Il caro gas "fa bene" ad ENIENI moltiplica i profitti grazie ai prezzi del gas e li reinveste nel fossile

di Duccio Facchini (intervista a Radio Onda d'Urto)

Chi produce il caro vita?
È una domanda da porsi ora che l'aumento vertiginoso dei prezzi dell'energia grava in maniera pesante sulle condizioni di vita di buona parte della popolazione, già colpita da trent'anni di compressione salariale.
È una domanda da porsi, visto che l'argomento del caro bollette verrà utilizzato per promuovere un ulteriore rilancio dell'economia fossile.
Già immaginiamo le narrazioni belliche che accompagneranno la progettazione di nuovi gasdotti e l'aumento della pressione degli stoccaggi del gas, in nome del contenimento dei prezzi dell'energia, dell'indipendenza dalla Russia ... e della dipendenza (ma questo non lo dicono) ancora per decenni da un combustibile fossile altamente climalterante.
Già immaginiamo un nuovo impulso alla costruzione di infrastrutture devastanti e pericolose, blindate dal cd "interesse strategico nazionale", vendute all'opinione pubblica come la via per salvarsi dalla crisi, quando invece l'aggravano. Perchè i territori ne pagheranno l'impatto ambientale, sociale e sanitario, perché non è vero che serviranno a contenere i prezzi, perché i loro costi di costruzione ci verranno girati in bolletta, perché la loro gestione capitalista non è certo orientata a garantire a tutti il diritto all'energia e al calore, perchè deviano gli investimenti pubblici da altri obiettivi, tipo quello di sostenere le comunità energetiche basate sulla gestione collettiva delle rinnovabili, o di progettare una società che abbia meno bisogno di energia.
E soprattutto perchè dobbiamo lasciare i combustibili fossili sotto terra, in nome del diritto al futuro di tutte le specie viventi.

Ma, tornando alla domanda iniziale, chi produce il caro vita?
In questi giorni la pubblicazione del rapporto sui risultati finanziari dell'ENI per il 2021 ha reso palese come la società a capitale pubblico - che ha come maggiori azionisti la Cassa Depositi e Prestiti e il Ministero dell'Economia e delle Finanze - abbia partecipato, al pari delle altre, alla speculazione ai danni di chi quest'anno forse non potrà scaldarsi a sufficienza, per reinvestire i sovraprofitti nel disastro climatico.
È questo "l'interesse strategico nazionale" di cui parlano, quando ci impongono manu militari nuove grandi opere al servizio delle multinazionali dell'energia ?
Riportiamo in proposito il testo dell'intervista
di Radio Onda d'Urto a Duccio Facchini, autore di una interessante analisi del Rapporto ENI, consultabile sul portale della rivista Altreconomia (qui).


Radio Onda d’Urto: “ENI moltiplica i profitti grazie ai prezzi del gas e li reinveste nel fossile”. Questo è il titolo di un articolo uscito su Altraeconomia il 18 febbraio 2022 a firma del direttore Duccio Facchini, che è al telefono con noi.
Tu scrivi:  "Nell’ultimo trimestre 2021 la multinazionale degli idrocarburi ha visto crescere gli utili del 53%, pari a 3,8 miliardi di euro. Il balzo dei prezzi del gas ha fatto la differenza, ma gli investimenti tecnici sono destinati in gran parte allo sviluppo di giacimenti. ENI è intrappolata nel fossile e al governo va bene così”, denuncia RE: Common. Insomma, c’è tanta lamentela, in qualche modo, sulla questione del caro bollette, ma c’è chi invece ci specula.

Duccio Facchini: C’è chi ha fatto enormi profitti, come appunto ENI, che ricordiamo è la principale multinazionale degli idrocarburi del nostro paese, dove l’azionista di maggioranza è il governo, e quindi avrebbe tutti gli strumenti per orientare le scelte di ENI stessa.
Ciò nonostante il 18 febbraio sono stati presentati i risultati dell’ultimo trimestre e dell’anno intero 2021, e la stessa ENI sottolinea che i risultati straordinari e eccellenti – per utilizzare le parole dell’amministratore delegato Claudio Descalzi – derivano in gran parte dall’attività legata agli idrocarburi trainata dall’aumento dei prezzi che hanno inciso sui ricavi, e quindi sugli utili della società, con livelli davvero incredibili. Stiamo parlando di un utile netto  adjusted che ha toccato nel 2021 quota 4,7 miliardi di euro, che è il più alto dal 2012, quando il brent superava i 110 dollari al barile.
Davvero ENI ha fatto dei risultati clamorosi e sorprende che nessuno si ponga il problema - proprio in questo dibattito abbastanza allucinante sul caro bollette - degli estraprofitti e di andare a chiederne conto.

Radio Onda d’Urto: Però ENI basa tutta la sua promozione, la sua pubblicità, sul green, sul fatto che investe in energia pulita

Duccio Facchini: ENI è campione di greenwashing, e sono gli stessi bilanci della società a dirlo. Non è una questione di fervidi ambientalisti. Se noi guardiamo i risultati del 2021 che ha pubblicato la stessa società, e andiamo a guardare gli utili - quindi ciò che tiene in piedi la società - gli utili del settore esplorazione e produzione  pesano per 9,3 miliardi di euro pesano sui 9,7 complessivi dello scorso anno. Quindi possiamo concludere che la stragrande maggioranza degli utili prodotti da ENI nel 2021 derivano dal settore dagli idrocarburi, tanto è vero che gli investimenti che la società continua a fare - nonostante spot, cambio di marchi, annunci, pubblicità – sono ancora tutti quasi interamente finalizzati allo sviluppo giacimenti di idrocarburi, in Egitto, in Angola, negli USA, negli Emirati Arabi Uniti, in Italia, in Indonesia e in Iraq. Mentre le rinnovabili sono state furbescamente incluse nel settore della società che un tempo era “Eni gas e luce”, e oggi Plenitude, e quindi gli investimenti sulle rinnovabili cubano un po’ di più perché tengono dentro la commercializzazione del gas e dell’energia elettrica nel business retail, ma sono comunque fermi a 366 milioni di euro.
Se pensiamo agli ordini di grandezza che citavo prima (9 miliardi di euro) stiamo parlando di una briciola da una parte e di una montagna dall’altra.

