*** Raffineria API di Falconara (AN) ***

L'inflessione pesarese della proprietà azera dell'ApiFinisce l’epopea della Famiglia Brachetti Peretti

di Leonardo Animali


"Livelli di benzene cento volte superiori alla normativa. Per questo ho lasciato Falconara e ho portato i miei figli lontano da qui". A parlare, mercoledì 15 ottobre 2025, è stato il biologo dell’Università di Urbino Mirco Fanelli, fino a qualche anno fa residente a Falconara Marittima, e teste di parte civile nel cosiddetto processo “Oro Nero”, che si è aperto presso il tribunale di Ancona lo scorso 10 settembre contro la Raffineria API, una delle più grandi di petrolio in Italia.

Nel 2018, un grave incidente presso l’API, scatenò una serie di esalazioni di idrocarburi che coinvolsero l’intera città. Questo evento fu il catalizzatore di denunce da parte dei cittadini e delle associazioni ambientaliste. Le indagini condotte dalla Procura di Ancona, in collaborazione con il NOE dei Carabinieri, fecero emergere una gestione illecita di rifiuti speciali, emissioni pericolose nell’atmosfera e contaminazione delle acque e del suolo circostante, la presenza di PFAS nel suolo. Questi inquinanti rappresentano un serio rischio per la salute pubblica, in particolare per le popolazioni che vivono nelle vicinanze della raffineria.

L’inchiesta “Oro Nero” ha coinvolto 17 imputati, tra cui dirigenti della Raffineria API e funzionari dell’ARPA Marche. Le accuse vanno dal disastro ambientale, alla gestione illecita di rifiuti, dalle lesioni colpose alla rivelazione di segreto d’ufficio.

La comunità locale, supportata da numerose associazioni ambientaliste e comitati cittadini, si è costituita parte civile. Le istituzioni locali e regionali hanno espresso preoccupazione per la situazione, con alcuni esponenti politici che hanno chiesto misure più severe per garantire la sicurezza ambientale. La comunità scientifica, attraverso studi e ricerche, ha sottolineato la necessità di interventi urgenti per mitigare gli effetti dell’inquinamento e per prevenire ulteriori danni all’ecosistema.

Le dichiarazioni rese dal dott. Fanelli in sede giudiziaria, sono lo specchio di quella che è da anni la situazione ambientale e sanitaria a Falconara Marittima, con ripercussioni su gran parte del territorio della bassa provincia di Ancona. Una situazione suffragata da dati epidemiologici al di fuori della norma, relativi a gravissime patologie.

La politica di ogni schieramento minimizza da anni e rinnova sempre le concessioni ventennali all’API, come ha fatto la Regione Marche anche nel 2020. Il tema del ricatto occupazionale, continua tutt’oggi ad essere fortemente prevalente su quello sanitario.

Il processo si svolge in un periodo in cui è stata resa nota a tutta la comunità marchigiana e nazionale la notizia della clamorosa vendita della raffineria Api, da oltre 92 anni di proprietà della famiglia Brachetti Peretti tramite la società API Holding.

La notizia della cessione del 99,82% delle quote della proprietà della raffineria, è rimbalzata addirittura sulla stampa internazionale. Perché l’acquirente è Socar, la compagnia petrolifera di Stato dell’Azerbaijan. Un’operazione da oltre 3 miliardi di euro.

Grande preoccupazione per questa operazione di vendita industriale è stata subito manifestata dalla politica istituzionale regionale; tutti colti, a detta loro, dal classico “fulmine a ciel sereno”. Sia i comitati ambientalisti, che l’on. Filiberto Zaratti (ACS), tramite un’interrogazione parlamentare, chiedono che il governo eserciti la Golden Power, lo strumento che consente di vincolare un’operazione finanziaria a determinate clausole, che nel caso sarebbe l’inclusione di un fondo di garanzia per le bonifiche e la messa in sicurezza delle acque.


Questi posti davanti al mare

Limitrofo all’enorme sito della raffineria API si trova, dismesso e abbandonato da anni, un altro grande complesso industriale che si affaccia su quel tratto di costa Adriatica, l’ex Montedison. Un sito industriale di circa 30 ettari.

