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In Costa Rica si potrebbe assistere all'imminente estinzione della produzione nazionale di mais e alla quasi totale dipendenza dal consumo di riso e fagioli importati. Questa situazione lascia il paese sul punto di perdere la capacità di sfamare la propria popolazione e di peggiorare ulteriormente le reti alimentari contadine che servono la produzione di granos básicos.
Secondo i dati CEPAL compilati dallo Stato della Nazione, il Costa Rica per il 2018 ha prodotto lo 0,6% del mais consumato, il 20,4% dei
fagioli e il 45,5% del riso.
Attualmente, la situazione sta peggiorando per il riso. In 4 anni la produzione nazionale si è ridotta e fornisce solo il 34% del mercato nazionale. Oltre a questo, il governo del presidente entrante Rodrigo Chaves sta promuovendo diversi decreti che, qualora andassero in porto, eliminerebbero il regime di fissazione dei prezzi al consumo e ridurrebbero di oltre il 30% i dazi sull'importazione di riso bianco e di riso integrale.
Secondo Semanario Universidad, si prevede che l'apertura commerciale riguarderà più di 500 produttori medi nazionali di riso che non potranno competere con i prezzi internazionali, mentre i vincitori saranno 5 aziende importatrici di riso (La Maquila LAMA SA, Importadora el Armenia SA, Merchants of El Barreal SA, Marketing of Consumer Goods SA e Comercializadora Internacional de Granos Básicos SRL) e catene di supermercati in cui Walmart concentra parte del mercato.
Questa decisione si aggiunge alle politiche dei governi precedenti che per più di tre decenni hanno modificato lo Stato per rafforzare il modello di agro-export e smantellare la produzione nazionale, che decenni fa poteva garantire la maggior parte del consumo nazionale di alimenti di base come riso, fagioli e mais.
Nel 1987 le aree di produzione nazionale di mais erano superiori a quelle di fagioli e riso, rispettivamente quasi 80 mila ettari di mais e quasi 60 mila di riso e fagioli. Nel 1997 il mais è sceso a meno di 20.000 ettari e nel 2019 la superficie media dedicata solo alla produzione di mais bianco era di circa 3.000 ettari.
In altre parole, una persona che attualmente ha trent'anni è nata in un paese dove il mais che veniva prodotto sopperiva al consumo nazionale. In questo momento, quella stessa persona vive in un paese che dipende dal 99,6% dal mais importato.
Questa dipendenza ha generato una riduzione delle varietà locali e autoctone di mais con perdite inestimabili. Secondo l'ingegnere Miguel Chacón, il ritiro degli agricoltori da questa attività ha causato l'estinzione di varietà che per decenni hanno saputo adattarsi alle condizioni particolari di ogni zona. Allo stesso tempo, con la scomparsa di queste diversità di semi e pratiche colturali, sono scomparsi anche i sapori dei cibi che venivano preparati, ma anche i saperi legati al lavoro di cura, semina, raccolta, conservazione e intercambi nell'ambito della coltura del mais.
Relativamente ai fagioli, le superfici dedicate alla produzione nazionale nel 1991 hanno raggiunto quasi i 70 mila ettari, e nel 2019 si sono ridotte a 16 mila. Attualmente la produzione nazionale si aggira intorno al 21,9% del mercato nazionale e potrebbe risentirne maggiormente, dal momento che dal 2020 la tariffa all'importazione dei fagioli è stata ridotta a zero, a causa dell'accordo di libero scambio con USA e Perù, che potrebbe interessare più di 3 mila persone che producono fagioli.
Il cibo del Paese è stato lasciato alla volontà del libero scambio e sembra che nessuna produzione nazionale sia stata in grado di far fronte alla concorrenza del mais, per lo più importato dagli Stati Uniti, del riso importato dal Brasile o dei fagioli dalla Cina. Anche la promessa di un mercato libero che riduca i costi alimentari per la maggior parte della popolazione non è stata mantenuta, dal momento che i granos básicos - alla mercé delle importazioni - sono diventati tra il 10% e il 19% più costosi, nell'ultimo anno, a causa dell'aumento dei prezzi internazionali di combustibili e materie prime,
per la crisi dei container e della guerra tra Russia e Ucraina, secondo la Rete Regionale d'Informazione sui Mercati.
Alcuni dei meccanismi che hanno causato questa dipendenza quasi assoluta, sono state le ben note pressioni delle organizzazioni finanziarie internazionali, i Programmi di Aggiustamento Strutturale (PAES), gli accordi di libero scambio, i tassi di interesse preferenziali e i sistemi assicurativi per il settore export, le leggi sulla proprietà intellettuale, i regolamenti internazionali sulle misure sanitarie e fitosanitarie, disegnate intorno all'industria su larga scala e necessità imposte di pacchetti di sementi modificate e prodotti chimici per l'agricoltura, solo per citare alcuni elementi del sistema alimentare agroindustriale.
Inoltre, la sistematica scomparsa del sostegno nazionale alla produzione che, parallelamente ai meccanismi precedenti, iniziò con la politica "Agricoltura per il cambiamento" promossa durante il primo governo di Oscar Arias (1986-1990), e cessò di servire i piccoli e medi agricoltori, eliminando l'assistenza tecnica e i servizi di estensione statale, rendendo il credito più costoso e difficoltoso, eliminando fattori produttivi a basso costo e catene di deposito, distribuzione e commercializzazione che consentivano di collocare la produzione sul mercato nazionale. Queste sono state le basi per l'eliminazione della produzione agricola nazionale, che è oggi intensificata dalle politiche statali per la trasformazione dell'identità culturale, mutando i contadini in imprenditori.
Entrambi i meccanismi hanno creato le condizioni per inondare di prodotti il mercato nazionale e far sì che i principali fornitori di alimenti non fosse più la produzione contadina bensì le multinazionali.
Nonostante quanto descritto, la produzione del mais che rimane avviene comunque grazie alle reti alimentari contadine. Secondo l'Ufficio Nazionale delle Sementi, la maggior parte della produzione di mais sopravvive grazie al lavoro delle famiglie nei propri orti e appezzamenti, che lo utilizzano per preparare piatti con forti radici culturali e nutrire i loro animali domestici come polli, maiali, capre e altri ancora. Allo stesso modo, gran parte delle coltivazioni di fagioli esistono grazie al lavoro della piccola e media produzione realizzato da contadine e contadini su terreni di dimensioni inferiori a 5 ettari, secondo i dati del Ministero dell'Agricoltura (MAG).
Dal momento che siamo ormai prossimi a una dipendenza assoluta per quanto riguarda l'import di mais, fagioli e riso, è urgente tornare a considerare le proposte di sovranità alimentare che stanno lavorando per proteggere le reti contadine di alimentazione e che cercano in ogni maniera di proteggere le sementi autoctone e la cultura contadina.
Solo per citarne alcune, sono le esperienze collettive come quelle portate avanti dalla Biriteca Agroecológica CR, il progetto "Mujeres Semilla", del Centro Nazionale Specializzato in Agricoltura Biologica dell'INA o le "Declaraciones de Santuarios de Semillas" di Santa Cruz sostenute da Sol de Vida, che accompagnano l'autodeterminazione dei popoli e della popolazione contadina, per decidere come produrre e far circolare prioritariamente le economie locali, cercando di garantire l'uso e la cura degli ecosistemi, dei beni comuni, ricercando nuove relazioni libere da oppressione in relazione al genere, all'appartenza etnica, alle generazioni e alle classi sociali.
* Zuiri Méndez Benavides è professore del Programma Kioscos Socioambientales
** Traduzione di Giorgio Tinelli per Ecor.Network