Trasformare il paradigma energetico: diritti della natura e transizioni ecosociali

di Carlos Hernán Quizhpe-Parra, Alberto Acosta

 

"Che triste epoca, la nostra!
È più facile disintegrare un atomo che un pregiudizio."

Albert Einstein

 

1. Introduzione: Policrisi di civiltà e necessità di nuove prospettive

L'umanità si trova di fronte a un bivio di civilizzazione senza precedenti. Il XXI secolo ci ha gettati in una policrisi. Questa comporta crisi multiple e profondamente interconnesse che influenzano tutti gli aspetti della vita sul pianeta. Questo collasso non è una coincidenza, ma piuttosto il risultato di un sistema di civilizzazione che ha raggiunto i suoi limiti. Il progresso, come espressione della civiltà dominante, ha imposto una crescita economica permanente, guidata dal massiccio consumo di risorse naturali e dal costante sfruttamento del lavoro umano. Ma questo modello egemonico sta ora mostrando i suoi limiti, i suoi profondi fallimenti.

La crisi climatica e la devastazione ambientale sono solo le manifestazioni più visibili del collasso ecologico, ma non le uniche. Queste crisi sono interconnesse con profonde disuguaglianze economiche e sociali, recentemente esacerbate dalla pandemia di COVID-19, che ha messo in luce la fragilità dei sistemi sanitari e la precarietà delle economie globalizzate. I governi, intrappolati nella logica neoliberista, hanno dimostrato una preoccupante incapacità di coordinare le risposte globali a minacce che trascendono i confini. Lungi dalle soluzioni strutturali, abbiamo assistito a risposte frammentate che perpetuano le disuguaglianze e aggravano la crisi. E proseguire nella stessa maniera non farà che peggiorare la situazione.

Questo contesto ci pone di fronte all'urgente necessità di ripensare le fondamenta stesse delle nostre società. Non si tratta solo di affrontare una crisi ambientale o economica, ma di mettere in discussione i fondamenti del modello di civiltà che ha guidato il mondo negli ultimi secoli. Il collasso ecologico ha messo a nudo l'interdipendenza tra ecosistemi ed economie umane. L'interruzione dei cicli naturali, la perdita di biodiversità e gli eventi meteorologici estremi sono chiari segnali della rottura dell'equilibrio con la Natura. Questo scenario richiede una radicale riconfigurazione del nostro rapporto con la Madre Terra – la Pacha Mama –, ponendo al centro la sostenibilità, l'equità e il rispetto dei limiti planetari.
 

2. I limiti e le falsità della decarbonizzazione

In questo contesto, il termine "decarbonizzazione" ha acquisito importanza nei dibattiti sul collasso ecologico, spesso visto semplicemente come cambiamento climatico, e sulla transizione energetica (Dietz, 2023). La proposta è chiara: abbandonare i combustibili fossili e sostituirli con fonti energetiche rinnovabili. Tuttavia, questo cosiddetto "consenso della decarbonizzazione" nasconde profonde contraddizioni (Bringel & Svampa, 2023). Le soluzioni tecnologiche che ci vengono presentate, come l'elettrificazione dei trasporti o l'energia solare, sono radicate nella logica del capitalismo globale (Ávila, 2023). Vengono offerti come rimedi alla crisi climatica senza mettere in discussione i modelli di consumo, la logica di produzione legata alla crescita economica permanente e le stesse strutture di potere che perpetuano lo sfruttamento della natura e la disuguaglianza sociale.

La transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio è necessaria, ma il modo in cui viene attuata solleva sfide etiche e sociali. Le tecnologie verdi, come i veicoli elettrici o gli impianti fotovoltaici, dipendono dall'estrazione intensiva di minerali come litio, rame, cobalto e altri elementi delle terre rare, la cui estrazione è concentrata nel Sud del mondo, riproducendo modelli coloniali storici (Dietz, 2023). Invece di trasformare la logica estrattiva che ha dominato il capitalismo, la decarbonizzazione sposta semplicemente lo sfruttamento dei combustibili fossili verso una nuova frontiera delle risorse naturali. Questo sforzo, che finora non è riuscito a ridurre il consumo di combustibili fossili, è stato definito colonialismo verde, poiché perpetua la subordinazione delle stesse regioni periferiche del sistema capitalista al sostentamento del consumo energetico del Nord del mondo (Bringel et al., 2023).