Radio Onda d’Urto: Quindi l’industria del fossile è una industria ancora in piena attività, e soprattutto ancor molto redditizia.

Duccio Facchini: Questa è la brutta notizia che emerge da questi dati, nel senso che il fossile è considerato ancora dai mercati nel brevissimo periodo un settore profittevole, e quindi può beneficiare di questi risultati, nonostante noi sappiamo che sul medio e sul lungo periodo – per gli accordi di mitigazione di contrasto ai cambiamenti climatici, per la bolla del carbonio che noi viviamo legata alla transizione ecologica, che purtroppo però è osteggiata da soggetti di questo tipo, sappiamo che noi i combustibili fossili non li dovremmo nemmeno toccare.
Noi dovremmo lasciare sotto terra le riserve già certe che abbiamo di gas, di petrolio e di carbone. Ciò nonostante, a leggere i risultati entusiastici di ENI, sembra di entrare davvero in un mondo parallelo dove si festeggiano i nuovi giacimenti in Costa d’Avorio, o dove si festeggia la crescita della produzione dei giacimenti nelle Azzorre, in Egitto o a Merakes in Indonesia

Radio Onda d’Urto: Però mi sembra siano festeggiamenti a breve termine, mi pare di capire, nel senso che le riserve fossili di idrocarburi stanno finendo. Anche da un punto di vista aziendale non c’è uno sguardo prospettico nemmeno sul medio periodo.

Duccio Facchini: Assolutamente no. Quando dicevo “considerati i profitti a breve termine” era un modo educato di osservare un atteggiamento predatorio del mercato che pensa a cortissimo respiro a massimizzare i profitti nell’immediato, e non invece a interrogarsi su quali possono essere le ricadute nel medio e nel lungo periodo.
Quindi amen se fra qualche anno la transizione sarà ancora più difficile da implementare, perché probabilmente non sarà sulle spalle dei decisori di oggi farsene carico.
È allucinante, ma invito a recuperare i risultati pubblicati da Eni e di leggerseli. Sono 37 pagine, uno se le legge, e poi guarda gli obiettivi climatici di Parigi, e magari si legge anche il nostro libro “Che cos’è la transizione ecologica” , e poi si chiede: “ma siamo marziani noi, o c’è qualcuno che finge di non aver capito e va avanti come se nulla fosse”.

Radio Onda d’Urto: È interessante però come soggetti come Re:Common che stanno denunciando tutta questa operazione di ENI, in Italia invece di essere valorizzati subiscono le angherie e le pressioni dell’azienda.

Duccio Facchini: Assolutamente. Fra l’altro ci ricordiamo recentemente una lettera allucinante dell’azienda alla trasmissione Report su RAI3, in cui mandavano in onda una intervista ad Antonio Tricarico.
Si, l’atteggiamento è quello di una ridicolizzazione, di una sottovalutazione finalizzata ovviamente ad annichilire la voce di chi mette in discussione il modello fossile e soprattutto questo effetto “lock in”, che interessa ad ENI. Cioè continua a fare utili clamorosi, e quegli utili che fa li continua ad investire nel fossile,
senza invece mettere in atto un piano di uscita. Ma è lo stesso clima - per tornare al recente Festival di San Remo – che ha portato all’emissione di fogli di via dalla città di San Remo contro una decina di attivisti di Greenpeace che si erano permessi di manifestare sul green carpet di ENI. Voglio ricordare che ENI era uno dei main sponsors dell’evento, dove lanciava il cambio di nome di “Eni gas e luce”.
Cioè questo è il clima che si respira nel nostro paese per chi mette in discussione il distruttivo modello fossile, ed è una pessima notizia.

Radio Onda d’Urto: Diciamo che i soldi di Eni riescono a coprire poi tutto ciò che l’azienda fa. E non solo quelli di ENI, in generale con le sponsorizzazioni, con i finanziamenti ai gruppi editoriali si ottiene una certa protezione nella comunicazione.

Duccio Facchini: Questo pone un altro tema, di cui ci siamo occupati lo scorso anno, che è quello della pubblicità dei fossili, del fatto che è venuto il momento – come propone una ICE europea, una petizione europea lanciata da Greenpeace, ReCommon e altre organizzazioni nel 2021 – che i combustibili fossili sono il nostro tabacco di 20 anni fa. E come vale per il tabacco per cui c’è una convenzione internazionale che ne vieta la pubblicizzazione, perché è come pubblicizzare qualcosa che fa male, allo stesso modo questa policy dovrebbe essere adottata per i combustibili fossili, a livello di sponsorizzazioni, a livello di finanziamenti alle istituzioni culturali, filantropiche.
Cioè, intorno ai fossili noi dovremmo fare terra bruciata. Purtroppo nel modello economico dominante è molto difficile mettere in discussione questo equilibrio di potere.


Le immagini della contestazione all'Ariston sono tratte dal sito di Greenpeace.
 

21 febbraio 2022 (pubblicato qui il 25 febbraio 2022)