Galapagos nell'attuale scenario di contesa geopolitica per l'egemonia globale tra grandi potenze economiche e militari. A questo proposito, l'economista ecuadoriano Alberto Acosta, ex Ministro dell'Energia e delle Miniere ed ex Presidente dell'Assemblea Costituente (2007-2008), difensore del Buen Vivir (Buon Vivere) e critico dell'estrattivismo, offre un'analisi cruda: da un lato, dimostra lo svuotamento di significato del concetto di "sovranità" territoriale degli Stati-nazione fino al punto di farlo praticamente scomparire. Dall'altro, rivela la totale assenza di qualsiasi riferimento alle comunità non umane originarie delle isole. Acosta le menziona appena, non perché le ignori, ma perché, in questo scenario, non hanno nulla da dire o da apportare. In altre parole, in un contesto di lotta geopolitica tra l'imperialismo statunitense e l'emergere del potere non meno imperiale cinese, le Isole Galapagos costituiscono solo un piccolo spazio da cui gli Stati Uniti possono stabilire una piattaforma per mobilitare le proprie forze e per controllare o contenere i movimenti del nemico cinese. Sulla scena geopolitica, dove si fronteggiano l'imperialismo statunitense e la potenza emergente, non meno imperiale, dei cinesi, le Isole Galapagos non sono altro che un'enclave da cui gli Stati Uniti possono stabilire piattaforme militari per mobilitare truppe, controllare rotte strategiche e contenere l'avversario. Quando la posta in gioco è definire chi dominerà il mondo, le tartarughe giganti e le altre specie delle Galapagos non contano.

In questo contesto, ciò che è "utile" non risiede più nelle specie autoctone, nel loro valore ecologico o scientifico, o persino nel loro potenziale economico o commerciale. Ciò che è "utile" risiede nel territorio stesso, nella sua posizione strategica per la guerra. La decisione dell'attuale governo ecuadoriano di cedere le Isole Galapagos agli Stati Uniti per la costruzione di basi militari non è solo un atto di sottomissione coloniale: è anche un sintomo della progressiva dissoluzione degli stati-nazioni così come li avevamo conosciuti nel XX secolo.

Le strutture statali latinoamericane, indipendentemente dall'ideologia proclamata dai loro governi, di destra o di sinistra, sono state cooptate dalle multinazionali. Non sorprende quindi che un governo "progressista", come l'amministrazione Kirchner in Argentina, abbia ceduto territori alla Cina per progetti di ricerca aerospaziale, né che il governo di destra di Daniel Noboa permetta agli Stati Uniti di utilizzare le Isole Galapagos per monitorare il Pacifico e controllare il Canale di Panama. Entrambi i casi rispondono alla stessa logica di sottomissione coloniale alle multinazionali.

Come mostra il libro mostra lungo la sua lettura, la colonialità delle isole ha seguito un percorso chiaro: dallo sguardo stupito di Darwin sulla capacità di autopoiesi delle specie non umane, presenti alle Galapagos da millenni, al loro svuotamento di significato da parte della modernità capitalista occidentale, che ha ridotto la vita alla sua utilità. Così, il valore di ciò che è "utile" è mutato: dalla scienza alla sovranità territoriale, dalla materialità economica all'utilità strategica in guerra.

Tuttavia, in questo spostamento, le tartarughe continuano ad avanzare con la loro millenaria lentezza. E forse, a meno che la civiltà umana non impari un giorno ad ascoltare il loro linguaggio, che non è altro che quello della Terra stessa, finiranno per scomparire insieme al profondo significato della vita nelle Galapagos.

In definitiva, "Lo sguardo imperiale sulle Galapagos" va oltre l'esercizio accademico o il compendio di diagnosi storiche: è, soprattutto, uno strumento di lotta politica e simbolica per il futuro dell'arcipelago. Restituendo alle isole la densità dei loro molteplici significati, dalla vita delle specie non umane all'assalto del turismo estrattivista e della geopolitica militare, il libro sfida direttamente il nostro modo di pensare la sovranità, la conservazione e la giustizia ecologica. Leggerlo ci ricorda che difendere le Galapagos oggi non significa solo preservare un santuario naturale, ma anche difendere il significato stesso della vita di fronte alle logiche utilitaristiche e mercantilistiche che minacciano di cancellare la memoria lenta e persistente delle tartarughe.
 

--> Originale in    spagnolo qui, tratto da 
* Traduzione di Giorgio Tinelli per Ecor.Network 


La mirada imperial puesta en Galápagos
Alberto Acosta, Elizabeth Bravo, Esperanza Martínez, Ramiro Ávila
Action Solidarité Tiers Monde, Junio, 2025 – 194 pp.

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INDICE

  • Esperanza Martínez. PREFAZIONE
  • Ramiro Ávila. GALAPAGOS: PATRIMONIO DELL'UMANITÀ O PATRIMONIO DELL'ESERCITO STATUNITENSE?
  • Anamaría Varea. GALAPAGOS, UN SANTUARIO NATURALE PROFANATO
  • Pablo Ospina Peralta. CRESCITA ECONOMICA O SOSTENIBILITÀ: LA SFIDA AMBIENTALE ALLE GALAPAGOS
  • Alberto Acosta. VISTA IMPERIALE SULLE GALAPAGOS. UNA BREVE RASSEGNA DELLE MINACCE E DELLE AGGRESSIONI RICORRENTI
  • Luis Córdova-Alarcón. NUOVE ENCLAVE MILITARI STATUNITENSI IN PERÙ E ECUADOR
  • Elizabeth Bravo. IMPATTI AMBIENTALI DELLE BASI MILITARI STATUNITENSI SUGLI ECOSISTEMI TROPICALI
  • Anne Theissen. CAMBIO DEL DEBITO NELLE ISOLE GALAPAGOS
  • Elizabeth Bravo. SPERIMENTARE NUOVE TECNOLOGIE NELLE GALAPAGOS: IL CASO DEI RODITORI INVASIVI
  • María Rosa Yumbla e Ronald Herrera Sánchez. AGRICOLTURA FAMILIARE SOSTENIBILE: UNA PROPOSTA SOCIO-ECOLOGICA NELLE ISOLE GALAPAGOS

 

21 ottobre 2025 (pubblicato qui il 26 ottobre 2025)