Il "consenso della decarbonizzazione", visto in questa luce, non è altro che una trappola. Riduce la transizione energetica a una questione tecnica, ignorando le profonde implicazioni sociali, politiche ed economiche in gioco. Le soluzioni proposte non affrontano i problemi fondamentali della giustizia ambientale, né della giustizia sociale o delle dinamiche di potere che perpetuano lo sfruttamento della natura. Invece di guidare una vera trasformazione strutturale, l'approccio tecnocratico lascia intatti i pilastri del sistema economico globale, tentando al contempo di ristrutturare la matrice energetica.

In paesi come Bolivia, Cile e Argentina, la domanda di litio, essenziale per le batterie dei veicoli elettrici, ha generato un nuovo boom estrattivo (Svampa, 2024). Sebbene prometta benefici economici, non compensa la distruzione di ecosistemi fragili o l'espropriazione delle comunità indigene. Questi progetti estrattivi vengono generalmente imposti senza il consenso delle comunità interessate, violando non solo i diritti umani, ma anche i Diritti della Natura (Ávila, 2023). Questo nuovo estrattivismo, lungi dall'essere una soluzione, perpetua le disuguaglianze e la distruzione ecologica che hanno caratterizzato il sistema basato sull'estrazione delle risorse naturali.

In questo scenario, la giustizia ecologica emerge come un quadro critico per comprendere le dinamiche di potere alla base della transizione energetica (Svampa, 2022). La giustizia ambientale non solo implica un'equa distribuzione dei benefici e dei costi dello sfruttamento delle risorse naturali, ma richiede anche la partecipazione attiva delle comunità alle decisioni che riguardano i loro territori. La transizione non può essere semplicemente un processo tecnocratico: deve essere una transizione giusta che affronti le disuguaglianze strutturali e rispetti i diritti delle comunità più vulnerabili. Invece di continuare a fare affidamento su soluzioni tecnologiche che perpetuano queste dinamiche, abbiamo bisogno di nuove prospettive che pongano al centro la giustizia sociale, l'equità e il rispetto dei Diritti della Natura. Proposte come la decrescita, la giustizia climatica e gli stessi Diritti della Natura offrono quadri alternativi per ripensare il nostro rapporto con il pianeta, mettendo in discussione la logica della crescita perpetua e proponendo un'equa ridistribuzione delle risorse, nel rispetto dei limiti ecologici del pianeta. In breve, abbiamo bisogno di un'altra economia per un'altra civiltà (Acosta & Cajas-Guijarro, 2018; 2021).
 

3. I Diritti della natura come punto di partenza per una trasformazione di civiltà

Per secoli abbiamo vissuto secondo una concezione errata: l'essere umano come proprietario assoluto della Terra, relegando la Natura al ruolo di mero oggetto di sfruttamento. Questa visione antropocentrica è una delle cause fondamentali della crisi ecologica globale che oggi minaccia l'esistenza stessa della vita sul pianeta. La logica del dominio e del saccheggio, che ha guidato l'evoluzione capitalista, soprattutto nella sua fase di globalizzazione, ha spinto il pianeta sull'orlo del collasso, evidenziando l'urgente necessità di ripensare le nostre relazioni con gli ecosistemi e con gli altri esseri viventi che abitano la Terra. La natura, lungi dall'essere una fonte infinita di risorse, è un soggetto con diritti propri, storicamente silenziati per poterla sfruttare impunemente.

Il riconoscimento dei Diritti della Natura, sancito per la prima volta in una costituzione in Ecuador nel 2008, non è né un atto simbolico né una concessione temporanea. Rappresenta un radicale cambiamento di paradigma che sfida la visione estrattivista e coloniale che ha dominato le nostre società. Questo quadro giuridico costituisce un attacco frontale al capitalismo predatorio, che sfrutta le risorse naturali senza limiti, e stabilisce che la Natura ha diritti intrinseci: esistere, rigenerarsi e mantenere i propri cicli vitali. Questo mandato costituzionale richiede molto più di semplici dichiarazioni: richiede un impegno attivo per ripristinare e mantenere l'integrità ecologica. Il benessere umano non può essere raggiunto se non è intrinsecamente legato al benessere della Natura.