Risalente ai primi del '900, originariamente di proprietà della Montecatini, che produceva fertilizzanti come il perfosfato. Passato alla Montedison, lo stabilimento fu ceduto alla Sir nel 1975, seguito da altre gestioni (Fertilgest, Enimont) che portarono alla chiusura definitiva nel 1988. Poi l'area è rimasta in stato di abbandono, con problemi di inquinamento, crolli strutturali e progetti di recupero mai realizzati. Dal 2004 è sottoposto a vincolo dalla Soprintendenza Regionale delle Marche per l’interesse di archeologia industriale.

Inquinamento del suolo e delle falde acquifere, con contaminazioni da metalli pesanti come piombo e mercurio e da sostanze chimiche come i PCB, che persistono nell'area nonostante le bonifiche richieste. Le sostanze nocive continuano a fuoriuscire dal suolo, rappresentando secondo alcune fonti, un rischio per gli oltre 80.000 residenti di quella parte del territorio della provincia di Ancona. Secondo studi fatti in passato, solo per la bonifica del sito ci vorrebbero diversi anni.

Ma per l’ex Montedison nel 2024 è arrivato, grazie ai fondi pubblici del PNRR, un progetto di recupero che parla di transizione ecologica ed energetica. E’ già operativo infatti dal 12 maggio 2025 il cantiere del progetto di Renco Spa Opificio Idrogeno Marche, che trasformerà l’area dell’ex Montedison in una vera Hydrogen Valleycon un investimento complessivo di 70 milioni di euro provenienti in parte dal PNRR, oltre ai 54 finanziati dai soci di Opificio Idrogeno Marche. Il progetto dovrebbe essere pronto e operativo entro il 31 dicembre 2026. Da un’osservazione diretta dell’area del cantiere, questa previsione sembrerebbe molto azzardata. Rispetto a questo cronoprogramma, è lecito anche chiedere come questo anno e mezzo per la consegna dell’opera possa essere compatibile con un’ipotesi pluriennale della durata dei soli lavori di bonifica del sito, preliminari alla fase di costruzione.

Un impianto per la produzione, lo stoccaggio e la distribuzione di idrogeno verde, alimentato da energia solare, sorgerà quindi nell’area del sito industriale dismesso da decenni. I progettisti lo descrivono come il primo delle Marche: rientra in un programma regionale in cui sono coinvolte anche Fano e Offida. L’impianto sarà alimentato da un sistema fotovoltaico da 7,8 megawatt situato a 1,9 chilometri di distanza, nella zona delle Poiole, e produrrà inizialmente 200 tonnellate di idrogeno verde all’anno, con un potenziale aumento fino a 500 tonnellate, in base alla domanda di mercato. La trasformazione dell’area non si limita alla produzione energetica, il padiglione del vecchio stabilimento Montedison sarà recuperato per ospitare questi nuovi impianti, rendendo così un importante omaggio alla storia industriale della zona.
 

Scienza o fantascienza?

 

Un campo fotovoltaico da 7,8 megawatt, come quello che verrà realizzato, richiede uno spazio approssimativo che varia tra i 4 e i 7 ettari. La località le Poiole è una zona prevalentemente agricola. L’impianto sarà a terra, con il consumo di suolo che questo comporterà? O si tratterà di un parco agrivoltaico, che avrebbe degli indubbi elementi di ecosostenibilità? Per portare l’energia prodotta a quasi due chilometri dove ci sarà l’Hidrogen Valley, verrà realizzato anche ex novo un elettrodotto?

Per produrre 200 tonnellate di idrogeno verde sono necessari circa 1.800 - 2.400 metri cubi di acqua pura, demineralizzata per il processo di elettrolisi, soprattutto per le tecnologie più avanzate come la PEM. L'acqua può provenire da rete idrica, falda, fiumi, laghi o essere trattata da acqua di mare o reflua. Dove verrà presa l’acqua? Interessante sarebbe se venisse da un processo di desalinizzazione. Con un chilo di idrogeno verde si possono percorrere circa 100 chilometri con un'auto a celle a combustibile, o alimentare la produzione di energia elettrica e calore, o ancora usarlo come materia prima per l'industria chimica e metallurgica. Sempre con chilo di idrogeno verde si può illuminare una casa per un periodo limitato, circa una settimana per la maggior parte delle utenze domestiche.

Sicuramente, serve meno acqua per produrre un chilo di idrogeno verde (tra i 9 e i 12 litri), che per un chilo di carne (tra i 4000 e i 15.000 litri). Quindi, molto meglio una centrale per la produzione di idrogeno verde, che un allevamento intensivo di polli (come quello di Fileni, il cui centro allevamento polli, sta proprio in via Poiole a Falconara, dove sorgerà anche il campo fotovoltaico della Renco Spa).