Il riconoscimento dei Diritti della Natura a livello globale, come stabilito nella Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra del 2010, pubblicata in occasione di un importante vertice dei popoli a Cochabamba, in Bolivia, riflette uno sforzo collettivo che si estende a livello mondiale (Fukurai & Krooth, 2021; Martínez & Acosta, 2017; Rzedzian, 2023). Il movimento che nasce da questi ed altri passaggi percorsi dal 2008, promosso da popolazioni indigene, agricoltori e attivisti ambientalisti, sfida la logica estrattivista che continua a distruggere territori ed ecosistemi. Non si tratta di semplici aggiustamenti o riforme: i Diritti della Natura sono un imperativo etico urgente per riconnettersi con l'essenza di un pianeta finito. Non c'è spazio per massimizzare il profitto a scapito della vita. Se vogliamo sopravvivere come specie, dobbiamo abbandonare la logica dell'accumulazione infinita e adottare un'economia rigenerativa che ponga al centro la vita, non il profitto.

L'etica trasformatirice che emerge dai Diritti della Natura non si limita alla tutela ambientale. È un attacco frontale a un sistema che si regge sullo sfruttamento illimitato della Natura e degli esseri umani. L'accumulazione infinita e il consumo sfrenato sono incompatibili con la vita in un pianeta con risorse limitate. Solo riconoscendo i limiti biofisici della Terra e la nostra interdipendenza con la Natura possiamo costruire una nuova relazione basata sul rispetto e sulla cura reciproca. È tempo di sostituire la logica estrattiva con una logica di rigenerazione ed equilibrio, che comprenda che l'energia non può più essere gestita come una merce o un mero input secondo la logica di mercato, ma piuttosto come un diritto indispensabile per la vita.
 

4. L'importanza dell'energia nella vita delle società e nella natura stessa

L'energia è stata un pilastro fondamentale nell'evoluzione dell'umanità, nel corso della sua storia. Dal momento in cui l'umanità ha imparato a controllare il fuoco, fino alla Rivoluzione Industriale che ha scatenato l'uso massiccio di combustibili fossili, la possibilità di accedere a nuove fonti energetiche ha trasformato radicalmente la struttura delle società. Tuttavia, questa espansione energetica non è stata neutrale o benigna. Ha avuto un costo enorme per gli ecosistemi e per le comunità che sono state emarginate nel processo di sfruttamento delle risorse energetiche.

Il modello energetico prevalente dal XIX secolo, basato sulla combustione di combustibili fossili, è responsabile di gran parte dei danni ecologici che oggi affrontiamo. Il cambiamento climatico, la distruzione della biodiversità e l'inquinamento degli ecosistemi sono conseguenze dirette di una logica che privilegia la crescita economica rispetto al benessere planetario. A sua volta, questo modello energetico ha generato profonde disuguaglianze, sia a livello globale che locale. Mentre il Nord del mondo riceve la maggior parte dei benefici economici derivanti dallo sfruttamento dei combustibili fossili, le comunità del Sud del mondo hanno sostenuto i costi ambientali e sociali di questa estrazione (Sovacool & Dworkin, 2015).

L'energia, e questo è fondamentale, non dovrebbe essere vista come una mera merce nelle mani dei mercati. L'energia è un diritto umano fondamentale (Del Guayo Castiella, 2020). In tutto il mondo, milioni di persone non hanno accesso all'energia "moderna", il che influisce sulla loro capacità di soddisfare bisogni primari come l'istruzione, la salute, il lavoro e la partecipazione politica. Questa situazione, nota come povertà energetica, è una chiara manifestazione delle disuguaglianze globali ed è strettamente legata all'ingiustizia climatica. I paesi e le comunità che hanno contribuito meno al cambiamento climatico sono i più colpiti dai suoi impatti devastanti, mentre coloro che hanno accumulato ricchezza attraverso lo sfruttamento dei combustibili fossili continuano a essere i principali beneficiari del sistema energetico globale (Hoffmann, 2020).

La transizione verso sistemi energetici più equi e sostenibili è essenziale per garantire la giustizia sociale ed ecologica (Ávila, 2023). Questo nuovo modello deve rifiutare la logica della mercificazione dell'energia e trattarla come un bene comune, accessibile a tutti e rispettoso dei cicli di vita del pianeta. Le politiche energetiche devono essere progettate non solo per migliorare l'efficienza e ridurre le emissioni di carbonio, ma anche per garantire che tutte le persone, indipendentemente dalla loro posizione geografica o condizione economica, abbiano accesso a energia pulita e accessibile (Ávila, 2023). L'energia, come l'acqua o l'aria pulita, deve essere considerata un diritto inalienabile dell'Umanità e della Natura.

Questo approccio etico e di giustizia energetica non può limitarsi a una mera transizione tecnologica. L'elettrificazione dei trasporti o l'espansione delle energie rinnovabili sono passi necessari, ma insufficienti. La vera trasformazione deve andare oltre la tecnologia, richiedendo un cambiamento nei modelli di consumo e produzione che hanno causato la crisi climatica. Soprattutto nei paesi industrializzati, dove i livelli di consumo energetico sono insostenibili, dobbiamo ripensare il concetto di progresso e benessere (Álvarez-Cantalapiedra, 2018; Brand, 2023). Non si tratta di una crescita indefinita, ma di costruire un'economia del Buen Vivir, in cui la qualità della vita non si misura in termini di accumulo materiale, ma piuttosto in termini di equità, sostenibilità e armonia con la Natura (Kauffman & Martin, 2021).

Il Buen Vivir rappresenta un salto di qualità, trascendendo il concetto tradizionale di "sviluppo" e i suoi numerosi sinonimi, e smantellando la religione del "progresso", introducendo una visione diversa, molto più ricca di contenuti e – di certo – più complessa. Il Buen Vivir è un'opportunità per costruire collettivamente nuovi modi di vivere, nonché per recuperare e rafforzare modi preesistenti di vivere con dignità (Acosta, 2014). Non è un ricettario racchiuso in pochi articoli costituzionali. Non ci sono ricette, né manuali. Il Buen Vivir, in sostanza, è un processo di vita che nasce dalla matrice comunitaria di Popoli indigeni che hanno vissuto o vivono ancora in armonia con la Natura. Questi popoli indigeni non sono né premoderni né arretrati. I loro valori, le loro esperienze e le loro pratiche sintetizzano una civiltà viva, capace di confrontarsi con una Modernità perennemente coloniale. Con le loro proposte, immaginano un futuro diverso, che sta già arricchendo i dibattiti globali.

Il Buen Vivir cerca quindi di raccogliere i principali valori, alcune esperienze e, soprattutto, alcune pratiche esistenti nelle Ande e in Amazzonia, così come in altre parti del mondo.

La transizione energetica, quindi, non è solo una sfida tecnica, ma anche etica e politica. È un'opportunità per ridefinire le nostre priorità come società e muoverci verso un futuro più giusto ed equilibrato, sia per gli esseri umani che per la natura. Se vogliamo un mondo in cui la vita prosperi, dobbiamo trasformare profondamente il nostro sistema energetico, abbracciando i principi di giustizia, equità e rispetto dei diritti della natura.

(1. Continua)

 

*  Carlos Hernán Quizhpe-Parra è ingeniere ambientale e ricercatore all' Università di Cuenca (UCUENCA), Ecuador.
** Alberto Acosta 
è economista, docente universitario e attivista di movimenti sociali. Ministro dell'Energia e delle Miniere in Ecuador nel 2007, è stato anche Presidente dell'Assemblea Costituente dell'Ecuador dal 2007 al 2008. 
*** Traduzione di Ecor.Network


 

15 dicembre 2025 (pubblicato qui il 19 dicembre 2025)