Le relazioni tra Opifico Idrogeno Marche e Renco

Opificio Idrogeno Marche Srl, con sede legale a Pesaro, è una società costituita dal gruppo Renco Spa e altre società del Gruppo Avizoo. Quest’ultima è un'azienda italiana specializzata nella riproduzione, incubazione e selezione avicola, attiva dal 1959 e parte del Gruppo Pollarini, proprietario dell’area dell’ex Montedison. È una delle aziende leader del settore, conosciuta per la produzione di pulcini di alta qualità, gestendo direttamente un gran numero di riproduttori e producendo milioni di uova a settimana. 

Renco Spa, con sede a Pesaro, fondata nel 1979 è un gruppo internazionale che opera nel settore dell'ingegneria, della costruzione e dello sviluppo di progetti. I suoi principali servizi includono la fornitura per i settori dell'energia (incluso oil&gas e rinnovabili), delle infrastrutture civili e dell'edilizia, nonché la fornitura di servizi industriali, management e manutenzione. L'azienda opera in oltre 50 Paesi, con una significativa presenza in Italia, Congo, Armenia, Mozambico e Kazakhstan. Di strada, Renco Spa ne ha fatta tanta negli ultimi anni. Dal 2004 il CEO è Giovanni Rubini, insignito lo scorso giugno del titolo di Cavaliere del Lavoro dal Presidente Mattarella. Precedentemente è stato direttore generale dal 1996 del Comune di Pesaro con il sindaco PDS/DS Oriano Giovanelli. Con Rubini, Renco ha realizzato opere strategiche come la centrale a ciclo combinato da 250 MW a Yerevan, capitale dell’Armenia, e la base logistica portuale di Pemba in Mozambico. Il gruppo ha investito anche in Italia, nei settori turistico, sociosanitario ed energetico. Parallelamente l’impegno del gruppo in attività di social work in Congo. Oggi Renco Group conta circa 4.500 dipendenti, di cui 560 in Italia, con una produzione annua che nel 2023 ha raggiunto i 600 milioni di euro. Una società che ha mantenuto solide radici pesaresi, protagonista di azioni mecenatistiche: è stata partner di Pesaro Capitale Italiana della Cultura 2024, gestisce il Museo della Marineria di Villa Molaroni, ha supportato l’installazione della Sonosfera. Molto vicina alla città di Gioacchino Rossini anche in termini politici: nel 2015 finanziò la campagna elettorale del presidente della Regione Luca Ceriscioli (PD), sindaco di Pesaro fino al 2014. La Renco fu poi mandataria del gruppo di imprese per il project financing nuovo ospedale pesarese, progetto poi abbandonato dalla nuova giunta regionale di destra nel 2021. Nel cantiere dell’Hidrogen Valley, Renco sostiene anche l’associazione Percorso Donna, attiva nel contrasto e prevenzione delle violenza di genere.

Renco e l’Azerbaijan, patria della Socar

Renco Spa ha avuto un ruolo importante nella costruzione del TAP (Trans Adriatic Pipeline), il gasdotto che trasporta gas dall'Azerbaijan all'Italia; la pipeline, dal giacimento di Shah Deniz, nel Mar Caspio, fino all'Europa, passa per l'Azerbaijan, la Grecia, l'Albania e l'Adriatico. Renco Spa ha agito come parte di una joint venture con Terna SA (una società di costruzioni greca), aggiudicandosi il contratto per la costruzione delle stazioni di compressione del gas. Il ruolo di Renco, quindi, è stato quello di partner esecutivo per l'ingegneria, la fornitura e la costruzione di infrastrutture chiave per il funzionamento del gasdotto.

A quanti si sono sorpresi, non dandosi una spiegazione sull’acquisto del Gruppo API da parte proprio della azera Socar, la risposta potrebbe essere proprio nel fatto che la nuova proprietà della raffineria di Falconara, si troverà proprio come confinante l’Hidrogen Valley della Renco Spa nel sito dell’ex Montedison. E non si potrà dire che la Renco Spa, l’Azerbaijan non lo conosca molto bene.
 


 

18 novembre 2025 (pubblicato qui il 20 novembre 2025)